Diamond, Giorello, Ivetic, Scarpelli, Statovci, Villalta e…

e collettivo People

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

Egidio Ivetic

«Storia dell’Adriatico. Un mare e la sua civiltà»

Il Mulino

434 pagine, 32 euro

Il mare orientale del Mediterraneo nella tettonica delle placche e fra ecosistemi umani. Per capire un mare occorre affrontare tre livelli e i connessi ecosistemi: elemento liquido, costa, territori gravitanti. L’Adriatico (dall’agglomerato umano meridionale di “Adria”) risulta il corridoio che unisce geologicamente tre continenti, storicamente Oriente e Occidente. 12.000 anni fa la pianura arrivava alle acque di fronte agli attuali Abruzzo e Dalmazia, poi cambiò. Il bravo storico Egidio Ivetic (Pola, 1965) racconta splendidamente una “Storia dell’Adriatico” come mare chiuso di rotte e passaggi, traffici e migrazioni, conflitti e mescolanze. La narrazione è cronologica, pur essendo alta l’attenzione per le diversità geografiche e i cambiamenti climatici. Ricchi gli apparati di note e bibliografico. Poi una sintesi dei periodi e delle date cruciali (soprattutto dai primi insediamenti greci fino al 2017 del Montenegro nella NATO), carte, toponimi e indice dei nomi (non di argomenti).

 

People (come collettivo di scrittura)

«Per la sola colpa di esser nati. Perché serve la Commissione Segre»

People (come casa editrice)

108 pagine, 15 euro

Questi recenti anni in Italia. Nel momento in cui discriminazioni diverse e messaggi d’odio sembrano saldarsi in un unico disegno politico, cinque attivi protagonisti della nascita della nuova casa editrice People, Silvia Antonelli Sergio Bontempelli Stefano Catone Giuseppe Civati Francesco Foti (scienze, competenze, età e caratteri diversi), firmano collettivamente una disamina storica e sociale di antisemitismo e razzismo, “Per la sola colpa di esser nati”. L’introduzione è comune, seguono cinque capitoli per approfondire singoli aspetti (con brevi note e mini bibliografie in fondo a ciascuno): i persistenti atteggiamenti antiebraici in Europa, il razzismo degli antisemiti ottocenteschi (pure anti-immigrati), una selezione di fatti discriminatori degli ultimi quattro anni 2016-2019, lo stato dell’arte rispetto alla mozione per l’istituzione della Commissione straordinaria proposta da Liliana Segre nel giugno 2019, le esperienze di contrasto dell’hate speech in Francia e Germania.

 

Jared Diamond

«Crisi. Come rinascono le nazioni»

traduzione di Carla Palmieri e Anna Rusconi

Einaudi

448 pagine, 30 euro

Oggi. Uomini e donne, Stati. La parola “crisi” etimologicamente deriva da due termini greci, un sostantivo e un verbo, che afferiscono all’area semantica di “separare”, “decidere”, “distinguere”. Si tratta in sostanza di un punto di svolta più o meno esplosivo, quel momento o quel periodo storico preceduto da un movimento evolutivo iniziato anche molto prima, superato il quale le condizioni precedenti sono molto o abbastanza diverse dalle successive, verificabile poco frequente o episodicamente presente nella vita di un individuo umano o di collettivi istituzionalizzati di individui. Tutti, a ogni livello, si trovano prima o poi ad affrontare crisi e spinte al cambiamento, comprese aziende, nazioni e mondo intero, derivanti da pressioni interne ed esterne. Vi sono, ovviamente, analogie e differenze tra crisi personali e crisi nazionali. Il parallelismo più importante attiene al cambiamento “selettivo” che le crisi comportano: capire cosa va o non va modificato, valutare onestamente propri valori e capacità, tracciare un confine intorno agli elementi fondanti e irrinunciabili dell’identità, individuare novità e soluzioni compatibili. Per i sapiens e le nostre le istituzioni collettive (oggi per gli Stati) il concetto di crisi può avere definizioni diverse a seconda della frequenza, durata e importanza delle conseguenze. Ma le nazioni non sono individui in corpo maggiore: le differenze sono ovvie, molte e indiscutibili (presenza di leadership, corpi intermedi, sopraffazione esterna). Pur tuttavia, le crisi personali sono più familiari e comprensibili a chi non si occupa di storia e forse consentono di individuare alcuni fattori predittivi rispetto agli esiti, da adattare rispetto alle crisi nazionali o da considerare utili metafore, come una certa duttile capacità di adattarsi senza panico.

Il grande geografo ornitologo biologo americano Jared Diamond (Boston, 1937), autore di fondamentali saggi per la comprensione dell’evoluzione di Homo sapiens sul pianeta, riprendendo spunti già accennati in passato, da un decennio riflette più specificamente sull’epoca contemporanea ed esamina gli sconvolgimenti (Upheaval), ovvero i passaggi di fase (Turning Points) nella caduta o nella rinascita di alcuni Stati. Il prologo riferisce due esperienze autobiografiche: i sopravvissuti alle 492 persone che perirono nell’incendio del nightclub cittadino Cocoanut Grove, quando lui aveva cinque anni e il padre era medico ospedaliero; l’identità della Gran Bretagna successiva al fortissimo declino tra il 1956 e il 1961, quando lui vi soggiornava per studi e ricerche. Utilizza la metafora del mosaico per farsi capire: “dopo” inevitabilmente coesistono elementi (disparati) di ciò che fu e di ciò che si è diventati. Tutta la prima brevissima parte riguarda le crisi personali e fa largo uso delle scienze psicologiche, selezionando una dozzina di fattori predittivi che ostacolano o facilitano il superamento delle crisi e concludendo sui possibili parallelismi con le crisi nazionali, alle quali è dedicata oltre il novanta per cento della successiva splendida narrazione storica comparata. Poche quantità (equazioni, tabelle, grafici, statistiche), molta qualità storiografica (con due interessanti inserti fotografici). La seconda parte esamina specifiche crisi, passate ma relativamente recenti, di sei Stati intorno ad anni cruciali (Finlandia 1939, Giappone 1853, Cile 1973, Indonesia 1965, Germania 1945, Australia 1964). La terza parte è dedicata alle crisi in corso, alle incerte prossime sfide del Giappone e, soprattutto, degli Stati Uniti, per concludere con quattro grandi problemi globali (fra gli altri): arsenali nucleari, cambiamenti climatici, esaurimento delle risorse, disuguaglianze negli standard di vita. I sette paesi (fra le 210 “nazioni” del pianeta) sono un campione non scelto a caso: Diamond vi ha abitato per lunghi periodi e ne parla la lingua, avendo raccolto documentazione scientifica ed esperienze dirette. I riferimenti alle malattie epidemiche non sono certo rari e molti i possibili spunti per la crisi della pandemia Covid-19 (di cui l’autore ha comunque poi parlato con precisione).

 

Pajtim Statovci

«Le transizioni»

traduzione (dal finlandese) di Nicola Rainò

Sellerio

266 pagine, 16 euro

Tirana, Roma, Madrid, New York, Helsinki, Durazzo. 1990-2003. Bujar è un bell’albanese povero che perde il padre da bambino. Con l’arrivo dell’adolescenza, non sa se rimanere maschio o diventare femmina, alternando opzioni e propositi. Tenta il suicidio. Ne parla con l’amico omosessuale Agim, se la prendono con le politiche nazionaliste di Tirana e le convenzionali imposizioni sociali, scappano da clandestini attraverso l’Adriatico. Cammina come il padre, si muove come la madre. Lo troviamo 22enne a Roma nel 1998 a narrare passato (1990-1992), presente ed evoluzione della sua vita. Alla fine sceglie la Finlandia, affascinando sempre, da donna uomini, da uomo donne, di ogni età e condizione. Uno splendido romanzo sull’identità, “Le transizioni”, passaggi di genere, pelle, nome, nazionalità per il colto giovanissimo autore, già osannato e premiato ovunque, Pajtim Statovci (Kosovo, 1990), cresciuto a Helsinki dove si trasferì la famiglia (in fuga dalla guerra) quando lui aveva due anni.

 

Gian Mario Villalta

«L’apprendista»

Sem

228 pagine, 17 euro

La chiesa di un paesino del Nordest, non lontano da Pordenone. Il maggio di poco tempo fa. Tilio gestisce le candele e le relative offerte appuntando un quadernone a quadretti, controlla che siano ordinati i cinque libretti per ogni banco e che funzioni la malandata caldaia. Fredi fa il sacrestano, serve messa e tifa Inter. Sono anziani. Fra una funzione e l’altra (spesso soli con don Livio o don Luigi o don Lorenzo), tra un funerale e l’altro, bevono insieme dal termos riempito (un giorno per uno) con sette parti di caffè e tre di vodka. Pensano e dialogano molto fra sé e sé; se sono insieme poi parlano di tutto e commentano ogni notizia; si raccontano storie di vita e di donne, le proprie e quelle dei compaesani, o di parenti vicini e lontani. Con il bel romanzo “L’apprendista” l’insegnante, poeta e scrittore Gian Mario Villalta (Visinale di Pasiano, 1959) prosegue il proprio intenso percorso negli ecosistemi di pochi umani, con garbo e cortesia.

 

Furio Scarpelli

«Amori nel fragore della metropoli»

Sellerio

162 pagine, 13 euro

Roma. Primi anni ottanta. Il geometra “Ivano” vive con la mamma e le tre sorelle, fruttivendole in piazzetta delle Coppelle, lui disoccupato e viziato; il fidanzamento con un’attempata insegnante sconvolge gli assetti. Il tenero pescivendolo burino Bastiano s’innamora della spietata Erica e ne soffre per un po’, pur con “il tonno, la seppia e il maccarello”. Guglielmo e il “Sonato” Marcello s’incrociano al Centro di Igiene mentale, se ne vanno in giro con Anna, violenza ci cova. Furio Scarpelli (Roma, 1919-2010) iniziò come illustratore di storie per bambini e caricaturista; divenne poi per decenni pietra miliare del cinema, magnifico sceneggiatore, inventore di storie ed estensore del copione; continuò a disegnare e, soprattutto, scrisse molte narrazioni non finalizzate alla realizzazione ottica. Nella postfazione della raccolta di tre racconti inediti “Amori nel fragore della metropoli”, il figlio Giacomo riassume lo splendido intreccio di situazioni comiche e sostanza tragica.

 

Giulio Giorello

«La danza della parola. L’ironia come arma civile per combattere schemi e dogmatismi»

Mondadori

112 pagine, 17 euro

Parole e gesti umani. Da sempre. Cosa sia l’ironia più o meno lo sappiamo tutti: una battuta o una replica o una faccetta o un movimento ridicoli che introducono uno o più elementi inusuali e/o inattesi e/o ambigui e/o contrastanti rispetto a quello che avevamo appena ascoltato, visto, letto, percepito. Ovvero un modo di mettere in discussione la comprensione data per scontata di parole e gesti. Uno strumento di umana conoscenza. Uno sguardo diverso. Un modo di catturare l’attenzione. Non è per forza legata al linguaggio parlato o scritto, può derivare da azioni, comunque e sempre serve a far emergere qualcosa che non ci aspettavamo e a far riflettere su quanto era arrivato ai nostri occhi od orecchi. In linea di massima non attiva espressioni volgari, anzi è un antidoto colto alla volgarità (che quasi sempre è invece assenza di cultura), relativizza con scherzo ogni assoluta verità o certezza, gli schemi precostituiti. Sorriso e riso possono esserci certo, eppure l’ironia vuole soprattutto colpire, terremotare un concetto per non renderlo statico dogma. Dunque, talora può essere aggressiva, soprattutto quando si accompagna al sarcasmo o alla satira, pur mantenendosi sempre a distanza dalla violenza, sia fisica che psicologica. Anzi, contribuisce proprio a contenere gli sfoghi, a regolarli, ad articolarli, a non utilizzarli come un randello per mettere a tacere l’interlocutore (anche quando è un avversario). Non è mai una critica distruttiva fine a sé stessa, ha una discriminante componente creativa di scossa, ribaltamento, completamento rispetto al punto di vista che la sollecita. Non è solo un modo di operare, è un modo di vivere; non riguarda solo le cose che uno fa, ma quello che uno è; pertanto non la si può praticare e amare se non la si applica di continuo pure a sé stessi. Solo così si e ci libera davvero, migliora la nostra esistenza terrena e i luoghi sociali che frequentiamo.

Il grande epistemologo filosofo della scienza Giulio Giorello (Milano, 1945) spiega meravigliosamente che “l’ironia è una specie di danza della parola” (azzeccato delizioso titolo del volume, ispirato da Nietzsche): “un’arte difficile…perché bisogna, nello stesso tempo, avere considerazione per gli altri, e saper ridere di sé. Se ci si considera tutti una massa di imbecilli, è inutile cercare di comunicare con una forma sottile di ironia”. Ironizzare su qualcosa di detto o visto va preso in considerazione solo se abbiamo interesse e rispetto per chi ha parlato o agito; e bisogna poi esserne ben capaci, affinché costui prenda in “seria” considerazione la nostra ironia. Nello stesso tempo, se poi non sappiamo ironizzare su noi stessi meritiamo scarsa considerazione dagli altri. Arma civile certo, e però a doppio taglio, ibrida. L’agile volume è distinto in tre parti: meno brevi le prime due sui fumetti, grande antica passione dell’autore da Topolino a Paperino, da Tex a Linus (del resto in copertina c’è un “Bang!”), e sui ballerini che danzano con le parole, più o meno virtuosi (soprattutto contemporanei, soprattutto nella letteratura gialla); la terza è dedicata a due mitici scrittori, Robert Musil e James Joyce. Per finire la conclusione (“nel solco dell’Illuminismo”), le poche note numerate nel testo, i ringraziamenti (ma non l’indice dei nomi, che avrebbe molto incuriosito). Non è un trattato sull’ironia, non c’è nulla di sistematico; piuttosto uno zibaldone di riflessioni e citazioni di un autore colto e poliedrico, ironico e autoironico, scienziato e letterato. Giorello danza con le parole e narra avendo come filo alcune domande: c’è ancora, in giro, l’ironia?, cosa la elimina?, cosa la ripristina?, si può insegnare? Le risposte sono aperte, argute, stimolanti. Si parla spesso di politica e di religione; fra l’altro Giorello spiega perché nelle scuole non farebbe l’ora periodica di religione ma metterebbe il presepe ogni Natale. Opportunamente i romanzi gialli sono riassunti senza problemi di spoiler. Segnalo l’antinomia logica inventata secoli fa da Cervantes (maestro di “pensiero ironico” secondo Vázquez Montalbán) molto utile in questi decenni per ogni migrante di passaggio fra paesi confinanti. Significativa la parte sulla complicata ironia del calzolaio che fa le scarpe (pag. 88-89).

 

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