Diritti: scritti da chi?

di Gita Sahgal

Gli standard dei diritti umani sono stati attaccati negli ultimi anni da pensatori di destra e di sinistra. Se gli uni invocano un mondo “naturalmente” classista e piramidale, considerando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani l’equivalente di un’irrealizzabile favola per marmocchi, gli altri la considerano “la fonte normativa dell’Impero”. I pensatori, ovunque si situino sullo spettro politico, trovano accordo nel ripetere che la Dichiarazione fu scritta dagli occidentali. A sfatare un po’ di miti al proposito provvede efficacemente Gita Sahgal, con il suo saggio Who wrote the Universal Declaration of Human Rights?, di cui ho tradotto il brano che segue. Gita Sahgal è co-fondatrice delle Southall Black Sisters e di Women against Fundamentalism, produttrice di documentari, scrittrice. Ha diretto l’Unità sul genere di Amnesty International. (Maria G. Di Rienzo)

Coloro che hanno lottato contro i tentativi dell’amministrazione Bush di frantumare la proibizione della tortura iscritta nei diritti umani si sorprenderebbero dell’essere considerati “costruttori dell’Impero”. Le sole armi a loro disposizione erano la Costituzione dei loro Paesi e il sistema dei diritti umani, con il suo inequivocabile rigetto della tortura.

Ma le libertà garantite dal vasto corpo legislativo basato sui diritti umani sono di derivazione “occidentale” e perciò limitate nella loro applicazione? Gli Stati affiliati all’Organizzazione della cooperazione islamica sembrano certamente pensare di sì. Negli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo hanno lavorato alla “Dichiarazione dei diritti umani nell’Islam de Il Cairo” come documento alternativo. L’idea che popoli diversi debbano essere titolari di diritti separati sarebbe sembrata assurda a coloro che nel mezzo del ventesimo secolo hanno lottato contro l’oppressione coloniale o tentato di costruire nuove nazioni.

La barbarie scatenata da una guerra mondiale era certamente nelle menti dei delegati che scrissero la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma vi era anche il desiderio di una vita migliore all’interno dello Stato-nazione, così come quello di limitare le possibilità di aggressioni esterne e di conflitti.

“Era fondamentale che i popoli del mondo riconoscessero l’esistenza di un codice di comportamento civile che si applicava non solo alle relazioni internazionali, ma anche agli affari interni” disse  Begum Shaista Ikramullah, membro dell’Assemblea costituente del Pakistan e delegata alle Nazioni Unite nel 1948.

Susan Waltz è una delle studiose che hanno fatto molto per recuperare le storia della stesura della Dichiarazione. Il suo lavoro mostra quanto sbagliate siano molte asserzioni su questo documento: Eleanor Roosvelt, ad esempio, è spesso ritenuta la sola autrice della Dichiarazione, poiché presiedeva il Comitato; i diritti civili e politici sono visti come “concetti occidentali”, mentre i diritti sociali ed economici sono ascritti alla pressione del blocco sovietico.

La verità è che Eleanor Roosvelt non fornì ne’ il testo, ne’ le idee sostanziali che diedero forma alla Dichiarazione. Ricardo Alfaro, ex presidente di Panama, propose l’idea e la prima bozza di documento, su cui lavorarono molti altri, inclusi intellettuali. Mentre le bozze elaborate si susseguivano, ogni clausola veniva votata dagli Stati membri e molti suggerimenti arrivavano dalle bozze di Stati piccoli o da poco decolonizzati. Gli Stati latino-americani promossero i diritti sociali ed economici, mentre l’Unione Sovietica si concentrò sulla discriminazione razziale.

Il desiderio di emancipazione per tutti, enfatizzato dal fatto che i diritti si applicavano a chiunque e dovunque, emerse come maggior soggetto di discussione. Aggiunte significative riguardanti la schiavitù, la discriminazione, i diritti delle donne e il diritto all’autodeterminazione delle nazioni furono portate dai nuovi Stati post coloniali.

Due dei più importanti estensori della Dichiarazione furono Hansa Mehta, indiana, e Charles Malik, libanese. Hansa Metha, una straordinaria e coraggiosa attivista, membro dell’Assemblea costituente dell’India, è la responsabile delle parole che compongono l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Tutti gli esseri umani sono eguali in dignità e diritti”. Hansa spiegò che se fosse stata usata la parola “uomini” al posto di “esseri umani” l’articolo non sarebbe stato inclusivo e sarebbe stato usato per escludere le donne. Lei fu la figura chiave dell’eguaglianza di genere nel documento.

La Jugoslavia e le Filippine sollevarono la questione delle colonie e della necessità che pieni diritti fossero garantiti alle loro popolazioni: perciò l’articolo 2 oltre ad assicurare la non-discriminazione delle persone rispetto a etnia, proprietà, origine sociale e così via, sottolinea che i popoli soggetti sono anch’essi titolari di diritti: “… nessuna distinzione sarà fatta sulla base dello status politico, giuridico o internazionale del Paese o territorio cui una persona appartiene, che si tratti di Paesi indipendenti … o soggetti a limitazione di sovranità”.

Le differenze politiche fra i redattori della Dichiarazione erano molto evidenti, ma non necessariamente si tradussero in divisioni. C’erano a esempio visioni diverse fra i musulmani su religione e matrimonio, due aree assai dibattute. L’Arabia Saudita obiettò dapprima all’articolo 16 sul diritto di scelta nel matrimonio. La Begum Ikramullah contrastò l’opinione dell’Arabia Saudita con un discorso contro il matrimonio di bambini. L’Egitto, con Wahid Rafaat, accettò l’articolo 16 spiegando che per il suo Paese le limitazioni al matrimonio basate sulla razza (quali esistevano negli Stati Uniti) erano più scioccanti di quelle basate sulla religione o sulla nazionalità. La clausola sul matrimonio, in breve, scaturì dal dibattito fra opinioni dando forma alle basi per un’unione egualitaria fra adulti che allora era assente nella maggioranza delle nazioni, fossero esse occidentali od orientali.

La clausola sulla libertà religiosa fu sostenuta da un gran numero di delegati musulmani. Fra loro il ministro degli Esteri pachistano, Zafrallah Khan, che citò il Corano: “Lasciate che chi sceglie di credere creda, e che chi sceglie di non credere non creda”. Khan era convinto che il diritto di cambiare religione fosse coerente con l’Islam. Moahammed Habib, indiano, sostenne la sua opinione, dichiarando la clausola coerente con la Costituzione indiana.

Nessun paese votò contro la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Si astennero Arabia Saudita, Sudafrica e blocco sovietico.

Hernán Santa Cruz del Cile, membro del sotto-comitato che vergava le bozze scrisse: “Percepivo chiaramente di star partecipando a un evento storico davvero significativo, un momento in cui si era raggiunto il consenso sul valore supremo della persona umana, un valore che non si originava dalla decisione di un potentato qualsiasi, ma sorgeva dal fatto stesso di esistere: il che dava alla luce l’inalienabile diritto per ogni persona di vivere libera dal bisogno e dall’oppressione e di sviluppare pienamente la propria personalità. C’era un’atmosfera di genuina solidarietà e fratellanza fra uomini e donne provenienti da ogni latitudine, una cosa che non avevo mai visto in nessun incontro internazionale”.

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