Darsi fuoco

Basta con i suicidi dei disoccupati. Lavoro subito.

di Domenico Stimolo

Catania, 19 settembre. L’ennesima tragedia – ma speriamo che si salvi – si è consumata ieri mattina. Un disoccupato (edile, ex manovratore di escavatore) di 56 anni,

con famiglia (due figli adolescenti) si arrangiava in maniera “non conforme” cercando di vendere con un piccolo banco improvvisato prodotti ortofrutticoli in piazza Risorgimento a Catania.

All’arrivo della polizia municipale, per protesta all’imminente sequestro, si è allontanato verso il vicino distributore di carburante, ha comprato benzina in una bottiglia, si è cosparso il corpo dandosi fuoco. Ora, le sue condizioni sono gravissime.

Un ulteriore dramma della disperazione si abbatte sulla città e la Sicilia.

Certo anche il decoro e la legalità della città devono essere salvaguardate. Ma chi deve garantire l’esigibilità dell’articolo 1 della Costituzione che solennemente recita: «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»?

Domanda tremenda, che ricade su tutti i nostri governanti, di qualsiasi livello gerarchico.

La legge fondamentale dello Stato colloca al primo posto il diritto fondamentale dei cittadini di avere riconosciuto, tramite il lavoro, la possibilità elementare di potere vivere, con dignità e decoro, nella legalità. E’ la priorità assoluta della civiltà democratica e della coesistenza sociale. In caso diverso sono dolori grandi per tutti. Inimmaginabili, per coloro che rappresentano lo Stato nelle sue varie funzioni ed articolazioni, per i soggetti che vivono tranquillamente la loro “sufficienza” e per le parti sociali che ancora teoricamente si riconoscono nel “patto universale” fondativo della nostra Repubblica

L’ angoscia di “non potere portare il pane a casa” è lancinante, foriera di qualsiasi atto.

A Catania (ma non solo) grande è la sofferenza della disoccupazione. Si è accresciuta a dismisura nel corso dell’ultimo decennio, in maniera sempre più dirompente. Sono esplose le attività al nero e i precariati.

Un termometro di forte valenza è ben visibile nelle strade cittadine. Una grande pletora di presenze che cercano di affrontare la quotidianità espletando mille arti e mestieri nella vendita di prodotti vari, in specie ortofrutta. Certo non hanno regolare licenza. Comanda “l’istinto della sopravvivenza” che, necessariamente, prevale su ogni cosa.

Eppure, da cittadino, lavoratore e sindacalista (ex) ricordo bene che per tutto il corso degli anni 70 e 80 (del novecento) e buona parte degli anni 90 non è stato così.

Anche da noi c’era il lavoro. Quello vero, che permetteva di guardare al futuro.

Non in quantità “esagerata”, tant’è che le migrazioni – quelle che da tempo sono riprese forti – ci sono sempre state.

Le postazioni stradali di “accomodamento” – giusto per fare un esempio sulla difficile arte dell’arrangiarsi – cioè di vendite improvvisate erano in un numero molto meno consistente.

Fino alla metà degli anni 90 c’era una rilevante zona industriale (più di una) costituita da tante piccole e medie realtà produttive. Grandi aziende, anche di considerevole peso tecnologico e d’ambito nazionale, operavano alacremente. Molti siti di servizi attivi le affiancavano. L’attività edilizia, pur con tante pesanti e laceranti contraddizioni, è sempre stata un grande volano per avere lavoro e reddito. Così le attività commerciali spicciole, diffuse in molte decine di migliaia, in tutto il territorio.

Ora tutto questo in gran parte è stato cancellato. Sono rimasti ben pochi poli di eccellenza.

La popolazione della provincia si attesta a oltre un milione di abitanti. In tanti sono proprio alla “frutta”. La povertà, le sofferenze, le diseguaglianze sono cresciute a dismisura. I tanti quartieri emarginati, quelli dei reietti, sono sempre più isolati. Loro se la cantano e loro se la suonano. In tanti soli con la propria disperazione.

Le forze politiche rimaste nominalmente operative sono silenti. Le strutture sindacali risultano complessivamente marginali. Non c’è più il senso corale del coinvolgimento plurale. Data la grande incertezza sono prevalsi i corporativismi, frantumati gli obiettivi sugli interessi primari comuni. La platea dei “benpensanti”, sazi della propria quotidianità, protesta per la “indecenza” – a loro dire – che i poveri, scarti sociali, si riversino in tanti modi sulla città. Disturbano “l’arte” di arrangiarsi che scompagina il “decoro civico” o i tanti (indigeni e migranti) senza tetto che dormono fra i cartoni, chiedendo l’elemosina, cercando nei cassonetti della spazzatura o stando a speranza della carità per un piatto di minestra. Una grande disfatta democratica, civile e sociale.

In questo contesto si ha la perversione di tenere fermi notevolissimi volumi finanziari di investimenti destinati alla città e alla sua provincia, disponibili per dare conforto di lavoro a tanti disoccupati, in specie delle attività edili e metalmeccaniche.

Nei tanti segmenti progettati un solo esempio su tutti. Ben 600 milioni di euro nell’aprile 2012 sono stati destinati dal Cipe (a seguito delle ingiunzioni giudiziarie della Comunità europea) per realizzare le necessarie infrastrutture di fognature e depurazione delle acque reflue. Riguardano molte località dell’area del catanese e in particolare Catania.

A data odierna c’è in atto la terza e ultima proroga (scade a fine settembre) finalizzata alla realizzazione dei progetti cantierabili. Tutto ancora tace! Eppure, in tanti piangono…..fra i clamori dei gaudenti.

Speriamo che si salvi il nostro padre di famiglia datosi fuoco questa mattina, da tutti abbandonato.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

6 commenti

  • care e cari, sulla morte di Salvatore La Fata e sulle “torce umanme” vi segnalo su “il manifesto” di oggi l’articolo di ANNAMARIA RIVERA

  • Scrive Domenico Stimolo
    Catania, 30 settembre:
    DOPO DIECI GIORNI DI ATROCI SOFFERENZE E’ MORTO SALVATORE LA FATA.
    La “torcia umana” saluta e se ne va….da questo nostro Paese pieno di lavoratori disoccupati e disperati.

  • Catania, 30 settembre:
    DOPO DIECI GIORNI DI ATROCI SOFFERENZE E’ MORTO SALVATORE LA FATA.

    Disoccupato, lavoratore edile. Datosi alle fiamme dopo il sequestro delle sue povere cassette di frutta messe in vendita per sopravvivere.
    La “torcia umana” saluta e se ne va….da questo nostro paese pieno di lavoratori disoccupati e disperati.

    Che dire ancora? Serve il “silenzio” e la riflessione per costruire il riscatto.
    A sostegno una poesia del grande poeta siciliano Ignazio BUTTITTA. Su un fatto vero successo a Marineo parecchi decenni addietro, in un nove aprile. Ieri come oggi, in Sicilia prevale la disperazione.

    “ U PUZZU DA MORTI”
    Eramu a tavula sabutu a li tri tutti a manciari, li siciliani; cu picca e assai e bucali di vinu, cu acqua frisca e muccuna di pani; tutti a manciari, li scarsi e li ricchi, patruna grassi e puvureddi sicchi. Ma Cuncetta Lileci, cu du figghi, magri e patuti pi fami e pi stenti circava erba cu li picciriddi, circava erba e persi i sentimenti: non fu fuddia, non fu colpu di luna, u foddi quannu ammazza non ragiuna. Dicia idda e taliàva u puzzu: megghiu la morti ca sta vita amara. Dicia idda e taliàva i figghi; siddu l’ammazzu un sugnu macillara. Dicia idda; ci lelu la fami e non li viu chiànciri pu pani. Finui di dillu e affirò u primu, ci dissi: figghiu, chi malu distinu; e sull’istanti lu jsò ntall’aria e lu jttò nto puzzu a corpu chinu; po’ pigghia l’àutru, avia cinc’anni: pur unto puzzu, carni supra carni. Ristò tuttìocchi una vucca du puzzu, jsò li vrazza e si jttò pur’idda: vogghiu mòriri nzemmula, dicia, e l’abbrazava nmenzu l’acqua fridda; i quardiàva nta conca du pettu chìera di ossa e poi fu catalettu. A mariniu chianci u pupulinu, tuttu u paisi è na cella scura; e sonanu a martoriu li campani cà Diu pigghia parti a sta svintura; pari ca i morti, friddi comu a nivi, passanu nmezzu i morti e non c’è vivi. Sinnacu e giunta a l’accumpagnamentu, pàracu a dami di li caritati; manaci, preti e genti d’ogni cetu, tutti d’appressu afflitti e scunsulati; e nmenzu a chisti, ma senza un sugghiuzzu, i rei veri di morti nto puzzu. A mmariniu tri casci di mortu a tri fossi ntirrati cu tri cruci; ma ncchiusi nta ddi casci, figghi ematri gridanu contro nui ad àauta vuci: contro nui, scecchi addinucchiuni cu a sedda ncoddu e a zotta du patruni.

    ( IN ITALIANO): Eravamo a tavola sabato alle tre tutti a mangiare, i siciliani; chi poco chi assai e boccali di vino, chi acqua fresca e bocconi di pane; tutti a mangiare, i poveri e i ricchi, padroni grassi e poveri secchi. Ma Concetta Sileci, con due figli, magri e patiti per fame e stenti cercava erba con i suoi bambini, cercava erba e perdette i sentimenti: non fu follia, non fu colpo di luna, il folle quando ammazza non ragiona. Lei diceva e guardava il pozzo: meglio la morte che questa vita amara: se li ammazzo non sono macellaio. Diceva: gli levo la fame; non li vedrò più piangere per il pane. Detto questo afferrò il primo, gli disse: figlio, che brutto destino; e sul istante lo alzò in aria e lo gettò nel pozzo con un colpo deciso; poi piglia l’altro, aveva cinque anni, anche lui nel pozzo, carne sopra carne. Restò tutt’occhi sulla bocca del pozzo, alzò le braccia e si buttò anche lei; voglio morire assieme, diceva, e li abbracciava in mezzo all’acqua fredda; li riscaldava nella conca del petto ch’era di ossa e poi fu cataletto. A Marineo lacrima il popolino, tutto il paese è una cella scura; suonano a martorio le campane perché Dio piglia parte alla sventura; pare che i morti, freddi come la neve, passino tra i morti e nessuno sia vivo. Sindaco e giunta all’accompagnamento, parroco e dame di carità; monaci, preti e gente dìogni ceto, tutti dietro afflitti e sconsolati; in mezzo q questi, senza un singhiozzo, i colpevoli veri dei morti nel pozzo. A Marineo tre casse da morto e tre fosse interrate con tre croci; ma chiusi in quelle casse, figli e madre, gridano contro noi ad alta voce: contro noi, asini in ginocchioni, e addosso la sella e la frusta del padrone.

  • domenico stimolo

    IL FUNERALE DI SALVATORE LA FATA SI SVOLGERA’ DOMANI VENERDI ORE 16.00 CHIESA DEI CAPPUCCINI ( A RIDOSSO OSPEDALE V. EMANUELE)

  • domenico stimolo

    La chiesa ( sita in un luogo notoriamente abitato e frequentato dal “volgo”) era piena di tanto “umile popolo”. Parenti e amici ( tanti), cittadini indignati ( non molti), rappresentanti delle organizzazioni sindacali ( in piccola schiera). Le istituzioni, pare ovvio per il nostro “elefantiaco” sito, erano massicciamente rappresentati dall’ Arcivescovo. Evidentemente nei nostri luoghi non è ancora arrivata la “ rivoluzione ” civile e democratica…. Nella distinzione dei ruoli.
    Mancavano i rappresentanti ( da singoli o per strutture organizzate) di “ arti, mestieri ed armi”, della media- alta borghesia, dei “censi” e professioni in generale, delle intellettualità “professori del verbo” – in cattedra o meno -.
    La tragedia, dall’alto della loro tranquilla sicumera (sicurezza) quotidiana, non tange. Non turba. Un “normale” incidente popolare. In continuità, quasi, della tradizione……. del “compari Turiddu”….la festa continua, allegramente.
    Una città ormai persa nella rappresentazione dei valori civici, etici e democratici. Della solidarietà umana e sociale, soppressa dalle classi ritornate prepotentemente in auge. In stile fine ottocento. Un bieco corporativismo sociale che ha frammentato i cittadini in decine di migliaia di pezzi. Disoccupazione, precariato, povertà, emarginazione……….gli azi sono esclusivamente di chi li ha!.

    Alla fine della funzione, una quindicina dietro un piccolo striscione. Si declamava lo sciopero generale come momento di ripresa della coesione sociale, richiedendo “ VERITA’ e GIUSTIZIA per SALVATORE LA FATA.

  • APPELLO IN MEMORIA DI SALVATORE LA FATA
    MAI PIU’ “TORCE UMANE”.
    Verità e Giustizia per Salvatore

    Il giorno 19 settembre Salvatore La Fata di 56 anni, lavoratore edile specializzato – manovratore di escavatore-, con moglie e due giovani figli, disoccupato da due anni, si è immolato in piazza Risorgimento a Catania, “ gridando” DIGNITA’ E LAVORO.
    Cercava di arrangiarsi, in maniera non conforme, tentando di vendere prodotti ortofrutticoli con un piccolo banco improvvisato in un angolo della piazza. All’arrivo dei Vigili Urbani, a seguito del sequestro della sua povera mercanzia, attanagliato dalla disperazione, umiliato dalla sua forzata condizione di reietto, si fa diventare “ torcia umana”. E’ morto, dopo dieci giorni, con atroci sofferenze.
    L’ angoscia di non potere portare il “pane a casa” è lancinante, foriera di qualsiasi atto.
    In città e in provincia grande è la sofferenza della disoccupazione, accresciutasi nel corso degli anni in modo sempre più dirompente.
    Povertà, afflizioni, emarginazioni, diseguaglianze, sono cresciute in maniera gigantesca, assieme a precariato, lavoro nero e sfruttamento, nei diritti e nelle retribuzioni. Enorme la disoccupazione giovanile e l’emigrazione. Grandissimo il disfacimento di tutte le articolate attività produttive. Molti altri posti di lavoro sono sottoposti a incombente rischio.
    L’articolo 1 della Costituzione: “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, è costantemente violato. Sono venuti meno i rapporti fondamentali della coesione sociale.
    Nella nostra area territoriale una parte grande di cittadini, uomini, donne e giovani, sono abbandonati alla loro tragica “sorte”, privi di qualsiasi forma si sostegno. Lasciati soli con la propria disperazione.
    C’è in atto una grande disfatta democratica, civile e sociale.
    In questo drammatico contesto da parte delle varie strutture pubbliche si ha la “perversione” di tenere fermi notevolissimi volumi finanziari di investimenti destinati alla città e alla sua provincia, disponibili per dare conforto di lavoro e dignità civile a tanti disoccupati.
    Sui tanti si innalzano i 600 milioni di euro destinati dal CIPE per realizzare le necessarie infrastrutture di fognature e depurazione delle acque reflue. Riguardano molte località dell’area del catanese, in particolare Catania.
    Le forze politiche e sociali per la stragrande parte sono vergognosamente assenti, silenti, paralizzati nell’agire.
    Grande è l’indignazione!
    Con prioritaria urgenza bisogna aprire una fase di sensibilizzazione, mobilitazione democratica, di lotte.
    Un primo momento di coinvolgimento è rappresentato dallo sciopero generale nazionale dei lavoratori/trici della scuola e degli studenti per il 10 ottobre contro il piano Renzi, indetto dai Cobas, Cub e dal altre organizzazioni sindacali di base.
    INVITIAMO A PARTECIPARE AL CORTEO CHE SI SVOLGERA’ A CATANIA.
    Inizio da piazza Roma, ore 9
    Alla fine del corteo, al microfono aperto in piazza Università un familiare di SALVATORE LA FATA leggerà un comunicato.
    Aderiscono ( in ordine di ricezione):
    Domenico Stimolo Saro Urzì
    Alberto Rotondo Mimmo Cosentino
    Circolo Città Futura Gaetano Ventimiglia
    Antonino De Cristoforo C.U.B. (Confederazione Unitaria di Base) Catania
    Cobas Scuola Catania Circolo PRC “Olga Benario”
    Giovanni Caruso Movimento 5 Stelle Catania
    Riccardo Orioles Gapa – associazione
    Redazione de i Siciliani Giovani Circolo SEL Graziella Giuffrida
    Francesco Giuffrida Rete associativa TILT Sicilia
    Barbara Crivelli Enza Venezia
    Gabriele Centineo Toy Racchetti
    Turi Giglio Comitato di base NoMuos/NoSigonella
    Open Mind glbt – associazione Alfonso Di Stefano
    VittorioTurco Carla Puglisi
    Marco Benanti Federazione SEL Catania
    Giancarlo Consoli Nievski
    Luca Cangemi L’Altra Europa con Tsipras
    Anna Di Salvo
    La Città Felice – associazione
    Mario Bonica
    Luciano Nigro
    Lila – associazione
    Giuseppe Strazzulla
    Lillo Venezia
    Titta Prato
    Goffredo D’Antona
    Claudia Urzì
    Nadia Furnari
    Giolì Vindigni
    Agata Sciacca
    Luca Rizzo
    Giovanni Messina
    Giovanni Piazza
    Andrea Calarese
    Elsa Arcidiacono
    (Catania, 9 ottobre 2014)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *