Di chi sono le storie – di Mark Adin

D’accordo, le storie sono di tutti. Non può essere diversamente. Ma chi scrive sa che i personaggi delle storie hanno anche una vita loro. Intendo dire che, una volta inventati, visti e rivisti, applicati a una trama, se sono buoni personaggi, a un certo punto non li puoi più dominare, e si scrivono da sé. Scappano dalla tua fantasia e si inverano, prendono vita, come Golem che, una volta attivati, assumono una personalità loro e ti salutano. E’ emozionante il momento in cui avviene l’addio, lo si percepisce non appena la storia prende a girare, e i dialoghi passano sulla carta senza transitare dal cervello, le azioni diventano mere conseguenze dei loro caratteri, della loro avidità di vivere all’interno di quel mondo suscitato dal foglio di carta.

Così le storie, quelle buone, stanno in piedi da sé, e non possiamo piegarle più di tanto perché si ribellano e non si fanno più scrivere: si incartano. E non c’è verbo più adatto.

Ora, a leggere di storie rubate, ti viene un moto di ribellione e di indignazione.

Su “La Stampa”, quotidiano torinese, del 11/12, Piero Negri da Alba riferisce del libro di Domenico Manzione, magistrato, sulla vita agra di Chet Baker, grande musicista Jazz. Il magistrato-scrittore compulsa carte processuali, fruga nella sfortunata pagina carceraria del trombettista e ne trae un profilo biografico. Perché parlare di storie rubate? Non voglio certo parlare di plagio, né voglio entrare nel merito delle capacità scrittorie, che non conosco, del signor giudice, ma la vicenda di Chet narrata nel libro è dovuta in gran parte a un “fraintendimento” istituzionale. Insomma: sarebbe come se, dopo che un giudice ha tenuto in galera per sedici mesi l’artista a causa di una sua mera debolezza, come del resto accadde anche a un altro musicista, Lelio Luttazzi, ecco che un altro giudice ne ricava materia per scriverne e assurgere a qualche notorietà. Tutto questo mi sembra stonato. Ovviamente, sia chiaro, il ragionamento pertiene al piano simbolico, e non certo a quello pratico. Nell’articolo, il magistrato-scrittore, riferendosi alla vicenda di Chet Baker recluso nel carcere di Lucca per essersi fatto una pera nel cesso di un distributore, sembra voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte, nel farsi una idea della vicenda di cinquant’anni fa, dichiarando che … la sorpresa è stata trovare un sistema giudiziario che pareva funzionare più celermente, da un lato, e dall’altro un modo di lavorare decisamente più sbrigativo, con molte garanzie in meno per l’imputato”. Tutti contenti.

Mi permetterà, il signor giudice, di coltivare un pregiudizio, che come tutti i pregiudizi forse non mi fa onore: non comprerò il suo libro, anche per i motivi anzidetti. Non mi sembra giusto che un giudice incarceri Chet e un altro ne sfrutti la storia.

Proprio oggi ho assistito a una intervista televisiva a Gianrico Carofiglio, altro magistrato-scrittore nonchè parlamentare e frequente ospite massmediatico, epperò davvero conosciuto e di successo, lui sì. Uomo dal multiforme ingegno, figlio d’arte, ha trasfuso talentuosamente la conoscenza del mondo del crimine, acquisita attraverso l’esperienza professionale, nei suoi romanzi di successo tradotti in numerose lingue. Un divertente passo della sua biografia si può leggere su Wikipedia: “Nel 2003 …esce… Ad occhi chiusi (Sellerio2003), decretando il successo definitivo dell’autore agli occhi di pubblico e critica”. Cortocircuito oculare?

Posso rodermi dall’invidia per una fortuna letteraria soprattutto se, come pare, nel caso ben meritata. Tante belle royalties, sommate alla pensione da magistrato quando sarà il momento, sommate alla pensione di parlamentare (che Monti, cattivone, vuole mettere un po’ a rischio). Uomo dalle molteplici e ben remunerate attività.

Senonchè pure Giancarlo De Cataldo è magistrato-scrittore, basti pensare a “Romanzo criminale”,

dal quale è stato tratto il bel film e la serie televisiva. Stipendio da magistrato più diritti sul libro più diritti sul film più royalties sulla serie televisiva. Uomo dalle molteplici attività pure lui.

Di quante ore sarà fatta la giornata di un magistrato-scrittore? Viene proprio da chiederselo.

Ma la cosa più stupefacente è stata imbattermi sul web in un articolo, a firma Frida De Floris, sul Convegno dei magistrati-scrittori, svoltosi a Latina il 2 ottobre del corrente 2011, “moderato dal magistrato-scrittore Gennaro Francione con l’ausilio del giudice-scrittore Guido Marcello, GIP a Latina”. Questi ultimi non li ho mai sentiti, comunque lo svolgimento di un convegno lascia presupporre che ne ce ne siano numerosi altri, di magistrati-scrittori.

E allora sono crollato.

Insomma: il giallo, il noir, il poliziesco vanno via come il pane. E chi può pescare a man bassa tra gli atti processuali e negli archivi polverosi dei palazzi di giustizia, frugando nelle vite altrui, quelle più “movimentate”, può avere sottomano comodi “semilavorati”, storie quasi già bell’e pronte. Con un po’ di tempo disponibile, e questo pare proprio non manchi, il gioco è fatto, o quasi.

Sono arcisicuro che i valenti magistrati-scrittori scrivano nottetempo, poiché la loro funzione, anzi meglio dire magistero, riempie generosamente le ore del giorno. Non dubito siano lavoratori indefessi, applicati senza risparmiarsi alle loro funzioni istituzionali. Per questo mi sono ancora più simpatici, perché sanno sacrificare il sonno, le domeniche e la famiglia per una passione letteraria, e non certo per i quattrini. Gente iperattiva, superlavoratori, fulgidi esempi di servitori dello Stato e personalità umanamente superiori.

Sarebbe davvero triste se, per mandare avanti un romanzo, si dimenticassero o non trovassero il tempo, che so, di firmare un ordine di scarcerazione, lasciando qualche povero cristo a marcire in galera.

Ma questa, appunto, è tutta un’altra storia…

 

Mark Adin

 

 

 

Redazione
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Un commento

  • … o si trovassero a dover scarcerare qualche criminale per decadimento dei termini procedurali. Non so peraltro quanto l’arma del sarcasmo sia puntata verso il bersaglio giusto, per la maggior parte i magistrati non sono nè supereroi, nè fulgidi esempi, nè personalità “umanamente superiori”, ma gente che cerca di fare il proprio lavoro in situazioni difficili, sia sotto l’aspetto ambientale che sotto quello delle risorse. Generalizzare poi è sempre un’operazione pericolosa, come dire che tutti gli operai sono grandi lavoratori.

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