De Sica tra i Nez Percés: il segreto del “Fiume senza ritorno”

di Fabio Troncarelli

Il 29 aprile 1954 la prima di River of no return (La magnifica preda) di Otto Preminger con Robert Mitchum e Marylin Monroe

Il 29 aprile 1954 fu proiettato per la prima volta a Denver (Colorado) il film di Otto Preminger River of no return, ribattezzato in modo osceno in italiano La magnifica preda. La preda era ovviamente l’attrice protagonista del film, Marylin Monroe, tanto di tutto il resto non gliene fregava niente a nessuno, a cominciare dagli insonnoliti e stupefatti spettatori del Colorado. Eppure il film non andò male. Però gli incassi (circa 3 milioni di dollari) bastarono appena per ripagare una produzione che aveva sfondato ogni limite, perché tutto era stato esagerato e sfrenato. E lo credo bene. Mesi e mesi a scorrazzare per migliaia di chilometri dall’Idaho al Candada, tra fiumi selvaggi, montagne mozzafiato, orsi, lupi, cervi e pure qualche puma. Tre stuntman ci rimisero la pelle. E quei satanassi di protagonisti, la già ricordata Marylin e Robert Mitchum, che finiscono in mezzo a rapide violentissime che li sbattono contro rocce affilate come pugnali, col risultato che la cinguettante Maryilin si sloga la caviglia e il povero Mitchum quasi annega per salvarla.

Tutte queste avventure e disavventure fecero aumentare la spesa e l’impresa. E fosse stato solo questo a rovinare le cose. Sul set litigarono tutti contro tutti, dalla mattina alla sera. Alla fine Preminger, scocciatissimo, se ne andò poco prima della fine delle riprese e dovettero chiamare Jean Negulesco per girare qualche scena di raccordo, spendendo soldi a palate per rifare tutto da capo.

Mettendo da parte il problema soldi, la domanda è: che cavolo succedeva? Beh, Preminger non aveva tutti i torti. E’ vero, non aveva mai girato un western. Però non era il signor nessuno. E invece lo prendevano tutti a pesci in faccia. Mitchum, eternamente ubriaco, lo sfotteva e gli rifaceva il verso davanti a tutti, trattandolo come un ragazzetto. Quanto a Marylin, dire che era ostile al regista è poco. Stufa di essere presa da tutti per un’oca giuliva, si era portata sul set la sua insegnante di recitazione (i maligni dicono che fosse anche qualcos’altro), che le impediva perfino di mettersi un cappello se non faceva per filo e per segno quello che diceva lei. Risultato? Il povero Preminger non poteva aprire bocca. La virago, che si chiamava Natasha Lytess e veniva dalla Berlino espressionista di Max Reinhardt, non si sprecava per film che non fossero all’altezza di Nosferatu e disprezzava tutto e tutti. Al punto che se la prese perfino, violentemente, contro il povero ragazzino che interpretava il figlio di Mitchum, Tommy Rettig che non solo era un pezzo di pane, ma comunque era poco più di un bambino. Rettig scoppio a piangere davanti alla troupe e la troupe inferocita cacciò la Lyttes dal set, un’orda di ribelli che affratellò macchinisti, comparse e segretari, capitanata dal Masaniello-Preminger, notorio gentiluomo viennese che bestemmiava vomitando parolacce che avrebbero fatto arrossire la sua severissima governante. Ma la ribellione fu presto domata La perfida Marylin telefonò a Zanuck che aveva prodotto il film per la XXth Century Fox e lo ricattò dicendo a chiare lettere: me ne vado subito se non c’è con me la mia insegnante di dizione. E così Preminger fu costretto ad abbozzare, ottenendo unicamente che la famigerata Lyttes restasse sul set solo quando c’era Marylin e parlasse solo con lei e mai con gli altri.

Preminger era un gigante, che a Vienna godeva del rispetto di un Luchino Visconti: E invece tutti lo trattavano come un nanerottolo. A cominciare da Stanley Rubin, il produttore esecutivo sguinzagliato sulle sue orme dalla XXth Century , che seguiva il film passo dopo passo ed era sempre più orripilato e disgustato da quello che vedeva. Per Rubin la scelta del regista era stata completamente sbagliata: Preminger, che peraltro non voleva neppure fare il film ed era stato costretto a farlo per contratto, non aveva nessun talento per il western ed era solo un intellettualino con la puzza al naso. Come poteva rendere lo spirito dei pionieri se non era un vero macho? E allora dagli giù con una persecuzione quotidiana, fatta di telegrammi, telefonate, sbuffi, malumori, giudizi spietati, che ridussero il povero Preminger a uno straccio e lo convinsero che era meglio sbattere la porta in faccia a tutti e fuggire, anche se ormai il film era quasi finito e anche se così doveva pagare esorbitanti penali.

Beh, che vi devo dire? Di fronte un casino di questa portata uno pensa: il film doveva venire fuori uno schifo. E infatti molti saccenti intellettualini di casa nostra, che si spacciano per critici cinematografici solo perchè sono sempre ipercritici, hanno detto esplicitamente che il film è stato fatto senza convinzione, né participazione da parte di Preminger, ammiccando al pubblico più grossolano, senza preoccuparsi di propinargli una minestra riscaldata piena di clichés. E invece hanno torto marcio. Il film è magnifico ed è questa la “magnifica preda” dello spettatore! Vi chiederete come mai? Beh, senza dubbio Mitchum che fa il duro senza esserlo è adorabile. E il bambino è stupendo. E pure Marylin, nostante la spocchia, fa faville tra spacchi vertiginosi e camicette bagnate fradicie incollate al corpo. E ci commuove quando canta le belle canzoni del film scritte da due veterani come Lionel Newman e Ken Darby. E poi ci sono paesaggi da capogiro in Cinemascope. E se vogliamo dirla tutta, il vecchio maestro Preminger, da quel superbo direttore di attori d’accademia e d’avanguardia che era a Vienna, riesce a far recitare pure i sassi: è il caso di dirlo visto che la vicenda si svolge tra le rocce aguzze delle montagne della meravigliosa Frank Church Wilderness, estesa per 6.641 chiometri quadrati, che molti ritengono decisamente superiore al parco dello Yellowstone.

Però la verità vera è un’altra. Ve lo dico in confidenza. Il film nasconde un segreto. Un segreto che solo i soliti critici ipercritici credono il segreto di Pulcinella. La storia del film è ripresa da Ladri di biciclette di De Sica, anzi è quasi un sequel di Ladri di bicilclette. L’ha detto tante volte Louis Lantz, che ha scritto il testo da cui era stata tratta la pellicola1. I critici criticoni si sono chiesti: che cosa voleva dire? E si sono affannati per capire se è vero che il primo film somiglia al secondo. Non hanno cavato un ragno dal buco e nessuno c’è più tornato sopra. Ma chi ha un po’ di sale in zucca lo capisce al volo dove si annida il mistero.

Prima di raccontarvelo permettetemi di raccontarvi la storia del film.

Siamo nel 1875. Qualche anno prima è scoppiata la “corsa dell’oro” dell’Idaho e i poveri indiani Nez Percés sono stati cacciati via per fare posto ai cercatori d’oro. Qualcuno è rimasto ancora in agguato tra i monti, deciso a farla pagare cara ai bianchi. Ma gli altri, guidati dal grandissimo leader Capo Giuseppe, sono fuggiti verso il confine col Canada, distante circa 3.000 chilometri, un’odissea tragica che si concluderà dolorosamente nel 1877. Tutto questo non viene detto, ma è evidente per chi conosce la storia degli Stati Uniti.

Bene, c’è un vedovo di mezza età, Matt Calder (Robert Mitchum), che è stato in galera per omicidio. Scopriremo che ha ucciso un vigliacco per salvare un amico. Però gli ha sparato alle spalle e tutti hanno detto che è stato lui il vigliacco. Matt esce finalmente di prigione deciso a rifarsi una vita. Torna da dove veniva: un buchetto nell’Idaho, dove c’è una tendopoli di cercatori d’oro, vicino a una metropoli che si chiama Council City, che oggi vanta 816 abitanti. Lì ci vive suo figlio Mark (Tommy Rettig), rimasto orfano della madre. Matt ritrova il ragazzino in un saloon piuttosto equivoco, dove Tommy, rimasto solo, è sopravvissuto grazie all’aiuto di Kay (Marylin Monroe), una cantante che canta canzoni volgari per avvinazzati (“look my back” ,” Guardami il culo” esclama dimendosi mentre gorgheggia davanti ai minatori).

Kay però non è così cattiva come sembra e vuole bene al ragazzino che la ricambia (a quanto pare avvenne lo stesso anche durante le riprese del film). Ma Matt Calder non è contento di questa madre adottiva spudorata e immorale: e si porta via il figlio senza tanti complimenti e senza troppi ringraziamenti alla donna.

L’uomo torna dove viveva con la moglie, prima di essere arrestato, una fattoria vicino al grande fiume soprannominato “Senza ritorno”. Si tratta del cosiddetto Salmon river, pieno di rapide e di cascate, chiamato così perché era talmente pericoloso che le chiatte con la merce scendevano con la corrente con un percorso di “solo andata”, tanto indietro non ci tornavano davvero. Matt si sforza, ostinatamente, di ricominciare da capo e non dice al figlio di essere andato in prigione: e il figlio lo adora, lo considera un eroe, che è dovuto partire senza volere, ma che adesso è tornato, lo aiuta e gli insegna tutto, a cominciare da come si spara col fucile.

Nel frattempo Kay ha un’occasione di cambiare vita: il suo amante, un giocatore di professione, il cinico Harry Weston (Rory Calhoun) ha vinto a poker una miniera, imbrogliando come al solito l’ennesimo cercatore d’oro ubriaco. Harry deve correre a Council City per registrare la miniera a suo nome: dopo sarà finalmente ricco. Senza tanti complimenti l’uomo impone a Kay di accompagnarlo, mollando tutto. I due montano su una zattera sgangherata e scendono il fiume pericolosissimo. Ma la strana coppia non fa molta strada e naufraga proprio davanti al ranch di Matt, che li vede e li salva. Per un pelo. Il ragazzino e la cantante si ritrovano con allegria, ma Harry non è per niente allegro: deve correre a registrare la vincita, prima che il proprietario truffato lo ritrovi e blocchi tutto. Così chiede a Matt di vendergli il fucile e il cavallo per correre in città, ma Matt ovviamente rifiuta: in quella regione chi è senza un cavallo e senza un fucile è un uomo morto. E poi sulle colline si vedono i segnali di fumo degli indiani sul piede di guerra. Harry allora stordisce Matt, ruba quello che gli serve e parte al galoppo. Kay decide però di fermarsi per aiutare Matt e Mark.

Gli indiani attaccano la fattoria e i tre sono costretti a fuggire, recuperando fortunosamente la zattera sgangherata. Incomincia una serie di avventure indiavolate. I tre se la cavano sempre per il rotto della cuffia, sopravvivendo agli indiani, alle rapide, ai mulinelli, agli animali feroci. Matt continua ad essere acigno con Kay e la rimprovera per quello che ha fatto il suo compagno; ma Kay gli dice che il suo compagno almeno non ha ucciso nessuno, svelando al piccolo Matk il segreto del padre. Il ragazzino ha uno choc: l’uomo che adorava non è un eroe, ma un assassino. E soprattutto ha ucciso da vigliacco, come nessun eroe avrebbe mai fatto.

Comincia la parte più penosa del viaggio fatta di silenzi e di amarezza. E anche la più pericolosa. Alla fine, dopo essere scampati a cascate terrificanti, i tre arrivano in città. Esausti e sporchi, si fermano a un emporio per comprare vestiti e mettere qualcosa sotto i denti. Matt vede in strada il suo cavallo e scopre dove si è rifugiato Harry. Vuole vendicarsi, ma Kay lo ferma e chiede di parlare per prima con il suo ex compagno. Lei lo conosce. E’ un fallito come lei.. Come tutti quelli che vivono in questi posti perduti, dopo aver perduto dignità e onore. Proprio come Matt. Sa che Harry non è cattivo, che chiederà perdono per quello che ha fatto. E Matt, che comincia a intenerirsi per Kay, la lascia andare. Ma tutti e due hanno fatto i conti senza l’oste. La ricchezza ha trasformato Harry in un demonio. Appena vede Matt gli spara a tradimento e lo ferisce. Poi gli si avvicina con un’aria esaltata, diabolica. Sta per sparare l’ultimo colpo. Ma l’ultimo colpo lo spara il ragazzino, che ha imparato dal padre ad usare il fucile e ha messo a frutto i suoi insegnamenti, anche se l’uomo è decaduto dal ruolo di Maestro a quello di Peccatore. Mark ha preso un fucile dalla vetrina

dell’ emporio. E ha sparato al satanico Harry. Alle spalle. Come aveva fatto il padre per salvare l’amico.

Come in una tragedia greca, il Destino ha reso il figlio uguale il padre. Come in una tragedia greca, le colpe del padre ricadono sul figlio. Come in una tragedia greca, la catarsi degli eroi è il loro annientamento in quanto eroi e la loro rinascita in quanto esseri umani.

E’ proprio questo il legame segreto tra River of no return e Ladri di biciclette: questo finale degno di Sofocle, senza catarsi, senza redenzione, che il finale vero del film con il suo happy end raffinato riesce solo in parte ad attenuare. Quello che abbiamo visto è così struggente che lo spettatore, stordito dai sentimenti di pietà e di terrore di cui parlava Aristotele a proposito della tragedia, non ce la fa letteralmente ad alzarsi dalla poltrona, come non ce la faceva guardando gli occhi disperati di Lamberto Maggiorani nel film di De Sica. E se ci riesce, se riesce ad alzarsi e a fuggire via, lo fa sentendosi impuro, colpevole, come un figlio senza dignità di fronte a un padre che ha smarrito la dignità.

1 F. Hirsch, Otto Preminger: The Man Who Would Be King, New York, Alfred A. Knopf , 2007, p. 202.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

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