David Lifodi: oltre la paura con Marcelo Barros

“Dobbiamo passare dalla paura alla speranza”, lo ha ripetuto più volte Marcelo Barros, benedettino brasiliano e teologo della liberazione che, nel suo giro per l’Italia organizzato dalla Rete Radié Resch di Quarrata, ha fatto tappa anche a Poggibonsi (Siena). Il suo è un discorso che non si limita ad affrontare tematiche legate al mondo cattolico, ma è molto politico, e nel suo intervento non è difficile ritrovare situazioni, fatti ed eventi vissuti negli ultimi tempi. Del resto c’era da aspettarselo: Marcelo è stato ordinato sacerdote nel 1969 dall’arcivescovo dei poveri Dom Helder Camara ed ha proseguito nel tempo il suo percorso all’interno della Commissione Pastorale della Terra (Cpt) e delle Comunità Ecclesiali di base (Cebs), storicamente vicine ai senza terra brasiliani e alle comunità indigene, probabilmente il presidente Lula ricorda ancora alcune forti critiche sollevate durante il suo mandato per gli scarsi passi in avanti compiuti in merito alla riforma agraria ad opera dei teologi della liberazione.
Viviamo nella società della paura, ci è stato quasi imposto di vivere nella paura, e quindi nell’incapacità di mettersi in relazione con l’altro, spiega Barros, ma noi dobbiamo condurre la nostra vita quotidiana nel tentativo di passare dalla paura alla speranza. Racconta la trama di un film ambientato in un villaggio della foresta. Gli abitanti godono di tutte le comodità all’interno di questa piccola fortezza, hanno tutto ciò che vogliono, ma non possono uscire. Fuori del villaggio si estende una selva pericolosa e insicura, non è consigliato varcare il proprio habitat così tranquillo e confortevole. Questo villaggio immaginario per Barros rappresenta il mondo, dominato dalla pedagogia della paura. Oggi ci hanno imposto la paura e la nostra è una società fondata sulla paura. Il nostro relatore non fa riferimenti espliciti ad alcuni episodi particolari, ma sentendolo parlare a me vengono in mente le campagne securitarie per tenere fuori i migranti dal nostro paese e dalla fortezza Europa e ancora le campagne costruite sulla paura del diverso, dei cosiddetti “clandestini”.

Al contrario, il progetto dell’uomo non deve essere fondato sulla paura, ma sul passaggio dalla paura alla speranza. Bisogna liberarsi dalle paure personali, prosegue Marcelo, ma anche di quelle sociali, politiche e perfino religiose. Qui il suo messaggio diventa dirompente: in un momento in cui le religioni sono utilizzate come strumento di offesa o per puri calcoli politico elettorali, dalle cerimonie pagane di stampo leghista alle guerre umanitarie in nome di un dio o di una religione diventa fondamentale il dialogo interreligioso. Il compito delle religioni, prosegue Marcelo, deve essere quello di dialogare, in tutte sono presenti differenze che costituiscono una ricchezza. “Benedetto sia Dio che ci ha chiamato alla grande speranza” dice con convinzione Barros, sottolineando come il cammino dell’uomo debba essere improntato a vincere la paura grazie alla forza di un amore comunitario, solidale  e fraterno che vinca l’individualismo. Coloro che sono imprigionati solo dal desiderio di accumulare beni, spiega ancora Marcelo, non passeranno dalla paura alla speranza, nonostante l’economia attuale sia fondata sull’accaparramento personale e sull’interesse privato. Molte persone, anche dentro la Chiesa, vivono secondo questo pensiero, ammonisce Barros, ma il giorno del giudizio Gesù non li riconoscerà come tali perché non hanno mai avuto un progetto di vita. Al contrario, quel giorno saranno accolte tutte le persone giuste, pur non credenti, perché hanno sposato il progetto del famoso passo “ho avuto fame e mi avete sfamato”. Il problema, quindi, non è tanto quello di essere religiosi o meno, quanto quello di saper raggiungere la speranza affrontando la paura. Lo ha fatto in maniera degna e ribelle Suor Dorothy Stang, la missionaria americana che pochi anni fa ha pagato con la vita il suo impegno in difesa dell’Amazzonia e degli indios, uccisa con la Bibbia in mano da un gruppo di assassini al soldo dei latifondisti. Suor Dorothy aveva un progetto, quello di condurre una vita di condivisione a fianco degli ultimi, dei dannati della terra, riflette Barros. La speranza è quella vista con i propri occhi dal benedettino brasiliano negli insediamenti del Movimento Sem Terra, in lotta da 26 anni per la riforma agraria. Vivono nelle capanne e nei tendoni ai bordi delle strade, ma hanno un progetto, quello della democratizzazione della vita, della società e lottano per un altro mondo possibile, così come la gente di Korogocho, incontrata da Barros durante il suo cammino: nell’Mst, così come nella grande baraccopoli del Kenya, c’è un progetto di vita comunitaria. Barros dedica alcune parole anche a noi, intesi come persone impegnate nelle associazioni, nelle reti del commercio equo e solidale ed in tutto ciò che possiamo genericamente definire movimenti sociali, definiti come “profeti della speranza”.

Infine Barros dedica due parole al rapporto tra “Ecologia e spiritualità”, che è anche il titolo del suo ultimo libro, uscito quest’anno grazie alla Rete Radié Resch. La Teologia della Liberazione ha dedicato sempre grande attenzione ai beni comuni quali l’acqua, l’aria e la vita. L’ecologia rappresenta la chiave fondamentale per vincere la paura e difendere ogni essere vivente. “La natura non è una merce, non è in vendita”, conclude Marcelo: queste parole da noi suonano familiari e su queste coltiviamo la speranza per costruire un mondo fondato sulle relazioni umane e non sugli indici economici.

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