De Giovanni, Heinichen, Hinkson, Malvaldi, Popov, Pulixi e …
… e il trio Carlotto-De Cataldo-De Giovanni
7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio
Marco Malvaldi
Sellerio
226 pagine, 14 euro
Pineta. 7 gennaio 2018. La procace precisa intelligente Tiziana Guazzelli deve andare dal commercialista, coglie l’occasione per valutare con il matematico Massimo Viviani l’andamento del loro nuovo BarLume. Arrivano e, prima di salire al primo piano, trovano Alice Martelli a piano terra, la freddolosa compagna 37enne di Massimo, attesa presso l’ufficio del notaio (pare che i due professionisti condividano pure altro, oltre alla palazzina). Occorre presenziare all’apertura di un testamento, nel cui testo (evidentemente) si parla di qualche reato che interessa l’autorità giudiziaria. Dieci giorni prima era morto Alberto Corradi (nato lì nel 1948), ricco proprietario della Farmesis e padre di Matteo (nato a Pisa nel 1980), ora ha lasciato scritto di aver ucciso nel maggio 1968 il padre putativo Camillo Luraschi, il lascito testamentario non può essere reso operativo, accidenti! E poi c’è di mezzo il Sessantotto: che accidenti facevano allora quelli della banda della “Magliadilana”, proprio nell’anno in cui Massimo stava appunto venendo al mondo e loro non erano ancora vecchietti prostatici (tutti ispirati a personaggi reali)? Certo conoscevano Luraschi. Aldo era già del Torino (come Massimo e alcuni altri), Pilade Del Tacca già lavorava all’anagrafe (tanto che Alice gli dà un incarico ufficiale), Gino Rimediotti si dichiarava già nostalgico di destra e, soprattutto, Nonno Ampelio Viviani (ora diabetico, vicino ai novant’anni) era ferroviere sindacalista di sinistra e fu arrestato per rissa aggravata. Tocca ancora una volta a Massimo e ai simpatici sodali capirci qualcosa, tanto più quando capita un altro omicidio che si ricollega a delitti dei tempi andati, in qualche modo.
Maurizio de Giovanni
«Il purgatorio dell’angelo»
Einaudi
316 pagine, 19 euro
Napoli. Maggio 1933. Il ricchissimo barone commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, proprietario di mezzo Cilento, è certo di essere pazzo, e di aver ereditato la sua follia dalla madre, la defunta baronessa Marta. Piuttosto è incerto se confessarlo finalmente a qualcuno, forse alla stessa amata Enrica, con la quale finalmente si frequentano da dolci innamorati, nonostante l’opposizione della madre, l’aggressiva Maria. Lui quasi 33 anni, enigmatico ciuffo ribelle e inquiete pupille verdi, scuro e ateo, schivo e introverso, senza auto né patente; lei 25, occhi neri e occhiali, miope gentile alta mancina, poco aggraziata, riservata e silenziosa, paziente e risoluta. Ricciardi si sente diverso, nei luoghi che frequenta percepisce tanto dolore, le voci di chi è morto, ascolta chiaramente ultime parole e sentimenti quando si trova sulla scena della dipartita (criminale o meno). Questa volta lo chiamano sugli scogli di Posillipo, in fondo a via Costa c’è il cadavere di un anziano prete, colpito in testa da dietro senza segni di colluttazione, lui capisce che era inginocchiato (l’autopsia confermerà) e parlava di una confessione (perché e di chi andrà indagato). Il brigadiere Maione gli è accanto e collabora con affetto e dedizione, pur distratto da una serie di rapine di un gruppo di ragazzini nel quartiere Chiaia, quasi all’orario di chiusura e distanti dalle ronde delle guardie. La vittima dell’omicidio, padre Angelo, era apprezzato sia nella comunità di gesuiti di San Luigi ove viveva da decenni, docente teologo, sia da vari esponenti della più alta società cittadina, dei quali era il preferito confessore. Nel suo passato o nel suo presente si nascondono segreti, sommessamente Ricciardi li scoprirà, sollecitando chiare confessioni agli affetti più cari.
Il grande scrittore italiano Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha più volte annunciato che la sua prima e più amata serie è giunta quasi al termine. Dopo gli esordi con le quattro stagioni del 1931, il seguito delle feste del 1932, ora narra alcuni mesi (residui) della magnifica città. Siamo all’undicesimo volume, molto bello, probabilmente il penultimo. In copertina l’ucciso, il mare e la sagoma della montagna che si distingue nella luce di latte. Con un titolo pervasivo: i peccati sono un fardello di cui non si libera con facilità (solo per qualcuno, credente o meno), la vita è un purgatorio per chi ha fede (e qualcun altro), soprattutto per gli angeli come è noto. Così gran parte dei personaggi combattono con la necessità di confessarsi, per l’assoluzione o lo sfogo. Come sempre, la narrazione è in terza varia al passato, le due indagini e le vicende private accavallate con sapienza drammaturgica, capitoli talora intervallati da inserti che raccontano la storia parallela dell’antico “scherzo” di due studenti per evitare una prova di greco in classe (alla fine si capirà l’intreccio), oltre che dai (rari) intensi toccanti ispirati corsivi autorali. Gran ragù preparato da Lucia per il marito brigadiere, i sei figli e il nuovo allievo prediletto. La colonna sonora musicale è affidata all’avvenente personaggio che siamo tutti in attesa di incontrare (prima o poi), Bianca Borgati, marchesa di Rosaspina. Mentre il marito è giustamente in prigione, muore il carissimo leale amico Carlo lasciandole tanti denari e gran bei dischi, soprattutto due (clandestini) cantati dalla giovane mitica Billie Holiday: But Not for Me e The Man I Love, dei fratelli Gershwin.
Piergiorgio Pilixi
«Lo stupore della notte»
Rizzoli
360 pagine, 18 euro
Milano. Dicembre 2017. Rosa Lopez ha 46 anni e uno stato di servizio impeccabile: laureata entra da sottotenente nell’Esercito, due anni volontaria in missione nei Balcani, poi carriera in polizia, sette anni in Calabria, finché risulta prima al concorso interno per commissario, trasferendosi nel 2009 a Milano dove si dota di un arabo perfetto e ottiene varie specializzazioni, 157 arresti, 64 espulsioni, 37 onorificenze, 14 proiettili nella cassetta postale. Graziosa e arcigna, forme generose e toniche, allenamenti quotidiani, abitazione impersonale e sempre temporanea intestata a un prestanome, dorme poco, mangia vegetariano, soffre di ulcera e stress, beve impreca spara come un uomo. Ora è al Forno, capo dell’Unità speciale (circa una ventina di persone) contro il terrorismo di matrice islamica. Frequenta per sesso e distrazione (rigeneranti) un ricco affascinante medico giramondo, prima ha avuto due intensi amori, il suo vecchio capo (ucciso dalla ‘ndrangheta) e un amico collega più giovane (in coma), la chiamano “Vedova nera”. Voci affidabili segnalano che si sta preparando un grande attentato. Lei lavora anche per gli americani (un vecchio ricatto) alle spalle del Viminale; loro ne sono certi, gestiscono infiltrati e altre fonti criminali; hanno sede nei duemila metri quadrati non accatastati del Lovers (già Albergo Venere, base Ovra, prigione nazista, quartier generale alleato), mitico profondo centro fantasma di detenzione e tortura. Sono stati rubati tre fucili d’assalto AK-47, ci sono funzionali giri di droga e denaro, vari ragazzi si stanno organizzando per diventare martiri, scompaiono tre furgoni, forse esiste davvero il Maestro, nell’ombra, a gestire regia e depistaggi, qualcuno che conosce bene metodi e capi degli investigatori italiani. Moriranno in tanti, davvero tanti, e Rosa si arrabbierà di più, costretta a vederne di tutti i colori e i sapori.
L’autore e sceneggiatore Piergiorgio Pulixi (Cagliari, 1982) da dieci anni si fa avanti con acume e coraggio sulla scena letteraria europea. Dopo aver partecipato giovanissimo al Collettivo Sabot (animato da Massimo Carlotto), dopo la tumultuosa quadrilogia sul corrotto Mazzeo (nel nordest), dopo altre prove interessanti (e premiate), si cimenta ottimamente con il terrorismo: hard-boiled, spy-story, giallo, thriller nell’inquinato luccicante ecosistema milanese (dove ora vive). La narrazione in terza varia al passato segue sia Rosa sia gli altri protagonisti, soprattutto quelli attorno al Maestro, che aveva impiegato anni a costruire un piano di geometrica precisione, a dragare nel web e nei quartieri metropolitani più disagiati (incubatori di radicalismo e indottrinamento), a reclutare emarginati e piccoli delinquenti alla deriva disposti a ritrovare il “vero” Islam. Pulixi mantiene la cifra di noir adrenalinici, alternando sempre con ritmo ed efficacia differenti ambientazioni sociali e dimensioni emotive e previlegiando l’azione senza disdegnare l’introspezione. Lo stile si è via via affinato, arricchito, maturato. Segnalo che la poetessa preferita da Rosa è Alda Merini, ne visita la tomba al Monumentale. Il Cuba ha un aroma delizioso; grande cura nella scelta sia dei vini che dei liquori, il pugliese Nero di Troia (Canace, 2007) è intraprendente e determinato come lei, che predilige pure il Joe Lovano Classic Quartet (lui sassofonista). Anche se poi ai ricordi s’abbandona con Mina, Se telefonando.
Veit Heinichen
«Ostracismo»
traduzione di Monica Pesetti
Edizioni e/o
300 pagine, 18 euro
Trieste. Novembre 2016. Il bravo gigantesco cuoco Aristèides Athos Kiki Albanese, cresciuto senza padre, madre di origini greche morta quando aveva 4 anni, ne ha ormai 54. Gli ultimi 17 li ha trascorsi in carcere, è uscito da tre mesi con barba folta e capelli castani lunghi raccolti in coda di cavallo, qualche fantasiosa idea per la testa. Fu condannato da capro espiatorio per un omicidio non commesso su falsa retribuita testimonianza di dodici traditori; ora deve comunque ancora presentarsi dagli sbirri una volta alla settimana. L’anziana malata 80enne ex prostituta Melissa zia Milli Fabiani ha ingenti risparmi da parte e lo aiuta in tutti i modi ad aprire un ristorante d’intesa con la comunità di periferia del dinamico 60enne don Alfredo, cui era stato affidato appena scarcerato e dove preparava i pasti per i profughi. In cucina lo aiuta il dotato pakistano 35enne Aahrash Ahmad Zardari, presso il cui piccolo appartamento vive, disponibile anche a collaborare alla nuova impresa. In vista dell’apertura vorrebbe però togliersi lo sfizio di vendicarsi. Comincia a intrufolarsi nelle case di chi lo tradì e a preparare loro qualcosa di molto buono, avvelenato. Fra di loro ci sono due figure chiave: la sua compagna di allora, Fedora Bertone, esuberante sgualdrina bionda, allora cameriera nella sua trattoria, che ora gestisce come bar, senza avergli permesso rapporti col figlio Dino 24enne; il potente politicante Antonio Tonino Gasparri che lo fece fuori, consigliere comunale e regionale ammanicato con tutto e tutti, esile e untuoso, furbo e corrotto. E potrebbe andarci di mezzo forse anche il commissario (dal 1999) vicequestore (già da un po’) Proteo Laurenti, che 17 anni prima non si ribellò alla dinamica criminale e ora indaga su un’armatrice precipitata nel vuoto.
Veit Heinichen (Villingen-Schwenningen, 1957) è un economista tedesco che ha scelto prima di essere solo un professionista letterario, libraio editore giornalista, poi di trasferirsi nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia dove vive da decenni. In una ventina d’anni ha anche scritto una decina di belle premiate avventure noir del testardo Laurenti, di lontane origini salernitane, poliziotto di strada, alto e sottile, sempre innamorato della moglie Laura, bella energica donna d’affari (le storie con Linda e Ziva risalgono al passato) e dei tre figli ormai grandicelli, Livia Patrizia Marco (nati a due anni di distanza l’una dall’altro, cresciuti con le solite dinamiche familiari, ogni volta articolate e aggiornate). Molto si parla dei rapporti fra Trieste e Grecia, anche il titolo fa riferimento all’istituto dell’esilio forzato, utilizzato nella democrazia di Atene e di altre antiche città greche per mettere al bando persone capaci ritenute pericolose dal potere costituito. Bella l’idea del nuovo ristoro in centro: usare avanzi a basso costo per preparazioni improvvisate e di gusto, tanto che il giornale spiega con entusiasmo anglo-verboso che il nuovo “ristorante fast-casual propone piatti espressi preparati in front-cooking con la rapidità di un locale quick service. La selezione del giorno non è molto ampia, ma i prodotti sono freschi e il locale offre anche un servizio di take-away, ponendosi a un livello intermedio tra il fast food e il casual dining… Rating AA+”. Sullo sfondo i discutibili interessi commerciali portuali e le persecuzioni legaiole contro i migranti. Troppo prosecco, ma alla piccola taverna greca accanto al Ghetto Laurenti si concede un rosso di Creta, lo Skalani, cuvée di Syrah e Kotsifali.
Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni
«Sbirre»
Rizzoli
222 pagine per 18,50 euro
Pubblica sicurezza. Oggi. Anna Santarossa è vicequestore in Friuli Venezia Giulia, diligente, colta, gentile, bella, sterile. Da quattro anni ogni tre settimane tradisce polizia di Stato e marito Pietro con il sovrintendente capo Zeno Degrassi alla pensione Mangart, frontiera fra Italia Austria Slovenia. Corrotti dalla mafia bulgara (per far passare armi, stupefacenti, latitanti, puttane, soldi) dividono diecimila euro, vino, sesso (dopo un’iniezione di papaverina nel cazzo). Finché qualcuno nelle campagne di Cormons taglia la gola a Zeno, che aveva una maestra moglie (da dodici anni) e due figli maschi. E Anna finisce in grossi guai, davvero. Alba Doria è commissario all’Unità di analisi del crimine violento di Roma, nemmeno trentenne, corti capelli biondi e occhi verdi. Col suo capo Paolo Petti, vanesio rapace cinquantenne sovrappeso col quale è stata a letto una sola volta nonostante lui continui a insistere, stanno guardando per l’ennesima volta il video di un ragazzo che ha sparato ai genitori e si è gettato dal terrazzo. C’è qualcosa che non la convince, come se l’omicida fosse teleguidato. Finché si verifica un caso apparentemente analogo. E Alba si butta a cercare nella rete profonda, il dark web, fra odiatori e psicopatici affetti da triade oscura, davvero. Sara Morozzi si è autorottamata dall’unità speciale di Napoli, lei maestra per le intercettazioni, bruna poco più che cinquantenne, occhi azzurri e tratti dolci, figura minuta e capelli ingrigiti. Il suo amore 76enne è morto dopo penosa malattia, per lui aveva abbandonato la famiglia. La avvisano ora che anche il figlio metodico scienziato chimico Giorgio Alberti (che non vedeva da anni) è deceduto in un incidente stradale, davanti alla casa dove viveva con la compagna fotografa incinta. Sara agisce subito, indagando i segreti, aspettando con tenacia, ricominciando a fare il braccio che punisce, davvero.
Massimo Carlotto (Padova, 1956), Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) e Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) sono tre fra i maggiori scrittori italiani contemporanei, dediti prevalentemente alla letteratura e al romanzo giallo noir, senza disdegnare altre arti e altri generi. Il progetto di un volume collettaneo risale indietro nel tempo e vede finalmente la luce con tre estesi bei racconti polizieschi dedicati a protagoniste di sesso femminile, “Senza sapere quando” per Carlotto, “La triade oscura” (il più lungo) per De Cataldo, “Sara che aspetta” (il più breve) per De Giovanni. Esperimento riuscito. Terza persona fissa al passato per tutti. Sara era apparsa in un recente libro dell’autore napoletano, inizio di una serie, comunque il racconto è ambientato qualche mese prima degli avvenimenti del romanzo (non dopo), quando sta per essere ricontattata dall’ex collega (già ai Servizi) Teresa Pandolfi, ora a capo della sezione, che le vuol chiedere appunto di seguire piste informali di guai e crimini, attraverso indagini appartate con procedure non convenzionali. Anna e Alba sono di fatto alla loro prima apparizione, pur non potendosi ora escludere che possano tornare; soprattutto la seconda, brillante nella Rete buia, garanzia di affermazione sociale; la prima si trova comunque in braghe di tela, umiliata con metodo, finendo per chiedere aiuto proprio alla brava moglie dell’amante, Aleksandra Droic a Tarvisio. Comunque donne sensibili, di forte adeguata reattività, capaci di violenza, in bilico fra bene e male, immerse nei crimini e nelle vendette. Ribolla gialla per Anna, Sauvignon per lo spasimante di Alba, costretta pure alle note di Dragon Ball e Carmina Burana.
Duško Popov
«Spia contro spia»
traduzione di Carla Chiaffrino (e Sofia Merlo)
Sellerio
452 pagine, 15 euro
L’Europa tra guerre mondiali e doppi giochi. Dušan “Duško” Popov (1912 – 1981) apparteneva a una ricchissima poliglotta famiglia serba e, dopo studi giuridici, abile amante della bella vita, esercitò il mestiere di spia. Durante la Seconda Guerra, sotto lo pseudonimo Tricycle, lavorava per i tedeschi e riferiva agli inglesi, mantenendo comunque “troppi stemmi” sulla sua “bandiera”. Nel 1940 in Portogallo ispirò Fleming per la scena del bluff al tavolo da gioco (e altro ancora, anche se considerava 007 inverosimile). Nel 1941 avvisò gli anglo-americani del prossimo attacco a Pearl Harbour ma non fu preso sul serio (dal pessimo incompetente Hoover). Come Duško Popov spiega nel prologo dell’autobiografia “Spia contro spia”, a fine guerra gli diedero due abiti civili e un cambio di biancheria, andò in pensione, gli fu concessa cittadinanza britannica e vivacchiò niente male, attese un poco per raccontare ricordi personali e storie serie, verificando retrospettivamente i fatti.
Jake Hinkson
«Inferno in Church Street»
traduzione di Roberto Marro
Edizioni del Capricorno
220 pagine, 14 euro
Verso l’Arkansas. Poco tempo fa. Il fuggitivo Paul cerca qualcuno da rapinare e incontra il grassone Geoffrey Webb. Gli punta la pistola e salgono in macchina. Geoffrey preme l’acceleratore a tutta e propone un accordo, non gli importa di morire. Da anni vive come una termite (e cita ancora Shakespeare): fa il turno di notte al supermercato della stazione di servizio fuori Sallisaw in Oklahoma, niente famiglia, niente amici, fuma e mangia schifezze. Ora vorrebbe tornare nel minuscolo paese di Little Rock, è disponibile a lasciare i tremila dollari nelle mani del rapinatore pur di potergli raccontare, lungo il percorso notturno di almeno cinque ore, perché merita di andare all’inferno. Comincia a guidare, parlare, narrare. Ha avuto una pessima infanzia e adolescenza: la madre menefreghista se ne andò poco dopo la separazione dal padre violento e sadico lasciandolo allo zio molto credente. Frequentò la chiesa battista, fu accettato nel gruppo giovanile da Fratello Leonard e, finite le superiori, pur non credendo, trovò lavoro come ministro per condurre il gregge dei giovani fedeli, ebbe discreto successo dicendo bene loro quel che volevano ascoltare, finché conobbe la figlia del pastore. Angela Card aveva meno di 17 anni, era poco attraente, sovrappeso, capelli biondo pallido e vacui occhi azzurri. Assegnarono a Geoffrey una casetta bianca di legno a meno di 5 minuti dalla canonica dei Card e a 10 dalla chiesa, tutte lungo Church Street. Lui nascose una consistente collezione di videocassette porno ma ormai pensava sempre ad Angela, riuscì a farle dimenticare il ragazzo di cui era invaghita, lentamente la conquistò e sedusse, non aveva mai baciato una ragazza prima, sarà la prima e ultima perché poi sarà scoperto e ricattato, avviando una spirale di violenza.
Lo scrittore americano Jake Hinkson (1975) è cresciuto in una comunità religiosa di una regione isolata delle Ozarks Mountains (dove il romanzo è ambientato) e ha conosciuto bene le chiese evangeliche delle piccole città dell’Arkansas. Poi si è trasferito a Chicago, iniziando a pubblicare molte buone cose, questo del 2011 è l’esordio letterario, poi pubblicato in Francia un paio d’anni fa (Prix Mystère de la critique 2016), ora finalmente in italiano, cui sono seguiti vari altri romanzi noir, racconti e saggi. La narrazione è tutta in prima persona, all’inizio e alla fine Paul, l’ampio corpo centrale Geoffrey, che si presenta come l’uomo peggiore del mondo. Il più cattivo risulta forse il massiccio sceriffo della contea, Timothy “Doolittle” Norris, guance rosse e capelli argentei, rieletto per il rotto della cuffia, parte essenziale di una specie di famiglia mafiosa (guidata dalla madre), che controlla varie attività criminali, dispensando pure marijuana e metamfetamine. Ma, del resto, “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, sottolinea Fratello Webb, citando addirittura Tolstoj. Rimarchevoli e meditabili le quattro essenziali verità della vita: la maggioranza delle persone vuole che tu dica loro quel che vogliono sentirsi dire; ci fidiamo soltanto delle persone che condividono i nostri pregiudizi; per il 99,9 % del mondo tu non esisti; il numero di persone a cui “importa” di te è direttamente proporzionale al bisogno che hanno di te. In effetti, conosco qualcuno che le conosce e le applica.