Deaver, Federici, Malvaldi, Nesbo, Pietrangeli, Quinn

6 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

 

Marco Malvaldi

«Bolle di sapone»

Sellerio

270 pagine, 15 euro

Pineta e Calabria. Prima metà del 2020. Tempi di mascherine e distanziamento, cupi per il BarLume. Il barista matematico cinquantenne Massimo Viviani è preoccupato per più di una ragione: il 15 febbraio va a prendere in aeroporto la madre settantenne Maria Giuliana Liberata detta Gigina, geniale ingegnera e scacchista spesso in giro per il mondo, ed è costretto a farle capire che dovrebbe dormire almeno un paio di mesi da lei, ha comprato casa insieme alla fidanzata Alice Martelli e la villetta in zona san Sisto, su due piani, con giardino, è in ristrutturazione; la suddetta vicequestora Alice al momento è purtroppo a un corso di aggiornamento per la polizia, tecniche informatiche antiriciclaggio, qualche settimana in Calabria; il 20 febbraio Ampelio, ultranovantenne diabetico padre di Gigina e nonno di Massimo, cade da uno sgabello (nel tentativo di prendere il barattolo della Nutella) e si rompe il femore, deve lasciare sola (che meraviglia) l’ottantottenne moglie Tilde Cantini e starsene per un bel po’ in ospedale, mancando di conseguenza a vari impegni pratici e sociali; la domenica successiva la partita Torino-Parma viene rimandata a causa dell’emergenza Covid-19, lasciando Massimo ancor più deluso, la partita del Toro risulta sempre uno dei suoi punti cardinali; i Vecchietti orfani di Ampelio, il coetaneo Gino Rimediotti, l’ottantaseienne Pilade Del Tacca e l’ultraottantenne Aldo Griffa sono sempre più avviliti. Il bar non si può frequentare, loro stanno di continuo a spulciare ogni tipo di statistica esistente al mondo sul virus, soprattutto relative alla mortalità comparata, e Massimo può scherzarci davvero poco. Occorre inventare qualcosa, magari ci vuole che accada qualcosa di criminale da spettegolare comunque, a distanza: non è che davvero Alice è alle prese laggiù con un doppio omicidio (fucilata e avvelenamento) di una coppia di anziani innamorati pizzaioli? Indaghiamo!

Lo scienziato scrittore (già allievo di conservatorio e buon pongista) Marco Malvaldi (Pisa, 1974) è una garanzia di piacevole divertente intrattenimento giallo. Qui tornano gli spassosi toscanacci apparsi nel 2007 e già protagonisti di otto romanzi, una decina di racconti e vari episodi televisivi (Sky). Come sempre la narrazione è in terza varia al passato, questa volta una selva di dialoghi nei vari separati contesti o via schermi Zoom, arguti ed esilaranti. Con l’occasione, scopriamo molte più cose dei trascorsi e della vita privata di tutti i protagonisti seriali. Approssimate tutte le età dichiarate, evolvono con i romanzi. Segnalo il metodo tramandato di madre in figlio per ricordare tutti i numeri di telefono senza mai appuntarli, trasformando i numeri in consonanti, a pag. 108. Si beve ancora molto, sia tè del pirata che rum caraibico, anche se da una parte Massimo (molto ingrassato, la bilancia materna dice 90,3 ovvero 8 chili più di due mesi prima) ha ricominciato a zuccherare il caffè che si prepara sul lavoro e dall’altra parte, fuori, vanno forte i cocktail già pronti da portare via per l’aperitivo casalingo, che Marchino si è inventato, quasi salvando il locale. La musichetta del cellulare di Aldo è l’inizio del brano Hallelujah dell’Oratorio Messiah di Händel. La trama è ardita: le coincidenze esistono o vengono spiegate (pure quelle del tifoso del Torino), la squadra investigativa è funzionalmente corale, il mistero si risolve con misura e sensibilità sociale, ma quando saranno tutti di nuovo a casa a festeggiare il compleanno di Ampelio, il 4 giugno, arriveranno altre novità. Una lettura corroborante quando non si ha tempo o voglia di aprire un libro, s’impara con un sorriso (abbastanza noir e criminale).

 

Jeffery Deaver

«Il visitatore notturno»

traduzione di Rosa Prencipe

Rizzoli

462 pagine, 19 euro

New York. Un maggio dei giorni nostri. Il Fabbro è un tale capace di aprire con le proprie chiavi serrature di ogni tipo; ora ha cominciato a introdursi di notte negli appartamenti di belle ragazze di Manhattan mentre dormono; gioca a fare Dio; apre cassetti e sposta indumenti, lascia messaggi minacciosi sulla pagina di un vecchio quotidiano, si richiude le porte alle spalle senza lasciare tracce. Lincoln Rhyme, tetraplegico scienziato forense, già capitano al NYPD e capo della Scientifica, assistito da Thom e dalla moglie nella palazzina di Central Park West, con annesso attrezzatissimo laboratorio, sta occupandosi d’altro: da una parte deve dare un’occhiata alle prove rinvenute sulla scena di un crimine, Alekos Gregorios (proprietario di una catena di lavanderie automatiche) è stato rapinato e pugnalato a morte; come al solito, è la splendida Amelia a visionare di persona la scena dal vivo, lei detective del New York Police Department che si sposta a bordo di una Torino Cobra da 410 cavalli; dall’altra parte deve testimoniare in un processo per omicidio contro il 52enne Viktor Antony Buryak; qui però il controinterrogatorio dell’avvocato difensore riesce a metterlo in scacco; la sentenza sarà di non colpevolezza e l’ufficio del sindaco deciderà di vietare che Rhyme possa fare ancora consulenze per la polizia, nonostante la contrarietà di tanti e soprattutto dell’amico detective di primo livello del NYPD Lon Sellitto, tarchiato e sgualcito. Il vero lavoro del Fabbro è eliminare immagini repellenti per ViewNow, una società appositamente incaricata nel moderare o togliere contenuti sconvenienti dal web; così segue un sacco di video, le pareti del suo studio sono in parte coperte dalla collezione di 152 serrature e da migliaia di sacchetti di chiavi. Rhyme sembra out ma viene coinvolto, tutto è destinato a intrecciarsi.

Il grande scrittore americano Jeffery Deaver (Glen Ellyn, Chicago, 1950) è giunto (in circa venti anni) al quindicesimo bel romanzo della sua serie di maggior successo (enorme in Italia dove il volume è uscito prima che negli Usa), portata più volte sul grande schermo (“Il collezionista di ossa” è del 2002). La lettura garantisce un confermato ottimo intrattenimento; sai quel che trovi e non resti deluso! Come talora accade per i maestri del genere, attraverso il nuovo caso si apprende molto su un fenomeno della vicenda (e commedia) umana contemporanea, questa volta la diffusa scelta di certa cattiva informazione sensazionalistica (e di certa pessima conseguente politica) che volutamente ignora la verità dei fatti. Qualcosa s’impara anche sulla storia delle serrature a cilindro, delle relative invenzioni secolari ancora in uso tutt’oggi, delle manifestazioni e dei musei degli esperti di scasso. La narrazione alterna la prima persona al presente del Fabbro (che talora richiama l’Orologiaio) alla terza persona varia al passato del resto dei protagonisti, ovviamente perlopiù su Rhyme (in carrozzina o dal letto dove mantiene buoni sensi e può muovere solo un dito e le palpebre) e su Sachs, indomita e magnifica ex modella, alta e snella, autista spericolata, tiratrice provetta, sofferente di artrite e claustrofobia. Pian piano emerge anche il nuovo bel personaggio di Lyle Spencer, un omone di più di un metro e novanta per centodieci chili, già nei Seal, sempre a un passo dal lanciarsi senza corda. Lincoln non è attratto pure dal cucinare e predilige whisky Glenmorangie invecchiato diciotto anni. Le ragazze hanno sempre in casa il rosso Syrah o i bianchi Chardonnay e Sauvignon. Padre e figlio degustano un buon Rhône, uno Châteauneuf-du-Pape particolarmente speziato.

 

Jo Nesbø

«Gelosia»

Einaudi

Kalymnos (Calimno o Calino in italiano) mar Egeo, Dodecaneso. L’ottobre di qualche anno fa. Atterra sull’isola il 59enne leggendario agente investigativo greco Nikos Balli, capelli grigi ma perfetto peso forma di settantacinque chili, niente moglie o figli, inviato dalla Sezione Omicidi della capitale Atene: è lui l’ispettore chiamato quando c’è il sospetto che dietro a un omicidio ci sia il movente della gelosia. Dicono che ne sente l’odore, ma ovviamente la gelosia non ha né un odore, né un colore, né un suono particolare. Però ha una storia. E lui, un animale a suo tempo ferito, proprio ascoltando quella storia, sia il detto che il taciuto, riesce meglio degli altri, alla prova dei fatti, a stabilire se si trova davanti a un altro animale disperato che ne è stato ferito. Capisce soprattutto perché cerca di guardare dentro sé stesso; sa di possedere un intelletto limitato, ma una curiosità illimitata. Alla stazione di polizia di Pothia deve subito interrogare il 28enne Franz Schmid, alto e magro, fratello gemello (monozigote) di Julian, che aveva lasciato la loro stanza all’alba e non era più tornato, dopo che la sera precedente si erano azzuffati in presenza di testimoni e tanti avevano ascoltato gravi minacce. I due gemelli sono cittadini statunitensi, residenti a San Francisco, celibi, Franz programmatore in un’azienda di informatica, Julian addetto marketing di un noto marchio di attrezzature da arrampicata. Erano andati insieme proprio ad arrampicarsi sull’isola, celebre per gli strapiombi e importante per le oltre 3000 vie verticali su roccia calcarea, meta adatta per ogni stagione. Pare si fossero poi appena innamorati della stessa ragazza. L’interrogatorio si svolge in inglese e Balli si convince che Franz c’entra con la scomparsa, decenni prima anche lui era innamorato e soffriva di gelosie durante le arrampicate. Se ne intende e intuisce pure che la vicenda è molto complicata, aperta a più soluzioni nel tempo e nelle confessioni.

L’ottimo talentuoso fortunato Jo Nesbø (Oslo, 1960), già calciatore di A (carriera interrotta per un infortunio), laureato in Economia e poi agente di borsa (abile broker), giornalista, paroliere e chitarrista (spesso nelle classifiche e negli stadi con la sua band Di Derre), da quasi venticinque anni è famoso nel mondo per gli ottimi lunghi noir della serie Harry Hole (“Il pipistrello” è del 1997) ma scrive spesso altri interessanti romanzi di genere (quando non ha da suonare o arrampicarsi) e questa volta nel 2021 ottimi racconti di genere. “Gelosia” è il secondo, nettamente il più lungo (oltre cento pagine, gli altri sempre meno di quaranta e alcuni brevissimi), narrato in prima persona (come sei dei sette complessivi racconti) ed è quello che dà il titolo all’intera raccolta, sia in norvegese (in forma più articolata) che in italiano. L’autore spiega che la gelosia non è necessariamente correlata al senso di possesso e spesso riguarda il proprio stesso valore personale, relazionale e sociale, percepito o vissuto come inferiore, e ha quindi un’attinenza con la rabbia e con la vergogna. Così si tratta di tutte storie noir nelle quali le corna e la gelosia non sono gli unici elementi ed emozioni a provocare o indurre crimini: pesano anche il senso del dovere, la vendetta, l’umiliazione, la fantasia, addirittura l’amore e l’eterna lotta fra amigdala e lobo frontale. I testi sono molto efficaci, sia le trame puntuali (ambientate anche in aereo, comunque non solo a Oslo, oltre alla Grecia ci sono Londra, Parigi e la provincia norvegese) che lo stile esperto e intelligente con gergo chandleriano. Segnalo le vite di storie, le fantasie erotiche e i monologhi interiori del grande scrittore Odd Rimmen (pag. 195-234). Si confermano le passioni per Shakespeare e i Led Zeppelin.

 

Cate Quinn

«Le tre vedove»

traduzione di Alfredo Colitto

Einaudi

480 pagine, 20 euro

Utah. Un autunno di poco tempo fa. Viene ucciso il bel venditore di macchine inscatolatrici Blake Nelson, occhi blu profondo e capelli biondo ramato (quasi rossi), lentigginoso, entusiasta del survivalismo, guardiano del Tempio; il cadavere è stato trovato nel deserto, tre dita in parte tagliate, ferite sull’inguine, forse anche strangolato sul greto di un fiumiciattolo dove si può magari pescare qualcosa. Ha tre mogli e ciascuna di loro potrebbe essere colpevole. Sono tutti mormoni, “santi dell’ultimo giorno”, con vari gradi di religiosità. Vivevano in un ranch isolato, senza campo per i cellulari, a più di centocinquanta chilometri da cittadine sparse e da Salt Lake City: pulita casetta di legno, bagno esterno, baracche decrepite, orticello lasciato a metà, magazzino granaio e, sul retro, il vecchio fienile dove dormivano (due letti singoli e uno matrimoniale per il marito e la prescelta di ogni notte). La trentenne Rachel è la prima moglie, la più anziana, capelli biondi cotonati, reticente, obbediente e sottomessa, sposati da circa sei anni. La 19enne Emily è la seconda, snella, bugiarda, occhi verdi azzurri e capelli chiari, sposati da quattro. Tina Keidis è la terza, cresciuta in affido, in passato tossicodipendente a Las Vegas, lunghi capelli neri e grandi occhi castani, pelle scura, formosa, schietta, arrivata da meno tempo. Indaga subito con parziale insuccesso la bella attenta detective Brewer, capelli castani e occhi ambra. Poi anche il bel detective Carlson, che già si era occupato di sette in precedenza. I matrimoni poligamici sono illegali in quella Chiesa dal 1904, i mormoni non approvano caffeina tabacco alcol, i fedeli non tolgono mai indumenti intimi sacri di spesso nylon e tengono in casa conserve e rifornimenti utili per anni in caso di (quasi) fine del mondo, la faccenda risulta decisamente complicata. La morte della e nella famiglia è questione di diffusione planetaria.

La giovane giornalista inglese Catherine Cate Quinn scrive di viaggi e costume per The Times, The Guardian e The Mirror; dopo vari romanzi storici, esordisce ottimamente in un giallo noir di raffinata ricostruita ambientazione americana. Ci fa subito capire come le tre protagoniste non potessero proprio andare d’accordo nel ménage familiare mormonista, modellate e fossilizzate in ruoli decisi dal maschio, reciprocamente fastidiosi e poco sopportabili (se non con antidepressivi): una mielosa cuoca in cucina, un’adolescente timida cameriera in salotto, una servile fascinosa puttana in camera da letto. Si sospettano a vicenda e sono tutte davvero sospettabili, separatamente e successivamente indagate dai poliziotti. Via via emergono particolari scabrosi, del resto l’ottima narrazione è in prima persona varia, le tre raccontano al presente il proprio punto di vista con acume e sensibilità femminili, tutte a loro modo molto vulnerabili. Rachel aveva traumatici trascorsi infantili e adolescenziali in una crudele setta religiosa al confine col Nevada (con clinica illegale e cimitero segreto) e ferite ancora aperte. Emily ha tendenze autopunitive, anche fisicamente. Tina si prostituiva per la droga ed è avvezza a giochetti erotici. E presentano pure inevitabili stranezze i genitori, i fratelli e le sorelle del loro marito (che stava tramando misteriosi progetti immobiliari), una famiglia d’origine danese. In tanti, in quell’America profonda e isolata, crescevano da generazioni con una dieta a base d’ignoranza e idee folli, giungendo all’adolescenza nemmeno in grado di leggere e scrivere: l’autrice lo descrive molto bene nel romanzo, meglio ricordarselo ogni tanto. Ne vien fuori una perfetta storia di “anormalità” dentro civili comunità umane (a noi ignote ed estranee) con i nostri stessi problemi di sopravvivenza, riproduzione, salute, sentimenti.

 

Paolo Pietrangeli

«Tremagi e il rasoio di Occam»

Todaro editore

Roma e Salerno. Qualche anno fa. Nel mercato ittico di Salerno Pasquale ‘O Pescatore gestisce l’inserimento di ben confezionati pacchetti di cocaina all’interno dei tonni ben sviscerati. Se ne va perché c’è un problema alla torrefazione del dottor Emanuele Mordicchio, commerciante e proprietario di tre bar tra Napoli e Castellammare, che si rifiuta di mettere la droga nelle confezioni di caffè. Il giovane sottopanza Matracchiolo lo minaccia senza successo. Pasquale gli strappa la pistola di mano e uccide Mandracchio. Risolto. Forse c’era una telecamera e l’omicidio è stato ripreso. Forse la registrazione è stata presa dalla splendida Crocefissa, occhi verde azzurri e capelli neri, figlia dell’ucciso, che subito scompare e una settimana dopo si trova a Roma, dove è domiciliata a via delle Isole 14 e studia scienza dell’alimentazione, ma perde il cane dalle parti del mercato di Piazza Epiro (metà strada fra San Giovanni e Terme di Caracalla). Va a chiedere se qualcuno lo ha visto o rintracciato alla libreria trattoria del 52enne Giorgio Tremagi (niente gialli, solo Simenon, con la pipa Dunhill cinque stelle) che tira avanti grazie ai 10 tavolini interni e ai 9 del cortile esterno dove ormai si può mangiare tutti i giorni salvo il lunedì (arrivano solo lettori consapevoli o affamati incoscienti) primi e polpette dall’immenso potere. Lui è estasiato dalla ragazza e, quando torna dalla deposizione al processo per l’omicidio di qualche settimana prima, per caso incrocia proprio il cane, un Baskerville Hound, che si ferma lì attorno affezionandosi alle polpette. Giorgio gli affibbia il nome di Gedeone e può così presto reincontrarla. Non gira bene il rapporto con la moglie Miele (che lavora in una casa editrice ed è andata a dormire nella stanza degli ospiti), i libri non sfondano, però le polpette della cognata Fiorella vanno alla grande e Crocesissa s’impone. Insieme a molti guai, botte, spacci, altri tre ammazzamenti e varie rese dei conti.

Garbato e divertente anche il secondo romanzo di genere del grande cantautore e regista Paolo Pietrangeli (Roma, 1945). La narrazione è in terza persona varia e alterna Campania e Lazio, Salerno e la capitale (con breve intervallo a Palermo), la banda criminale e la giocosa famiglia allargata del protagonista seriale Tremagi. Innumerevoli i personaggi del quartiere che gli girano intorno, fra di loro il barbiere Alfredo che gli fa la barba con un vecchissimo rasoio a mano libera, soprannominato “il rasoio di Occam” (da cui il titolo) evidentemente perché il monaco che lo usava sapeva tagliare il superfluo, oggetto contenuto in un astuccio di legno dipinto e appartenuto al nonno di Giorgio, il quale ogni volta lo prende dal cassetto di destra della scrivania per farsi fare la barba. Giorgio ha la capacità o la condanna di visualizzare e interpretare i sogni delle persone che ha di fronte, ancor più preciso e analitico se i sogni sono i suoi, senza possibilità di inventare o barare, un fedele cronista piuttosto che un autore creativo. Il principale personaggio è il cane (Mario): quello identico (Gedeone), amato dall’autore e capace di centrare l’occhio dell’ospite con un ricciolo di bava, ha la foto in bianco e nero in fondo al testo. La libreria (infrequentabile) non vende i romanzi di Fred Vargas e nemmeno il precedente di Pietrangeli, La pistola di Garibaldi. Tremagi ascoltò un concerto di Giovanna Marini, la quale sosteneva, a proposito delle canzoni popolari legate al lavoro o nate per trasmettere informazioni, come col tempo fossero diventate sempre più canzoni e basta. Vero, anche se Giorgio intende continuare a collegare rito e funzione.

 

Fabio Federici

«Il pigiama rosa»

Oligo edizioni

298 pagine per 16,90 euro

Bologna. Gennaio-agosto 2020. Alla vigilia della pandemia, mentre in piazza si festeggia il carnevale, il 54enne comandante dei carabinieri Giulio Girandola, bella famiglia con la piccola Giulia, scambia qualche parola al telefono con il maresciallo Chiara Cremisi, donna matura dal fisico giunonico e dal capello biondo rame (già campionessa di nuoto), Sono preoccupati per le dinamiche emotive e sociali della diffusione del virus. Presto, tuttavia, inizia per loro un viaggio nel dark web, dietro alla scomparsa di un bambino da cui emergono realtà oscure, tradimenti, segreti inconfessabili fra psicosette, pedofilia e satanismo. “Il pigiama rosa” costituisce l’acerbo patriottico esordio letterario di Fabio Federici, colonnello, docente universitario, crime analyst e pubblicista, Medaglia d’Argento al Valor Civile, Medaglia d’Oro della “Fondazione Carnegie” e Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. Prefazione di Maurizio de Giovanni, postfazione di Franco Binello.

Redazione
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