Diabolik tra scienza e fantascienza

Maschere, jaguar, radiocomandi, pugnali, rv, scopolamina e molto altro nel “laser” di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

Diabolik-iPad

In occasione dell’uscita in edicola (il mese scorso) della nuova miniserie «DK», che presenta Diabolik ed Eva Kant in un universo alternativo – è pensata per il mercato supereroistico americano, anche nel formato ad albo – vorrei fare alcune considerazioni sulla tecnologia “diabolika”, che da sempre rende uniche e imprevedibili le avventure del «Re del Terrore» e della sua inseparabile compagna, un misto fra scienza/tecnologia e science fiction che da più di mezzo secolo continua a sorprendere piacevolmente.

Ritengo che la formula vincente sia che la fantascienza di Diabolik è per lo più molto casalinga e di sicuro impatto estetico ma credibile o verosimile, pur nella sua improbabilità.

Prendiamo la base – l’essenza stessa di Diabolik – ovvero la sua capacità di cambiare aspetto assumendo le sembianze di chiunque purché compatibile, grosso modo, con la corporatura: in effetti non ha molta importanza se una persona ha le spalle più strette, cammina in un certo modo o ha particolari caratteristiche: se la corporatura è quella, basta creare la maschera giusta per assumerne le sembianze.

Il trucco è mutuato direttamente dal «Fantomàs» di Allain e Souvestre: le “maschere” all’inizio dovevano essere di plastica sottilissima per essere indossate esattamente come un cappuccio. Solo nel 2007, con il doppio episodio «L’isola maledetta» e «Fuga dall’isola» si apprende che Diabolik avesse avuto enormi difficoltà a usare le proprie maschere per più di due ore, non riuscendo a trovare uno stabilizzante che le faccia durare per sempre. La soluzione consiste in una sostanza presente solo in certe piante che crescono nell’isola di Bo Tang e che il “Re del Terrore” si faceva arrivare in quantità industriali, fino a quando non è riuscito a sintetizzarla artificialmente.

Quanto è verosimile tale maschera? «Cambiare aspetto e trasformarsi è stato sempre un obbiettivo dell’immaginario umano» spiega Assunta Borzacchiello dell’Istituto per i materiali compositi e biomedici (Imcb-Cnr) di Napoli. «Il componente principale delle maschere di Diabolik, ai tempi in cui è nato, presumiamo potesse essere una resina di origine vegetale che, solidificando, diventava sottile come la pelle umana, replicandone quasi perfettamente l’elasticità, ma di cui lo stesso eroe all’inizio ignorava la composizione».

Oggi però, grazie ai nuovi materiali plastici, modificare il proprio aspetto è davvero possibile. «Utilizzando resine costituite da polimeri ad alto peso molecolare sintetizzati in laboratorio, quali siliconi e polivinilcloruro, è infatti possibile realizzare maschere che riproducono perfettamente i lineamenti del volto, quali quelle usate nel mondo dello spettacolo o in occasioni ludiche come Halloween e Carnevale» prosegue la ricercatrice: «Attualmente è diventata pratica comune utilizzare questi materiali polimerici, sintetici e naturali, per modificare e migliorare la forma di labbra, zigomi, naso o per far scomparire le rughe. Nel futuro, per ricostruire e accrescere il volume del tessuto dove richiesto, si mira a utilizzare cellule dello stesso individuo accoppiate a materiali polimerici».

Come si vede, la fantascienza di Diabolik è più che credibile, anzi, è stata superata dalla tecnologia attuale, come ci dimostrano i trucchi cinematografici sempre più perfetti, in grado di trasformare chiunque in un alieno o in un orco con uso di materiali in polimeri e strumentazioni idrauliche, vedi certi mostri di Stan Winston, il creatore del costume di «Predator».

Negli anni ’60, quando per cambiare canale alla televisione ci si alzava per girare la manopola, Diabolik usava invece il telecomando, all’inizio dalla forma di una grossa scatola e via via più miniaturizzato. Il telecomando rende unici molti momenti caldi delle storie: alla frase «Eva, aziona il radiocomando», ecco scattare gli imprevedibili trucchi diaboliki, disseminati per la città, le strade e nei rifugi di zona; catrame che sgorga da un segnale stradale, una piattaforma che si alza verso il cavalcavia soprastante, la Jaguar che si trasforma in un natante o in un elicottero, o ancora ramponi che si attivano per scardinare cancelli d’acciaio dove andranno violentemente a sbattere le auto della polizia.

«Il primo embrione della possibilità di comandare remotamente un dispositivo è quello a impulsi elettromagnetici, brevettato da Nikola Tesla nel 1898 per governare un veicolo marino. Dagli anni ’50 hanno avuto un grosso sviluppo i telecomandi per televisore, inizialmente con fili, poi wireless: dal Flash-Matic a raggi di luce che venivano rilevati tramite celle fotoelettriche del 1955, allo Zenith space command a onde sonore rilevate da particolari microfoni del 1956» spiega Maurizio Aiello dell’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni (Ieiit), struttura di ricerca genovese del Cnr.

Veniamo al terzo coprotagonista della serie, ovvero alla mitica Jaguar E-Type, rigorosamente dal design anni ’60. Diabolik ne possiede molte, tutte elaborate e modificate da lui stesso e dotate di straordinari trucchi, che nulla hanno da invidiare alle più moderne super automobili degli ultimissimi anni.

Le Jaguar di Diabolik sono rigorosamente blindate, con gomme piene, in tal modo i proiettili e i chiodi sulla strada non hanno il minimo effetto. Come ho accennato prima, la Jaguar si è spesso trasformata in un motoscafo, al limite forse della comicità ma che il gusto estetico della redazione ha sempre saputo rendere credibile in virtù di “semplicità scientifica”.

Non parliamo poi dei pugnali, caratteristica di Diabolik, che mai fa uso di armi da fuoco. Con lame diverse a seconda delle situazioni e impugnature capaci di ospitare una torcia elettrica, bombolette di gas narcotico, azoto liquido o piccole cariche esplosive, i pugnali di Diabolik sono sempre e comunque perfettamente bilanciati per un lancio impeccabile.

Senza dimenticare gas, scopolamina e penthotal, ben poco fantascientifici a prima vista, ma la cui applicazione li rende “diabolici”. Contenuti in bombolette o in flaconi di vetro, o più spesso in piccole sfere, i gas possono essere narcotizzanti (vocabolo non di uso comune ma entrato nell’immaginario lessicale dei lettori affezionati) o letali, a seconda che il “Re del Terrore” debba neutralizzare o uccidere i nemici, o rapire qualcuno senza ucciderlo.

I filtri nasali sono una trovata semplice e narrativamente geniale, anche se inverosimili per evitare che i criminali rimangano vittima del proprio gas. Una curiosità: in tanti anni, non si è mai fatto vedere come essi vengono applicati, per ovvi motivi di “scarsa eleganza”.

Diabolik ed Eva Kant, nel corso degli anni, non hanno smesso di utilizzare i radio-orologi, in cui sono alloggiate potentissime ricetrasmittenti miniaturizzate. Anche in epoca di cellulari la diabolika coppia ha preferito mantenere il vecchio sistema di comunicazione, giudicato più sicuro in quanto non intercettabile.

I lancia aghi di Eva Kant sono un’arma silenziosa e di sicuro effetto, capaci di narcotizzare o uccidere, purché la vittima sia colpita in parti scoperte dai vestiti, come il viso, le mani o altro. A prima vista un’arma ben poco fantascientifica ma assume connotazioni particolari in quanto “inverosimile” nella realizzazione, seppur riproducibile in un certo modo come un semplice tubetto azionato da una potente molla.

Diabolik usa in quantità industriali anche acidi di ogni genere, che gli servono per corrodere pareti o casseforti, un uso unico nel suo genere.

Eccoci ai due pezzi forti del diaboliko repertorio: il laser e il dispositivo a realtà virtuale che abbiamo visto la prima volta nell’albo «Eva morirà tra sessanta secondi», uscito per la serie speciali “Il grande Diabolik” (quella in formato bonelliano, per intenderci, altra interessante sfida che permise al Re del Terrore di uscire con storie di più ampio respiro e toccare a fondo la continuity stessa del personaggio). In quella vicenda Diabolik ha realizzato un laser molto potente ma di dimensioni estremamente ridotte, di cui si serve spesso per fondere rapidamente i metalli più resistenti, tipo quelli degli sportelli delle casseforti che vuole svuotare. Come si sia appropriato di questa tecnologia è raccontato in «Ginko – Prima di Diabolik», anch’essa uscita per la serie “Il Grande Diabolik”.

Il dispositivo a rv cioè realtà virtuale è molto simile ad altri sistemi per “immersione totale”: una tuta tattile, un casco e una sedia che permette di entrare nella simulazione, assolutamente verosimile. Tale marchingegno permette a Diabolik di elaborare piani simulando l’ambiente e le implicazioni, in modo da non lasciare nulla al caso.

Come si vede, la fantascienza ha mille sfumature, e, quando non si occupa direttamente di sociale o di ambiente (ma anche di avventure, è ovvio) ecco che assume la caratteristica di studiare l’impatto che la tecnologia ha sull’essere umano, in questo caso sull’uso di un individuo “criminale”. La tecnologia qui è un’estensione della mente razionale e analitica di Diabolik, non un qualcosa di fine a se stessa e commerciabile: strumento per realizzare la grande ossessione del “Re del Terrore”, quella di essere in sfida con il mondo intero, solo contro tutto e tutti, nell’inarrestabile fuga con la propria donna, una vita sempre sul filo del rasoio.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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