Dighe: il business di Cina e Spagna in America latina

di David Lifodi

 

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Il Movimiento de los Afectados por Represas de Latinoamérica (Mar), sorto nei mesi scorsi, si batte per la sovranità territoriale delle risorse idriche e per un progetto di energia popolare in tutto il continente. Il suo scopo è quello di arrestare l’ondata neoliberista in America Latina e onorare tutti i caduti nelle battaglie ambientali per mano delle multinazionali. Sono ben dodici le organizzazioni popolari di America centrale e Sudamerica che fanno parte del  Movimiento de los Afectados por Represas de Latinoamérica.

Tuttavia, le sfide che deve affrontare il Mar sono molteplici e nessuna di queste è semplice. Ad esempio, negli ultimi anni è cresciuto l’interesse delle imprese cinesi per la costruzione di centrali idroelettriche in America Latina. A breve la Cina si impegnerà ad investire 50.000 milioni di dollari in una serie di grandi progetti in cui avrà un ruolo di primo piano la Banca centrale cinese insieme alle multinazionali impegnate in ambito energetico, minerario e in quello delle grandi infrastrutture.  Tra gli addetti ai lavori sono in molti a pensare che, dal punto di vista economico, nel medio periodo la Cina andrà a rimpiazzare gli Stati Uniti. Tra i paesi che vantano una stretta relazione con Pechino c’è l’Argentina, a partire dai 4.700 milioni di dollari destinati al progetto delle dighe Kirchner e Cepernic di Santa Cruz. Queste centrali idroelettriche rappresentano il maggior investimento della Cina in America Latina. Inoltre, a livello di affari, la multinazionale cinese China National Offshore Oil Corporation è divenuta la seconda nel paese, dietro soltanto alla statale Ypf. Non finisce qui. Secondo l’impresa argentina Electroingenierìa e il suo manager, Mariano Musso, che gestisce e supervisiona l’intero progetto, le dighe Cepernic e Santa Cruz apriranno le porte ad almeno seimila posti di lavoro per gli argentini, altri dodicimila nell’indotto e, nel giro di pochi anni, la Cina si trasformerà in uno dei principali fornitori di energia elettrica dell’Argentina. Per quanto riguarda il desplazamiento che provocheranno le nuove dighe tutti fanno orecchie da mercante, come del resto avviene in Colombia, dove contadini, indigeni e pescatori artigianali ogni giorno si battono per scongiurare la costruzione di centinaia di centrali idroelettriche sui loro territori. Anche in Colombia, il vero obiettivo che si cela dietro le grandi opere idroelettriche non è la mancanza di energia del paese, quanto il suo sfruttamento dell’energia per l’estrazione mineraria e quindi per l’interesse privato delle transnazionali.

Del resto, il refrain è sempre lo stesso. Le multinazionali arrivano se possono aprire nuove vie di comunicazione (strade, porti, aeroporti) in grado di supportare i progetti idroelettrici e di estrazione mineraria. Il territorio finisce per essere del tutto stravolto e, come evidenzia il Movimiento dos Atingidos pelas barragens, il movimento brasiliano che si oppone alle dighe e rappresenta una delle organizzazioni popolari più attive all’interno del Mar, “l’essere umano viene messo ai margini dalle imprese, per giunta  su quella terra dove ha sempre vissuto”. Se gli investimenti della Cina rappresentano il forte interesse asiatico per le centrali idroelettriche, a livello europeo è la Spagna ad aver investito molto in questi mega-progetti. In tutti i casi, le imprese coinvolte tengono ad evidenziare che l’energia prodotta dalle dighe è pulita e sostenibile, ma se già nel 2000 il rapporto commissionato dalla stessa Banca mondiale alla Commissione mondiale sulle centrali idroelettriche ha dimostrato l’esatto contrario, e per questo è stato fatto cadere volontariamente nel dimenticatoio, ci deve essere una spiegazione. Il motivo sta nel fatto che il rapporto descriveva l’energia prodotta dalle idroelettriche come la più sporca, responsabile di aver causato lo sfollamento di un numero di persone tra i 60 e gli 80 milioni in tutto il mondo.

È per denunciare tutto questo che è sorto il Movimiento de los Afectados por Represas de Latinoamérica, che ha definito il Plan Puebla Panamá come uno dei principali cavalli di Troia delle multinazionali non solo per la costruzione di nuove dighe, ma anche per l’imposizione della monocoltura della soia e dell’olio di palma, l’edificazione di resort di lusso per turisti e anche per il grande business dell’energia eolica, in costante espansione grazie ai trattati di libero commercio firmati da buona parte dei paesi del continente latinoamericano.

Questo articolo è la quarta ed ultima puntata di un dossier sulla costruzione delle dighe in America Centrale e in America del Sud che nelle prossime settimane caratterizzerà la “Finestra latinoamericana” per raccontare quali sono gli interessi delle transnazionali e dei governi in quello che sta diventando uno dei principali business del continente.

Nella prima puntata: “Panama: dighe nel cuore della terra degli indigeni Ngäbe-Buglé”

Nella seconda puntata: “Lo scempio delle dighe in Mesoamerica”

Nella terza puntata: “Guatemala: ancora terra bruciata nel paese dei maya. Per colpa delle dighe”

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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