Dimenticare la guerra (in casa)

Una recensione – in ritardo – a «Cagliari 1943: la guerra dentro casa», a cura di Pier Paolo Piludu (*)  

«E’ una invenzione vero?». Che nel 1943 Cagliari sia stata duramente bombardata era una tragedia che spesso ragazze e ragazzi non volevano credere quando Pier Paolo Piludu ne ha raccontato – per centinaia di volte – nelle scuole: «e allora perché i miei nonni non me lo hanno raccontato?».

Già, perché?

Eppure nel ’43 Cagliari fu quasi completamente distrutta e «dopo 70 anni» – come scrive il sindaco Massimo Zedda – «la città porta» ancora fisicamente i segni di quelle bombe, in quelli che oggi chiamiamo vuoti urbani: una sorta di percorso della distruzione che in quei mesi interessò l’80 per cento degli edifici cittadini».

Lo scorso maggio, il lavoro di ricerca che da anni Piludu ha portato avanti è diventato un libro, un gran bel testo da leggere: è «Cagliari 1943, la guerra dentro casa» con un doppio sottotitolo «Racconti e percorsi teatrali» – perché quella del teatro è la forma verso cui Piludu ha indirizzato la sua ricerca – e «La memoria attraverso gli occhi e le voci dei bambini del ’43». Il volume è completato da un racconto di Maria Giacobbe e dagli interventi di Giulio Angioni e Marco Mostallino: lo pubblica Aipsa edizioni (248 pagine per 20 euri) con drammatiche fotografie di quei giorni e le belle illustrazioni di Sabrina Anna Piras.

Ad aprire il testo è «Casteddu ’43» (Castello – Casteddu in sardo – è il quartiere più vecchio di Cagliari) un testo rappeggiantedi Dr. Drer&Crc Posse.

Introducendo il volume Piluduspiega che nel ’94 quando imperversava la guerra nell’ex Jugoslavia pensò, con i suoi compagni del Cada Die Teatro, di «portare in scena storie ambientate negli anni della seconda guerra mondiale: volevamo raccontare la guerra dal punto di vista di chi la subisce e stando dalla parte delle persone più deboli». Piludu inizia a scrivere una storia, «Famiglia Puddu»; nelle sue ricerche per documentarsi incontra due anziani di Villanova (altro quartiere cagliaritano): è un tassello di quel suo testo ma anche della comprensione di quanto fosse diversa e difficile da capire l’Italia di Mussolini da una parte e di come l’oblio abbia poi avvolto queste vicende.

Così, mentre continuano le repliche di «Famiglia Puddu», dal 2006 Piludu inizia a creare un archivio video dei testimoni dei bombardamenti: 120 persone che oggi hanno un’età compresa fra i 72 e i 101 anni. Ora molte di queste testimonianze sono nel libro: «non hanno pretese letterarie», annota Piludu, o storiografiche. E’ la viva voce di chi allora era giovane o giovanissimo e ha visto Cagliari «crollare», persone morire o salvarsi per un soffio: una intensità che si ritrova nello spettacolo teatrale (dal 2006 messo in scena) e ora nel libro omonimo.

Nel libro prima delle testimonianze ci sono le riflessioni di Giulio Angioni su «bombe, sfollamento e fame di campagna» – una delle tante facce della guerra che di solito viene taciuta – e di Marco Mostallino su «demoni e angeli da su xelu prenu» cioè l’altra faccia delle bombe, diari e documenti dei nemici (di coloro cioè che bombardarono Cagliari, spesso ragazzini). Anche angeli? Sì, perché alcuni dei nemici salvano una bimba – ribattezzata Carol – e anni dopo scrivono in Sardegna per capire dove sia finita.

Il cuore del libro – oltre 100 pagine – sono «gli occhi e le voci» di chi nel ’43 era un bambino o una bambina. Raccontano tragedie e dolori talvolta rilette con la maturità degli adulti e talaltra con un fermo immagine sui ricordi infantili. Eppure a volte, nelle elaborazioni successive, i nodi politici emergono: «c’è un aspetto che mi ha sempre colpito […] e che in parte non è stato messo in evidenza: perché questo accanimento dei bombardamenti alleati su Cagliari?» così Paolo Fadda che azzarda una serie di risposte, compresa una sorta di tragica pre-tattica militare («facciamo finta di voler sbarcare in Sardegna mentre poi la nostra meta è la Sicilia»).

Duilio Casula nel ’43 è un giovane medico: rammenta che nell’ospedale mancava un vero rifugio, che fra un bombardamento e l’altro lui ascoltava Radio Londra, che gli sfollati all’inizio erano ben accolti nei paesi ma poi… troppi problemi con tutta questa gente da sfamare.

«Eravamo nudi e crudi. Non avevamo niente addosso: abbiamo perso lenzuola, soldi, tutto, tutto, tutto» racconta a esempio Carlo Fenu. Mariano Cocco invece ricorda che «ci avevano raccomandato di proteggere i vetri delle finestre», comico se non fosse tragico. Luciana Porcu ricorda quando, con le sorelle, il 26 febbraio ’43 rimane sepolta sotto le macerie: salve grazie a una trave ma «sepolte 6 giorni e 5 notti» senza cibo. Francesco Mameli ricostruisce persino una battaglia aerea… per errore: con gli italiani che non riconoscono gli aerei tedeschi e ne abbattono due. E così via in un affresco che Piludu ha saputo selezionare con maestria.

Dopo le bombe i nemici arrivano a terra. «Nei confronti degli americani all’odio immediato subentrò la simpatia», Adesso sono i liberatori. E’ forse anche questa confusione (il lungo inganno del fascismo che crolla quasi all’improvviso) a rendere difficile un lavoro di memoria individuale e collettiva? O è soprattutto che in Italia la storiografia di rado lavora sul tessuto che si può ricostruire attraverso l’oralità?

Gran libro questo di Piludu: come metodo, come ricerca ma anche per l’ambizione riuscita di parlare – attraverso il passato – delle guerre di oggi. Ce ne fossero così.

 

(*) Questa recensione si colloca nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita di non parlare in blog di alcuni bei libri pur letti. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro … o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimane sospesa per molti mesi. Ogni tanto rimedierò in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. (db)

 

Redazione
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Un commento

  • Mi dicono che questo testo appariva tagliato (dunque quasi illeggibile): l’ho sistemato
    Me ne scuso con Piuludu e con chi passa in blog.
    Segnalatemi (spero di no ma chissà) altre scelleratezzse simili; se sono in grado di rimediare (la mia insipienza informatica è nota dai Carpazi al Kilimangiaro) lo farò.

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