«Dietro i fronti» di Samah Jabr: cronache di…

… una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione

di Monica Macchi (*)

 

«Alle donne e agli uomini oppressi,

e a coloro che scelgono di essere solidali con loro»

 

«Dietro i fronti», edito da Sensibili alle foglie nella collana Indicibili sociali, è una raccolta di articoli scritti tra il 2003 e il 2017 (più un testo inedito dal titolo «La colpevolezza di chi odia e l’innocenza di chi ha paura» che smonta la violenza israeliana come «eredità di un passato traumatico») da Samah Jabr psichiatra che, partendo da Frantz Fanon, analizza i traumi psicologici dell’occupazione israeliana.

Occupazione che non è “solo” una questione politica e morale ma anche un problema di salute mentale perché l’ingiustizia, le umiliazioni quotidiane e i soprusi feriscono la psiche individuale e collettiva e spingono gli oppressi a indirizzare la loro collera contro chi si trova nella loro stessa situazione.

Infatti il groviglio di violenza strutturale, ineguaglianza economica, ingiustizia ma anche nepotismo e corruzione hanno creato un’atmosfera competitiva di tipo distruttivo ed un ambiente psicologico propizio alla sociopatia che arriva addirittura all’oppressione interiorizzata.

Le continue umiliazioni nei confronti sia dei singoli individui sia della comunità nel suo insieme ha modificato profondamente il tessuto sociale palestinese perché riduce la capacità di fidarsi del prossimo e parimenti distrugge la propria autostima: inoltre comporta una vergogna tale che molti non esternano neppure il loro malessere e la loro collera e alcuni arrivano al punto di identificarsi con l’aggressore.

Una situazione ancora più difficile per gli adolescenti: famiglie disgregate con figure paterne “a intermittenza” a causa dei continui arresti, un futuro personale limitato, un’educazione scolastica discontinua e uno sviluppo socio-psicologico interrotto dall’esperienza della detenzione.

Per questo l’autrice propone e promuove terapie di contro-narrazione per riappropriarsi del senso della vita, di resilienza ed empatia.

Il “sumud”, parola araba che indica “fermezza”, è una componente fondamentale della resistenza che non è solo un diritto ed un dovere ma anche un rimedio per gli oppressi. Così la vera soluzione per la salute mentale in Palestina è nelle mani dei politici non degli psichiatri perché tutta la società è ferita; per questo l’autrice scrive: «non siamo noi medici ad avere il potere di liberare i giovani dalle prigioni israeliane ma noi lavoriamo per liberarli dalla loro prigione interiore quando ritornano nella nostra comunità».

Samah JabrSamah Jabr

 

Particolarmente interessanti sono gli articoli relativi all’occupazione linguistica che rinomina ed espropria la memoria culturale e storica come pratica egemonica imponendo un vocabolario apologetico dove “occupazione” viene derubricata a “conflitto”, i “territori occupati” diventano “territori contesi”, e le “colonie” (illegali per il diritto internazionale) sono “quartieri”: così Samah Jabr ha deciso di imparare l’ebraico come atto terapeutico di dialogo e resistenza.

Un testo militante da leggere e rileggere per denunciare l’ingiustizia del colonialismo e l’oppressione interiorizzata.

Il libro è uscito insieme al documentario della Hybrid Pulse «Derrière les fronts», produzione e regia di Alexandra Dols, disponibile in Italia per MovieDay.

La proiezione prevista per il 6 marzo al cinema Beltrade di Milano è stata posticipata a data da definire a causa dell’emergenza sanitaria coronavirus.

(*) ripreso da oubliettemagazine.com

 

Redazione
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5 commenti

  • francesco giordano

    Un libro si legge prima di tutto dalla copertina, ancor prima del titolo.
    Quella di cui parlo, quella di “Dietro i Fronti”, è bianca a significare che non vuole imporre nulla, vuole solo raccontare e che poi ognuno, di quanto ha letto, ne faccia pure quel che vuole, purchè abbia letto e che domani non possa dire: non sapevo.

    Il libro “Dietro i Fronti”, sottotitolo: cronache di una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione”, di Samah Jabr, edizioni Sensibili alle Foglie è importante perché si inserisce in quel filone che ha messo in discussione la narrazione sionista, penso a Ilan Pappè, Norman G. Finkelstein, Susan Abulhawa o Ghada Karmi, in Italia soprattutto Alfredo Tradardi.
    L’aspetto “negativo” delle 190 pagine è che ti obbliga a pensare, ragionare, rivedere le tue certezze, o meglio a quanto hai fatto finta di credere, e non è operazione semplice, anzi io credo oggi molto difficile.
    Cosa voglio dire? semplicemente che la narrazione sionista è entrata nella testa delle persone, anche in molte di quelle che si dicono sostenitori dei palestinesi.
    Il merito del libro è che racconta la verità e questa da sempre non viene facilmente accettata, tanto più quando si parla dell’occupazione della Palestina.
    Nel libro ad esempio viene, giustamente, accusata la sinistra israeliana, ma credo occorrerebbe denunciare anche quella italiana.
    Non è forse vero che negli anni ‘60 ed anche ‘70, si era tutti innamorati della vita nei kibbutz?
    Chi ci aveva detto che quella realtà altro non era che le prime colonie cresciute su terra palestinese, annaffiate del loro sangue? (A pagina 63, ma non solo, viene svelato questo crimine).
    Affronta con grande coraggio ed onestà la questione della Resistenza.
    Quella palestinese è l’unica resistenza, in particolare in Italia, a cui viene aggiunto “non violenta”.
    Se pensiamo a quella a noi più vicina (la Resistenza italiana), avete mai sentito dire Resistenza italiana “non violenta”?
    Perché avviene questo? Perché come detto in precedenza, in Italia vive ed occupa la mente dei più la narrazione sionista, che impedisce di guardare quanto avviene in Palestina con coraggio ed onestà.
    Solo alcuni lo hanno fatto ed uno di questi è stato ammazzato (Vittorio Arrigoni), altri sono comunque morti.
    L’autrice infatti spiega che i sionisti reprimono la resistenza in quanto tale. Non fanno distinzioni tra quella “violenta” e “nonviolenta”.
    La morte della militante pacifista statunitense Rachel Corrie (schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano nel 2003) non ne è la prova sufficiente?
    Infatti Samah Jabr scrive: “La resistenza violenta deve sempre essere difensiva e impiegata come estremo rimedio. È comunque importante distinguere tra obiettivi accettabili (militari) e obiettivi inaccettabili (civili), come pure stabilire limiti all’uso delle armi. Anche l’oppressore deve essere tenuto a osservare questi principi”.
    Descrive l’occupazione entrando fortemente e sensibilmente dentro gli effetti che quotidianamente questa produce, infatti da molti anni la gente scappa dalla Palestina, fenomeno mai visto in tanti decenni. Nulla di questo avveniva quando la Resistenza era unita e di tutto il popolo, quando non vi erano profonde divisioni che hanno portato ad una vera guerra civile, ed alla continua perdita di speranza, di futuro.
    Una frase del genere la dice tutta: “Importanti personalità palestinesi si fanno curare negli ospedali israeliani e le ONG palestinesi offrono migliori salari e opportunità di lavoro a chi si è laureato in università israeliane”.
    Si rileva una critica di classe tra i palestinesi, argomento praticamente tabù nella solidarietà anche della sinistra, come una sacrosanta critica delle ONG.

    La denuncia delle torture subite dai prigionieri fa intendere quanto sia terribile aver vissuto e subito tutto questo in un contesto che trova normale la tortura, non solo il contesto di vita immediato, ma anche intorno a te, ed anche più lontano da te.
    Sai che verrai arrestato e che ti tortureranno, e non puoi fare praticamente nulla per non essere arrestato e torturato: sia a Gaza che in Cisgiordania vivi in una prigione.
    A Gaza esistono associazioni di donne che aiutano altre donne uscite dalle prigioni, torturate, violentate, ad inserirsi nella società.
    Negli articoli si denunciano arresti, torture e la quotidiana occupazione, ma forse l’aspetto più fondamentale è la parte dove l’autrice polverizza la narrazione sionista, svelando i due alfabeti usati quando si parla dei sionisti o quando si parla dei palestinesi (pagina 58).
    Questo è un testo che comunque obbliga a guardarti dentro, che fa conoscere una realtà che molti fingono di non vedere, giustificano questa amnesia ripetendo riti triti e ritriti.
    Ed è quella la parte che difficilmente porterà fortuna alla vendita del libro.
    Ultimo ma non ultimo: il libro svela quella la decennale collaborazione tra Anp ed Israele. Ancora oggi in Italia non se ne può parlare. Lo fa solo un giornalista del Manifesto, lo faceva il già ricordato Vittorio Arrigoni, e qui ricordo che fu ammazzato a Gaza il 15 Aprile 2011, dopo aver scritto un articolo sul ruolo “collaborativo” e “criminogeno” dell’Anp in Cisgiordania ed Hamas a Gaza, la stessa fine che ha fatto Juliano Mer Khamis, a Jenin il 4 Aprile 2011, anche lui negli stessi giorni di Vittorio con gli stessi oscuri motivi e modalità.

    Che dire di altro? Che il libro è scritto in maniera molto particolare: scrittura chiara e serena (pur nell’indignazione) come fosse raccontata dall’autrice mentre te ne parla seduti su una panchina, su sedie attorno ad un tavolino intanto che bevi un caffè arabo che lo devi per forza sorseggiare, tanto è carico di gusto e di verità.
    Verità che sappiamo essere rivoluzionaria, o non è.

  • Qui a Roma era stata organizzata dal Comitato “Con la Palestina nel Cuore”la presentazione del libro che si sarebbe dovuta tenere con la partecipazione dell’autrice domenica 1° marzo alle 18,30 nel salone della CdB s. Paolo, in via Ostiense 152/b. Il giorno dopo il film tratto dal libro avrebbe dovuto essere proiettato al cinema Barberini con la partecipazione al dibattito dell’autrice , che avrebbe proseguito poi per un giro in diverse città italiane. E’ Stato tutto disdetto all’ultimo momento perché Samah Jabr ha deciso di rinunziare a venire in Italia perché aveva appreso dalle autorità israeliane che al suo rientro sarebbe stata posta in quarantena e poiché la prudenza non è mai troppa deciso non è partita.. Ognun@ può interpretare il riferimento alla prudenza come meglio crede: sia al coronavirus, sia al regime vigente da quelle parti ed anche a tutte e due.

  • christian raimo

    Qualcuno di voi ha un pdf o sa come posso comprarlo online?

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