Danilo Kiš, scrittore dalla nostra parte

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di Božidar Stanišić

Nel 2015 cadeva l’anniversario degli ottanta anni dalla nascita del grande scrittore Danilo Kiš. Un commento e alcuni brani inediti in Italia

 

Una critica, dall’alto

Il mio amico Fer – Ferdinando è troppo lungo, sia per me che per lui – mi telefonò, qualche tempo fa. “Da lontano”, disse con un riso fugace, interrotto da una tosse alquanto insistente. Questo novembre friulano, più caldo che mai, in Carnia è diverso. Il freddo è già arrivato, e nell’aria quasi si avverte l’odore della neve. Un villaggio, sette-otto anime, quello è il luogo del suo esilio, volontario. Così ci guarda da una ‘certa altezza’, a cui vanno aggiunti uno-due metri di libri che, quando li lesse da giovane, egli credette di non aver compreso a fondo. Non dovrei stupirmi di quella tosse, mi dice, essere settantenni nella vita reale non è come nelle pubblicità, dove gli anziani saltano recinti e flirtano con le ragazze in minigonna. A stupire lui è ben altro. Non appena pensai che mi avrebbe detto qualcosa sull’insorgere di fili spinati lungo le frontiere dei paesi europei, oppure sugli ultimi attentati di Parigi, egli rimarcò come un certo silenzio, in Europa, e così anche in Italia, si fosse accumulato intorno ad uno scrittore. Quest’anno (2015) avrebbe compiuto ottanta. Lui, Danilo Kiš (1935-1989). Per i tipi della casa editrice Adelphi, sette delle sue opere sono apparse in italiano – anche questi libri Fer li ha trasferiti lassù. Per quanto a sua conoscenza, nessuna delle università italiane aveva dedicato attenzione a questo anniversario così importante, uno di quelli che non dovrebbero essere solo un ‘pro forma’. Per quel che ne sa lui, se ne parlò un po’ a Parigi, presso l’École des hautes études.

Lui, Fer, nonostante avesse frequentato due corsi di lingua serba e uno di lingua croata, non era riuscito a capire con sufficiente chiarezza le notizie che, relativamente a questo anniversario, giungevano da territori ad est di Sežana. Dopo aver taciuto per un po’, disse che a quel silenzio anch’io avevo aggiunto una bracciata di mutismo. Non mi ero fatto sentire nemmeno con una parola, né su qualche giornale né sull’Osservatorio Balcani e Caucaso. Gli pareva, ecco, che finora io non fossi stato indifferente nei confronti degli anniversari, soprattutto sulle pagine di OBC.

 

 

Danilo Kiš – AUTUNNO 

 

iniziano le festività nuziali
le grida amorose del picchio sembrano
colpi di tamburo
l’arte della seduzione è infinitamente
varia

si fidanzano le anatre selvatiche
in novembre
accade così che
stormi di viaggiatori
giunti in volo fin dalla russia
si incontrino con gli autoctoni sugli stessi
laghi dell’île-de-france
e allora nascono grandi amori
seguiti da tragedie
e maldicenze

(trad. dal serbo-croato di Alice Parmeggiani)

 

 

Kiš – tra Racconto e bottiglia di plastica

No, gli risposi, non sono indifferente, anche se penso che sia più utile contemplare la letteratura quotidianamente piuttosto che farlo appositamente. Tuttavia, gli anniversari – di nascita o  morte di personaggi illustri – sono una specie di specchio. Solo che io, purtroppo, non riesco a racchiudere il mio Kiš in mille parole – è da lì che deriva il mio, ad esempio, ‘OBC’ silenzio. Quanto invece alle università che avrebbero potuto rendere un hommage a Kiš, tu, caro Fer, prendi un foglio di carta e scrivi una lettera di protesta a qualche direttore di cattedra. (È tanto che ci conosciamo, sapevo che non se la sarebbe presa a male). Può darsi che ci sia ancora qualcuno a cui, oltre ad arricchire il proprio curriculum vitae, interessa anche leggere qualche lettera insolita.

Eppure, caro Fer, il silenzio di cui parlavi non è tutto nero. Pur non essendo uno scrittore per il grande pubblico, Kiš è letto da New York a Tokyo. Rimanendo, a dire il vero, lontano dai grandi numeri. Si vende come una specie di veleno che, una volta consumato, induce quel tarlo che abita il cervello e il cuore (magari non proprio di tutti) a costringere la mano a scrivere con l’iniziale maiuscola Memoria, Racconto, Vittoria sull’oblio. È un veleno che tende a risvegliare anche l’interrogativo sul senso della letteratura nel XXI secolo. Non posso che essere dispiaciuto per il fatto che lo studio di Mark Thompson Birth Certificate: The Story of Danilo Kiš non sia disponibile in italiano. Frutto di una ricerca durata vent’anni, questo libro, uscito nel 2013, ha avuto la sua prima edizione belgradese già nell’anno seguente  sotto il titolo Potvrda o rođenju – Priča o Danilu Kišu, nella traduzione di Muharem Bazdulj. Nel recensire quest’opera, originariamente pubblicata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e in seguito tradotta anche in tedesco (sono inoltre in preparazione edizioni spagnola e cinese), il poeta Charles Simić la considera il primo ampio studio critico-biografico su Danilo Kiš in lingua inglese. Il recensore è tuttavia preoccupato (il veleno-Kiš funziona) dal fatto che lo studio di Thompson arrivi in un periodo in cui la letteratura straniera viene insegnata sempre meno nei licei e nelle università, sicché i nomi un tempo ben noti negli ambienti accademici oggi risultano praticamente sconosciuti non solo agli studenti, ma persino ad alcuni dei loro professori. (A questo punto mi fermai: non sarà forse una delle mie lezioni, telefonica?)

“Ah“, scappò a Fer, “dove ci troviamo“?

“Mmh“, caro Fer, “chi in Carnia, chi in pianura“. No, lui non era soddisfatto: “Non è scherzando che si risolvono le cose, intendevo piuttosto – dove sta Kiš“? “Nelle sue opere“, risposi. No, Fer non era ancora contento, “dove cercare Kiš oggi“? “Tra Racconto e bottiglia di plastica“, dissi all’improvviso.  “Mmh, il racconto è ‘qualcosa’, la bottiglia di plastica invece è – nulla?“ Poi volle sapere il perché del mio silenzio. E cosa avrei dovuto dirgli? Che il Racconto è ‘tutto’, mentre la bottiglia di plastica, (per) come la vedeva Kiš, non equivale proprio al ‘nulla’? Poiché è indistruttibile, come la banalità. E io aggiungo: lo scrittore, ad onta di tutto, sceglie il Racconto. Questo è importante, soprattutto oggi che stiamo superando le previsioni di Orwell circa la riduzione del vocabolario umano. Questo scomodo pensatore inglese sosteneva a suo tempo che nell’arco di mezzo secolo non avremmo usato più di seicento parole al giorno. Le statistiche attuali indicano che si è scesi al di sotto di trecento.

 

Kiš, scrittore dalla ‘nostra parte’

Quella preoccupazione positiva, a cui accennavo prima riferendomi alla recensione di Simić, si avverte anche nelle parole di Gojko Božović, direttore della casa editrice belgradese Arhipelag: ”Provo la più profonda soddisfazione personale, letteraria e professionale di fronte a questa nuova edizione de Le Opere di Danilo Kiš in dieci volumi, che oltre ad essere un esempio di grande impegno editoriale, è anche un lascito alle generazioni future. La narrativa di Danilo Kiš si inscrive tra le grandi opere dell’epoca moderna e resta un modello, uno dei più alti pertinenti alla sfera letteraria. Abbiamo sempre più bisogno di tali modelli, soprattutto oggi, quando si è inclini a pensare che la letteratura non conti niente, o che possa essere equiparata a qualsiasi tipo di testo scritto nei momenti di ozio”.

 

Filip David, dai “Frammenti su Kiš”

 

Danilo possedeva una qualità che manca a molti intellettuali dei nostri tempi – un forte sentimento per l’etica che aveva origine nella sua infanzia. Il confronto precoce con la violenza e con l’ingiustizia l’aveva determinato alla resistenza, sia nella letteratura che nella realtà.

La sua etica  proveniva proprio dalla percezione precoce degli orrori della  vita, dalla conoscenza della sofferenza umana, dei crimini assurdi e atroci sui quali, ci pare, siano basate molte fondamenta del nostro mondo, oggi come nel passato. Quando la cognizione della malvagità presente nel mondo si fa viva nel primo periodo della nostra crescita, si allunga nel resto della nostra vita come un’ombra tragica.
Da quell’ombra esce la forte voce di Danilo contro le tragedie degli innocenti, tanto nei lager quanto nei gulag. La determinazione a promuovere giustizia si sentiva in ogni suo gesto, in ogni sua riflessione sia politica, sia letteraria  o che fosse manifestata in occasioni di incontro quotidiano con gli amici. Chiedeva agli altri ciò che lui stesso praticava: coerenza, sincerità, precisione. Penso che inorridisse sia per la stupidità umana, che per la sciatteria, la mediocrità, la disonestà, e soprattutto per il potere dell’uomo contro l’uomo, personificato nei regimi dittatoriali e totalitari.

(Filip David, dai »Frammenti su Kiš«, trad. dal serbo B.S)

 

No, quest’anno, così come l’anno scorso in cui ricorreva il venticinquennio della morte di Danilo Kiš, non era povero ‘lì’, nella vecchia Jugo – oggi intersecata da discordanze e confini. (Kiš ci lasciò riflessioni profetiche sul nazionalismo, ecco solo un estratto dell’omonimo testo: “Da dove vengono, ci chiediamo, questa vigliaccheria, questa predilezione, questo slancio del nazionalismo nel nostro tempo? Soggetto all’oppressione ideologica, spinto ai margini delle tendenze sociali, schiacciato e smarrito tra ideologie contrastanti, inetto alla rivolta individuale poiché essa gli è stata negata, l’individuo è finito per trovarsi in bilico, nel vuoto; pur essendo un essere sociale non partecipa alla vita sociale, pur essendo un essere individuale si vede privato dell’individualità in nome dell’ideologia, e cos’altro gli resta da fare se non cercare il proprio essere sociale altrove?”).

Si tennero conferenze, incontri, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche – tutto in suo onore – e non solo a Belgrado, che lo scrittore, malgrado tutto, amava con un amore dolente. È vero che Kiš era membro corrispondente dell’Accademia serba delle scienze e delle arti, ma ciononostante – che io sappia – quest’Alta istituzione non si è fatta sentire a proposito della ricorrenza in questione. Il che, tuttavia, è un segno. Probabilmente più chiaro e – paradossalmente? – più positivo di quanto non sembri. E facilmente tramutabile nel domandarsi che cosa ci starebbe a fare Kiš in un’Accademia, di qualsiasi tipo e sotto qualsiasi egida. In fin dei conti, ogni accademia è esclusivamente ’nostra’, padrona dei territori e confini ben demarcati.

Pare che il giudizio di Nicholas Lezard, critico letterario del Guardian, espresso a seguito della recente ristampa dell’Enciclopedia dei morti di Kiš in edizione economica, ci suggerisca implicitamente una spiegazione. Per quanto forte fosse il suo debito nei confronti di Borges, Kiš si distingue, secondo Lezard, “per il suo calore, per una maggiore comprensione della sofferenza umana”. È uno di quegli scrittori di cui si ha la sensazione che stiano dalla parte del lettore. Fu uno dei più grandi del suo tempo, un intelletto non solo originale, ma anche compassionevole, capace, come dimostra questa raccolta, di inspirare nuova vita nel racconto. In sintesi, non posso raccomandare questo libro abbastanza né fare a meno di esortarvi a leggerlo.“

È tutto?

È tutto, caro Fer, e – come vedi – intorno a Kiš non regnano sovrani quei silenzi. E per un passatempo – triste e allegro insieme? – ascolta Danilo come suona la chitarra e canta, lo si trova facilmente in rete.

da qui

 

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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