Della serie “La vertigine delle liste”

Bianca Menichelli stronca (invocando Pennac) il pompatissimo «La quinta stagione» di Nora Jemisin

Mi sono avvalsa del terzo diritto imprescindibile di chi legge (Come un romanzo di Daniel Pennac: 1993 Feltrinelli, traduzione di Yasmina Mélaouah) e cioè “il diritto di non finire un libro”.

Il “non finito” in questione è «La quinta stagione» di Nora K. Jemisin (2019, Oscar Fantastica, traduzione di Alba Mantovani) primo della trilogia «La terra spezzata».

Non sono una critica letteraria, non faccio recensioni, non sono un’esperta di qualche e/o qualsiasi cosa; i pareri personali spesso autorefenzialmente autoironici che scrivo di quando in quando su codesto blog sono quelli che mi piace – se possibile – condividere e sui quali mi sento di avviare conclusioni alternative, se ci sono proposte che mi convincono.

Ma questo è un momento in cui mi chiedo “Di cosa stiamo parlando?”. Non lo nascondo, il momento-periodo è sicuramente aggravato e inquinato dalla foschia densa e sempre più nera, vischiosa, inquietante e pericolosa che sta aggredendo questo universo, in questa galassia. Delle altre galassie non ho notizie recenti.

Ecco la mia storia con Jemisin: allertata da DD (Demiurgo Daniele) mi sono messa stancamente alla ricerca del suddetto libro, forse già una premonizione.

Dopo la notte del 26 maggio e seguenti ore e giorni, mi sono detta con rassegnazione: «Vabbè, tanto vale che spenda qualche euro, che non si sa mai cosa potrebbe succedere in seguito, magari lo/li bruciano (i libri, ma forse anche gli euro)».

Detto fatto. Con valide aspettative, avendo letto qualcosa sull’autrice, apro il libro: le prime quattro pagine sono piene di commenti a dir poco, ma proprio poco, entusiasti di sette autori e di cinque giornali internazionali.

Fra gli autori vedo Claudia Durastanti e Veronica Raimo, che ho assai apprezzato per l’antologia «Le visionarie» (cfr «Le visionarie» cioè “sorelle della rivoluzione”) da loro curata nell’edizione italiana; Valerio Evangelisti che adoro alla follia assieme al suo doppio Eymerich e alla sua letteratura social/storica; Nicoletta Vallerani che ho imparato a seguire nei suoi percorsi artistici fin dai tempi di Penelope DR, la detective replicante che opera a Milano. Fra le testate giornalistiche The New York Times, The Guardian, mica bruscolini!

Una ola fenomenale.

Sembra essere nata una nuova Ursula K. Le Guin, a pari merito con Margaret Atwood, Frank Herbert, Liu Cixin, Jeff VanderMeer, Naomi Alderman, William Gibson.

Dopo le prime 119 pagine sommessamente non sono d’accordo.

Intanto è quantomeno pericoloso agganciare la mia cara amica Ursula a qualsiasi operazione di marketing; di sicuro non apprezzerebbe; ma anche tutte/i gli altri che ho letto e amato in anni lontani e recentissimi meritano rispetto.

Se poi si cercano altre solide costruzioni di mondi diversi che sotto metafora attengono ai nostri tempi, si possono ricordare – fra i tantissimi con i quali mi scuso assai di non avere spazio e tempo per citare – Philip Dick, James G.Ballard e Kurt Vonnegut (Kilgore Trout); cercando anche nella nostra letteratura, ad esempio Italo Calvino e Dino Buzzati per arrivare ai giorni nostri cioè a Tommaso Pincio, Antonio Moresco e molti, molti altri.

E perché tralasciare Murakami Haruki di cui è utile ricordare L’assassinio del commendatore (in due volumi: da Einaudi 2018/19, traduzione di Antonietta Pastore).

Mi ha inoltre molto meravigliato il totale silenzio su China Miéville, vedi in particolare «La Città e la Città» e «Embassytown» – meccanismi quasi perfetti di “creazione di mondi diversi” (vedi vari post su questo blog) – assieme alla quasi totalità delle sue opere.

Quanti potrete aggiungerne, voi che leggete!

Se poi si vuole introdurre la letteratura di genere, intesa come scrittura al femminile-femminista, a parte la già citata antologia «Le visionarie» – in originale a cura di Ann & Jeff VanderMeer – e facendo sempre salve Le Guin e Atwood (senza fermarci al suo «Racconto dell’ancella», vero?) mi piace ricordare quando in proposito ero autodidatta e mi affidavo al sesto senso, quello del dubbio positivo “Lo prendo o non lo prendo? Ma sì, dai, lo prendo”; e il più delle volte sapevo di avere fatto la scelta giusta. Quindi, nel corso dei decenni fino ad oggi, in ordine sparso e assolutamente non esaustivo Angela Carter, Nancy Kress, Connie Willis, Doris Lessing, Joan Slonczewski, Sheri S. Tepper, Karen Russell e moltissime altre.

Non voglio tirarla in lungo ma quello che vorrei chiarire – senza alcuna pretesa artistica, estetica, sociale, filosofica – è perché mi sono arrogata il diritto di non continuare la lettura, nonostante gli entusiasmi in premessa avessero entusiasmato anche me.

A mio parere, la definizione di una terra alternativa (Padre Terra!) procede rapidamente fino a quando non c’è più alcunché da definire perché sono già chiare le stimmate che le protagoniste portano addosso e che riversano nel territorio che abitano.

La scrittura è scorrevole, ma non al punto da far coincidere alla lettura ogni attimo della propria vita col fiato sospeso, fino alla conclusione del libro. Non c’è l’ansia di scoprire pagina dopo pagina come si unirà quel dettaglio ad altri nel proseguimento del plot; se c’è non l’ho percepita.

Le figure femminili sono delineate con caratteri che non mi sembra abbiano grandi colpi d’ala rispetto ad altre (per esempio Laia Asieo Odo nel racconto «Il giorno prima della rivoluzione» di Ursula Le Guin).

Ma soprattutto perché ho sentito come un’eco di fondo? Testo già letto o già immaginato? Troppa fantasia o troppo poca?

Ciò non toglie che potrei continuare la lettura; mai dire mai. Per ora preferisco rivolgermi ad altro. Il tempo scorre, come mi ricorda il Bianconiglio (a proposito, e «Alice nel paese delle meraviglie»?). Le tentazioni di lettura e/o rilettura sono ancora molte.

Infine, mi trovo completamente d’accordo con quanto scritto pochi giorni fa su questo blog da Mauro Antonio Miglieruolo: «La letteratura è incontro tra cultura, fantasia e scienza» era l’incipit del suo manifesto 8 tesi sulla letteratura ovvero 8 tesi sulla fantascienza. Poi eventualmente se ne può riparlare, dopo averle inchiodate sul portone di casa di Daniele.

L’epigrafe di «Embassytown» – sopra citato – è la seguente: «La parola deve comunicare qualcosa (di altro da sé)» da Walter Benjamin «Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini». Non si può dire di meglio anche sulla parola scritta.

 

Redazione
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Un commento

  • Daniele Barbieri

    Quando «non c’è l’ansia di scoprire pagina dopo pagina come si unirà quel dettaglio ad altri nel proseguimento del plot» è giusto interrompere. Se leggerò «La quinta stagione» (la voglia mi è calata assai, eh-eh) e mi ritroverò d’accordo con Bianca allora rinnoverò – con schiamazzi in pubblico blog – la tessera del partito “menichellista” al quale sono da tempo iscritto con percentuali di accordo “bulgare” (roba tipo il 91,4 per cento).
    Quanto alle «8 tesi sulla letteratura ovvero 8 tesi sulla fantascienza» di Mauro Antonio Miglieruolo perchè inchiodarle sul mio portone di casa? Mica sono il Vaticano. Basterà ricordarmele, ogni tanto, con una mail; senza bisogno di infastidire falegnami, scalpellini e condòmini.

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