Perù, le foreste in mano ai privati

di Daviod Lifodi

Dopo la distribuzione dell’energia a piacimento, l’ingresso di imprese edili nella costruzione delle dighe ed i ripetuti tentativi di privatizzare l’acqua stavolta la finestra latinoamericana è dedicata alla volontà di sfruttamento delle foreste ad opera delle multinazionali straniere in collaborazione con il governo neoliberista di turno. Quindi ci trasferiamo (idealmente) in Perù per parlare della Ley Forestal y de Fauna Silvestre, approvata a fine 2010 nonostante le imponenti mobilitazioni indigene. Tratto comune alla privatizzazione delle risorse naturali è la mancata consultazione delle comunità indigene e contadine in merito a progetti che potrebbero danneggiare il loro territorio, come stabilisce l’acuerdo 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Anche in Perù non sono state convocate riunione preventive di informazione sui progetti in corso allo scopo di approvare la Ley Forestal a qualsiasi costo ed il prima possibile: un copione già visto innumerevoli volte.

Il punto chiave su cui gli indigeni ed il governo di Alan Garcia (in scadenza di mandato, le presidenziali si terranno nell’Aprile di quest’anno) sono entrati in rotta di collisione riguarda la norma che permetterà la vendita delle foreste della selva peruviana al capitale straniero. Non c’è dubbio che il presidente Garcia fin dall’inizio abbia voluto portare in fondo questa legge, anche perché già tra il 1985 ed il 1990, durante il suo primo mandato, aveva aperto le porte agli investimenti stranieri contribuendo non poco al collasso della fragile economia del paese. E ancora, è ben vivo il ricordo dell’Aprile 2009, quando la mobilitazione indigena per il ritiro di un pacchetto di decreti raggruppati sotto il nome di “Decreto Legislativo 1090” (nel quale era già inclusa la Ley Forestal), venne repressa violentemente ed uno dei leader della protesta, appartenente all’Aidesep (Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana), fu costretto ad andare in esilio fuori dal paese: il suo nome corrisponde ad Alberto Pizango e probabilmente sarà candidato alle elezioni di Aprile per i movimenti indigeni. L’approvazione della legge sulle foreste aprirà la strada ai grandi latifondi di cui si impadroniranno i proprietari terrieri tramite vendite all’asta di dubbia legalità. Inoltre, spiegano Aidesep e Conacami (Confederación Nacional de Comunidades Afectadas por la Minería) facilita il compito ai madereros, i tagliatori di legname che poi lo rivendono di contrabbando e traggono guadagni dalle imprese committenti che non possono svolgere il lavoro sporco in prima persona. In questo modo i proprietari terrieri saranno padroni di latifondi che vanno dai 40mila ai 100mila ettari e potranno decidere a piacimento come sfruttare i parchi nazionali, il cui destino sarà probabilmente quello di essere convertiti a strutture per il turismo di lusso. Nessun risarcimento, ovviamente, per i popoli che da sempre hanno abitato queste terre, e rischio estinzione per le tribù di indiani isolati. In Perù i conflitti sociali per la salvaguardia del territorio e i diritti dei popoli sono cresciuti a dismisura negli ultimi anni, soprattutto per i tentativi di escludere dal confronto le comunità locali. Nel caso della Ley Forestal il governo ha addirittura provato a spacciare come dialogo con gli indigeni una riunione informativa tenuta con un’organizzazione di dubbia provenienza, la Coordinadora de Pueblos Indígenas de la Amazonia, con il triplice scopo di indebolire, comprare e confondere le comunità indigene. Per fortuna questa organizzazione, molto simile alle leghe contadine create in Chiapas per dividere le comunità e vicine, in realtà, all’esercito ed ai paramilitari, è stata smascherata dai movimenti indigeni autentici. E’ grazie a loro infatti che è emerso con chiarezza cosa stava dietro alla volontà di approvare il prima possibile la Ley Forestal. Non si tratta solo di favorire gli investimenti stranieri, ma di adempiere ad uno degli accordi interni al Trattato di Libero Commercio firmato tra Perù e Stati Uniti, come ammesso anche da alcuni ministri del governo di Lima. L’intero processo di sponsorizzazione della legge proverrebbe dal Perù Forest Service Iniziative, uno dei programmi di Usaid, l’ambigua agenzia di cooperazione nordamericana che una volta di più ha dimostrato i suoi lati oscuri: in questo caso sembra infatti che si sia adoperata per corrompere i dirigenti indigeni. Con questi presupposti le richieste delle organizzazioni popolari per un previo dibattito sulla legge decentralizzato nelle varie regioni del paese affinché sia realmente favorita la partecipazione sociale rimarrà lettera morta, nonostante il diritto alla consultazione delle comunità native sia un obbligo e non un favore che può essere concesso o meno. Ad oggi la legge sarebbe inoltre passibile di incostituzionalità non solo per la mancata consultazione delle popolazioni ma anche perché consegnerebbe le concessioni forestali a piacimento e senza alcun concorso. Non hanno definito la loro posizione in maniera chiara nemmeno le organizzazioni non governative e le agenzie di cooperazione presenti nel paese: alcune lavorano a stretto contatto con i popoli indigeni rispettandone costumi, tradizioni e soprattutto l’agire politico, altre invece fanno parte di quella zona grigia che, seppur non necessariamente legata ai programmi di Usaid, cercano di trarne vantaggi per il proprio tornaconto personale.

In ogni caso, la gestione sostenibile dei boschi dell’Amazzonia peruviana non si può fare senza la partecipazione dei popoli indigeni: proveranno in tutti i modi ad emarginarli, ma le massicce mobilitazioni degli ultimi mesi indicano che non sarà facile.

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