Didattica della fantascienza / 1

di Franco Ricciardiello (*)

[Prima parte: intervento di Franco Ricciardiello]

Foto di Paolo S. Cavazza

A partire da trent’anni fa c’è stata una certa evoluzione nella fantascienza italiana, per cui finalmente si è cominciato a lavorare molto sulle idee, a tirare fuori delle idee effettivamente originali che meriterebbero uno spazio che non hanno — come abbiamo visto prima negli interventi che parlavano della possibilità di essere tradotti in paesi anglofoni. La fantascienza italiana, quindi, come qualità di elaborazione delle idee, probabilmente è all’altezza di qualsiasi altra letteratura di fantascienza nazionale, o internazionale.

Qual è la profonda differenza? La profonda differenza è che invece la qualità pratica della scrittura, a mio avviso, non è assolutamente all’altezza; e vi spiego.

“Parlami” di Stéphane Wootha Richard, Cluny (Francia)

Una cosa è un’idea; cosa completamente diversa è portarla a termine, soprattutto se parliamo della scrittura di un romanzo, cioè di un’opera di durata lunga — o medio-lunga. Con “idea” non mi riferisco soltanto al novum fantascientifico, all’idea che mi permette di scrivere un racconto ambientato nel futuro, in un altro mondo o in un presente alternativo, ma proprio all’idea di una trama da sviluppare. Arrivare da questa massa di idee che ho in testa alla scrittura finale pratica, comporta una serie di passaggi che noi non siamo abituati a fare. Non siamo abituati a fare perché siamo permeati, soprattutto in Italia, da una cultura romantica che vede la formazione della scrittura pressoché unicamente come una trascrizione da una mentalità ideale al prodotto finale. come se esistesse uno e un solo modo di scrivere una storia.

Chiunque di noi può constatare che la stessa storia scritta da un autore o da un altro cambia completamente: può essere la storia più bella del mondo, può essere una storia assolutamente illeggibile che abbandoniamo a pagina 30. Perché? perché molto più importante nella fiction della storia in sé è il modo in cui viene raccontata. Anzi, c’è una differenza fondamentale: nella società delle Arti così come si va evolvendo, in cui è possibile trovare idee ottime non soltanto nella fiction letteraria ma anche nel cinema di fantascienza, nei serial, nei giochi e in una serie di altri media, per quale ragione i fruitori dovrebbero rivolgersi alla letteratura? Perché dovrebbero fare la fatica di prendere in mano un libro, di leggerselo — cosa che comporta diverse ore o più giorni d’impegno?

La differenza fondamentale che ancora mantiene la letteratura nel mondo delle arti è lo stile: cioè il modo in cui un autore trasforma la sua idea nella voce che viene percepita dal lettore. Questo è irriproducibile in qualsiasi altra arte. Il cinema non parla direttamente alla mente, deve parlare per immagini, deve parlare con il suono. Idem per altre forme artistiche che pure hanno la loro dignità. La musica, è vero, in parte parla direttamente all’animo, ma non forma le parole nella mia mente. La letteratura parla direttamente dall’animo dello scrittore alla testa del lettore attraverso un linguaggio condivisibile.

Quindi se ancora c’è una ragione per cui sopravvivrà  in futuro, in questo cambiamento enorme che stiamo vivendo, la letteratura come forma scritta, cioè come produzione di libri che siano cartacei, che siano su altri supporti, quello che volete, è proprio per la sfida di lettura. In Italia non c’è una bella scrittura di fantascienza. Ci sono ottime idee, ma quante volte portiamo a termine la lettura di un libro perché troviamo interessante l’argomento, perché ci piacciono i personaggi… ma il modo in cui è scritto non è assolutamente all’altezza non soltanto di quello che dovrebbe essere lo standard della fantascienza internazionale, ma non è nemmeno all’altezza della letteratura italiana generalista.

Cioè molto spesso noi autori italiani di fantascienza scriviamo con una lingua standard, che è l’italiano derivato dalla televisione o dai traduttori da altre lingue: una lingua formalmente corretta, senza nessuno sprazzo di genialità o di invenzione, che dà un prodotto normale. Ma perché? Perché non leggiamo gli autori italiani, quelli che stanno portando avanti un rinnovamento della lingua.

Ci confrontiamo cioè soltanto con un genere letterario tradotto, e pensiamo che l’idea sia la cosa fondamentale nella fantascienza. È vero: l’idea è la cosa fondamentale, ma c’è una differenza colossale tra il modo in cui può venire “tradotta” in pratica, in prodotto finale. Si dice che “il mezzo è il messaggio”: e ancora di più nella letteratura. La letteratura non sono le idee, non sono le storie, ma è il modo in cui vengono scritte.

È per questo che, lungi dal gettare un sasso nello stagno e lasciare che si allontanino le onde, in un modo o nell’altro abbiamo pensato di fare qualcosa e insieme a Giulia Abbate, alla quale adesso passo subito la parola, stiamo cercando di ragionare intorno alla scrittura di fantascienza: stiamo scrivendo un manuale che si occupa di creative writing applicata in maniera pressoché esclusiva alla science fiction, sperando di fare una cosa utile.

Per adesso è molto utile a noi perché stiamo ragionando su cose che altrimenti non ci sarebbero venute in mente, se non tirandole fuori nella pratica. Emanuele Manco, lui ha già portato a termine un’operazione simile, della quale ci parlerà subito dopo.

(*) ripreso da AI MARGINI DEL CAOS (ricciardielloblog.wordpress.com) : è la trascrizione della prima parte dell’intervento di Franco Ricciardiello, Giulia Abbate e Mauro Manco tenuto il 6 ottobre 2018 a Milano durante la manifestazione Stranimondi, dedicata alla fantascienza.

1 – continua prossimamente sul blog di Giulia Abbate (e la “bottega” lo segnalerà)

Redazione
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2 commenti

  • Fabio Lastrucci

    Molto interessante. Da pigro e superficiale, non avevo mai ragionato a fondo su questo aspetto, ritenendo che il gap degli italiani fosse più legato all’impianto ideativo, in genere meno d’avanguardia di quelli stranieri (forse per una base culturale più umanistica che scientifica), ma dando per sicura la solidità della parte squisitamente letteraria. Mi vengono in mente raffinati scrittori come Pestriniero, Sandrelli, Aldani e ancora Gianni Pilo o il compianto Vittorio Curtoni. Non direi che manchino anche contemporanei di altrettanto spessore, da Massimo Citi per la sf a Maurizio Cometto per il fantastico. Il discorso apre comunque il fianco a un bel dibattito. Lo seguirò con piacere e curiosità.

  • Un buon avvio. Uno spostamento tematico che, ove durasse, e fosse accompagnato da approfondimenti e rettifiche, potrebbe portare lontano. Quantomeno a una discussione sulla fantascienza non marginale e fuorviante.
    Una prima rettifica (confido venga accettata). I punti di partenza della riflessione:

    uno, la scarsa leggibilità, ab origine, degli scrittori di lingua italiana; scarsa leggibilità che negli ultimi decenni sembra essere stata superata (cito a caso: Pennacchi, Camilleri) perché è stata in parte superata la cultura accademica che rendeva difficile il dialogo tra intellettuale e popolo. Le sopravvivenze di questa cultura, artificiale ed elitaria, sono alla base delle diffidenze, che a volte debordano nel ridicolo, nei confronti della fantascienza;

    due, rifiutarsi di partire dalla fantascienza per arrivare alla fantascienza. Non lamentare l’incomprensione mentre viene praticata l’incomprensione. Occorre quantomeno presupporre l’esistenza di un mondo del quale vogliano rendere conto, quando ne vogliamo rendere conto;

    tre, la fantascienza non è un genere, è letteratura. Ma se proprio si vuole, LA letteratura. Comincia con Omero, continua con Dante e l’Ariosto e sfocia in Van Vogt (mi sia concessa una citazione personale a proposito del ruolo da affidare alla fantascienza. Il romanzo “I Fiori del Bene”, Edizioni Tabula Fati, 2017)

    Ultimo, la fantascienza tratta del presente, insegna il presente, soprattutto la parte meno visibile e più importante del presente. Rimanda il presente al futuro, non solo per lanciare il famoso grido di allarme di cui parla Aldani, ma anzitutto per renderlo meglio intellegibile. Il cosiddetto mainstream non è in grado di farlo con il medesimo fascino, mantenendo un alto gradiente di efficacia.

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