Dino Frisullo: «Cronaca nera»
Un testo del 2000 (*)
Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta nel porto a Patrasso
profumo di casa
garanzia di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva già visto l’Italia, poniamo.
Aveva l’odore dolciastro del porto di Bari l’Italia,
e il primo italiano che vide
vestiva la divisa di polizia di frontiera
e fu anche l’ultimo.
Respingeteli, disse,
Ali non capì le parole ma lesse lo sguardo
guardò a terra poi si volse
perché un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva già usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell’eco delle bombe
Qendaqur come Halabje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola, la famiglia in Germania,
con lei aveva sognato l’Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni
e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halil
divise verdeoliva
nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca
e poi liberi
corre veloce l’autobus da Cizre verso Mardin
ogni mezzora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce di notte tre notti
trenta posti di blocco
da Mardin fino a Istanbul,
e quella notte ad Aksaray nel più lurido degli alberghi
fra ubriachi che russano e scarafaggi
per la prima volta avevano fatto l’amore
e per l’ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti
lei gliene regalò uno
come fosse una rosa di maggio.
Fu all’alba che vennero a prenderli
taxi scassati il cielo grigio del Bosforo
poi a piedi verso un’altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia l’acqua del Meric
ha la pistola il mafioso, “più in fretta” sussurra,
di là la Grecia l’Europa
è calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott’acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell’inferno.
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali galleggiava nell’acqua sporca del Meric
mentre si nascondeva nel canneto
perché i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi è la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
In Grecia l’uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
a piedi di notte fino a Salonicco
un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
è bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era più bella
più profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena sul mare
di là c’è l’Europa davvero
gli ultimi soldi per il biglietto per Bari
Ali il mare non l’aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ma un uomo non ha paura
e il cielo dal mare non è poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa più paura la polizia di frontiera
“ez kurd im”
«ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari,
chiudeteli dentro, che non scendano a terra
sennò chiedono asilo…»
E’ triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E’ duro esser kurdi
sperduti fra il cielo e il mare
erano in dieci, poniamo
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
seimila dollari quei dieci corpi
valgono quanto un carico intero
e il suo amico Huseyn pagò anche per lui
prima di coricarsi abbracciati
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti prende alla gola
che ti toglie il respiro…
E’ cronaca
«Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir»
è politica
«Piu’ di mille clandestini respinti nel porto di Bari»
è diplomazia
«Accordo con la Grecia sui rimpatri»
è ipocrisia
«Roma chiede collaborazione ad Ankara»
è propaganda
«Inasprite le pene contro i trafficanti»
è nausea è rabbia è dolore
sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l’Europa
in Europa sogneranno il ritorno
nella fredda nebbia di Colonia
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un fiore secco
e un pane di sesamo…
(*) Qui in “bottega” spesso si è ricordato Dino Frisullo (1952-2003) impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani. Fra i suoi libri: «L’utopia incarcerata» (L’altritalia, 1998), «Se questa è Europa» (Odradek, 1999) e postumo «Sherildan» (La città del sole, 2003). Questo testo in versi è apparso più volte nella newsletter «La nonviolenza è in cammino» (è diretta da Peppe Sini): per contatti nbawac@tin.it.
“Frizullo”, una canzone davvero bella:
«Frizullo non è una parola di una lingua proibita
non è un codice sacro, nè una sfida agguerrita
Frizullo è un nome storpiato, precisamente un cognome
sta per Dino Grisullo, come dire attenzione!
Noi siamo i suoi amici, i parenti, i suoi protetti, i suoi figli
siamo quelli di Frisullo, dischiudete gli artigli
e lasciateci passare, alla faccia dell’assassino
è una lotta per la vita, ci dà una mano Dino…»
così canta ALESSIO LEGA in «Frizullo»: è anche nel bellissimo cd «Mala testa» (cioè «che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno»pieno di testi bellissimi da «Spartaco» a «La piazza, la loggia, la gru». Se non conoscete Alessio Lega vi consiglio di rimediare. «Vogliamo canzoni da amare» e «canzoni dal mare», «canzoni dal vero» e «canzoni più amare», «canzoni al cloruro di sodio» e «l vita che puoi raccontare».