Disequilibrando

di Alessandro Taddei

Un reportage dal Libano, con un occhio su tutto il nostro Vicino Oriente (ma allora perché continuiamo a chiamarlo «Medio»?)

 

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Nessuno sa davvero quello che può succedere da qui a poco nel Vicino Oriente. Si possono fare solo alcune considerazioni.

La prima che viene d’istinto, quasi a colpo d’occhio, è che nei Paesi arabi si sta disequilibrando tutto per creare nuovi assetti e “nuovi” padroni. Il tutto condito dagli affari di Ue/Usa nel vendere le armi ai cosiddetti ribelli siriani, nell’appoggiare certi curdi ma dopo avere sterminato il Pkk, nel bombardare i mercenari dell’Is (Stato Islamico) per poi addestrarne altri che andranno a sostituire i defunti. Un cerchio senza fine.

Qualcuno muore, altri vengono liberati. La stampa ci va a nozze, così pure i signori della guerra che nel frattempo sono comodamente seduti intorno a un tavolo per ridisegnare i nuovi confini del mondo arabo con al loro interno non più rovesciamenti di sistema come si è fatto fino a ora ma vivaci e utili guerre civili permanenti. Così da avere confini decisi e solidi fra i Paesi coinvolti nei vari affari e all’interno una totale instabilità, in modo per non perdere mai il potere su quelle aree cioè in Libano, Giordania, Siria e Iraq.

Poi ci sono i disegnatori dei nuovi confini. Stati Uniti e Iran fra tutti (ma bisognerà capire come gioca la Turchia) con in mezzo i soliti israeliani trapiantati in Vicino Oriente 60 anni fa come fossero un satellite dei vecchi-nuovi progetti occidentali. E poi ci sono «quelli del Golfo», come li chiamano in Libano, che hanno i soldi per finanziare tutta la merda che entra ed esce nel mondo arabo. La stessa Arabia Saudita sta costruendo ai propri confini più di 950 km di muro difensivo, con tanto di torrette di guarda e armamenti di ogni genere. Un modo per difendersi dai propri figli dell’Isis o semplicemente un bluff colossale?

Voci non confermate – ma serie – dicono che a breve ci sarà un accordo fra Stati Uniti e Iran: questo porterà a definire “meglio” le questioni fra Libano e Israele, essendo il primo alleato dell’Iran e il secondo degli Usa. Ciò che poi succederà all’interno dei vari Paesi a causa delle continue divisioni in cui la popolazione si fa coinvolgere (p viene coinvolta a forza) non interessa a nessuno dei potenti. L’importante è che i confini esterni siano ben fissati.

A guardarla dal Libano, la questione dello Stato Islamico (Is o Dāʿish) sembra sempre di più una manovra di Israele e degli Usa per mettere fine al “vecchio” mondo arabo con le sue geografie e con i suoi antichi padroni che, molto spesso imposti anche in passato dall’Occidente, avevano portato a una infelice stabilità per un certo periodo.

In effetti, al di là di quello che appare in Europa attraverso i principali media, sono gli stessi abitanti del Vicino Oriente a essere vittime di questo nuovo movimento che sta prendendo largo tra le fasce più povere dei giovani e non solo.

In Libano il partito Hezbollah, che si era guadagnato la stima e la fiducia di molti, da quando nel 2006 aveva cacciato dal Libano Israele, sta perdendo il sostegno popolare soprattutto dopo aver mandato in Siria le proprie milizie a combattere.

In Libano le principali città sunnite, Saeda e Tripoli, alcuni quartieri di Beirut e il villaggio di Irsal, sono infiltrati dall’Is che in questi giorni hanno rivendicato un altro attentato compiuto a Tripoli (nord del Libano).

Le battaglie più violente sono a Irsal, un villaggio libanese sul confine siriano.

L’Is ha compiuto diversi attentati a Beirut, da un lato per mettere terrore alla comunità sciita, dall’altro per imporre una pressione a Hezbollah perché ritiri i propri miliziani dalla Siria e faccia pressione per liberare i prigionieri islamici detenuti nelle galere libanesi.

Non a caso Hassan Nasrallah leader sciita del partito Hezbollah (che sostiene Assad e il sistema siriano) si schiera apertamente contro la sunnita Isis.

In Siria la questione dello Stato Islamico sta servendo più che altro come “generatore” di molteplici situazioni che stanno nascendo tutt’attorno e fuori dal Paese; contemporaneamente è percepibile come esso sia un fenomeno di mercenarismo, in cui i soldati/as-soldati sono pagati dal califfato quattro volte più di un soldato dell’esercito regolare siriano. In ultimo un movimento come l’Isis è accentratore quanto basta per mantenere la situazione completamente instabile e non disturbare i “lavori in corso”.

Il petrolio naturalmente è una delle cause principali di questa distruttiva situazione. L’ Iraq da sempre nel bersaglio degli Stati Uniti è insieme alla Siria il Paese più martoriato, così come l’Egitto è completamente sottomesso a nuove dittature già predisposte. Tutto questo perché gli Usa e i Paesi del Golfo possano mantenere il controllo economico-sociale su queste aree.

Per quanto riguarda la Palestina, ad aprile si terranno le elezioni e pare che il futuro presidente, delfino e successore di Abu Mazen, sia Majid Faraj, attuale capo dei servizi segreti palestinesi e uomo chiave d’Israele e Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Hamas, partito religioso sunnita, resta l’unica alternativa a Fatah che da diversi anni ha perso la fiducia del proprio popolo per la corruzione presente al suo interno, per non aver sostenuto le cause popolari restringendo di fatto le opere sociali all’interno della West Bank e per essersi aperta indiscriminatamente al governo israeliano, appoggiandolo nella lotta ad Hamas e al terrorismo. Abu Mazen che marcia a Parigi a fianco di Netanyhau, tenendo alta la bandiera della lotta al terrore, in seguito all’attentato del giornale «Charlie Hebdo», è lo stesso Abu Mazen che manda la polizia a picchiare i manifestanti riuniti a Ramallah ad Al Manara Square.

Si può fare di meglio che assistere al duello fra Abu Mazen e Hamas? In effetti sì. L’altra alternativa risiede in galera, in Israele. Si chiama Marwan Barghouti e ha 5 ergastoli sulla testa. Almeno è ancora vivo, anche se qualcuno in Libano pensa che lo abbiano ucciso… o stiano per ucciderlo. Quando ho detto «è ancora vivo» a un ragazzo libanese si sono illuminati gli occhi. Perché Marwan Barghouti è l’unico leader in questo momento che potrebbe rappresentare un’alternativa alla follia che si sta perpetuando in Palestina e in generale su tutto il Vicino Oriente. Salvo miracoli imprevisti (a cui io personalmente mi appello spesso) sembra remota la possibilità che si faccia una tale pressione internazionale su Israele da ottenere che Marwan Barghouti venga liberato. Al di là della gioia per questa sacrosanta liberazione (le accuse contro di lui sono un castello in aria) qualcuno opina che Barghouti politicamente sia soprattutto un simbolo e come tale possa cambiare ben poco. Ma spesso i simboli danno alla speranza quella forza che permette alla gente di risollevarsi, anche solo per l’idea di riabbracciare un uomo, che ha fatto molto per il suo popolo, finalmente libero dalla galera. La Palestina un tempo era solo Palestina, poi è diventata terra di conquista, mentre molti la sognavano “libera e rossa” o “democratica e laica” visto che lì la religione non era un marchio di fabbrica identitario. Ora si proclama di identità sunnita. Appoggerà lo Stato islamico dato che per l’ennesima volta la gente NON troverà in Fatah e nel suo nuovo presidente il proprio interlocutore popolare? E Hamas (o una sua parte) vedrà nel movimento dell’Isis l’unico alleato possibile, con il conseguente inasprirsi dei rapporti, per altro già molto deteriorati con Fatah e il conseguente rischio di una guerra civile?

In questa scacchiera resta fuori la Giordania, per il momento sospesa in un limbo, ma c’è da scommettere che non durerà a lungo e presto succederà qualcosa. Come sempre l’importante è che i confini esterni siano saldi.

Nel 2010 passando per il campo profughi di Saeda (Ein El Helwe, 40 km a nord di Tiro – Libano) denunciai le condizioni del luogo che dal punto di vista sanitario e igienico era fra i peggiori… di quelli già devastati in Libano. All’interno di questo campo vivono oltre agli adulti, moltissimi bambini con un tasso di malnutrizione elevatissimo e pessime condizioni igieniche: un tessuto sociale fertile per coloro che arruolano fedeli al servizio dei signori della guerra, cioè Al Qaeda prima e Isis ora. Cambiano i nomi ma la strategia è la stessa, si diceva così una volta in Italia, uno Stato che avrebbe molto da insegnare a chi voglia ragionare su segreti & bugie del terrorismo eversivo coccolato dai Servizi segreti.

Creare un sistema sociale libero non significa imporre un concetto di libertà ma dare agli abitanti dei luoghi la possibilità di vivere dignitosamente come esseri umani e questo impedirebbe in ultimo la nascita di molte disperazioni e tragedie. Fare il contrario – affamare, gettare bombe per favorire mercanti di armi e banche – inevitabilmente produce solo merda, anche nelle teste: in questa merda non nascono fiori ma solo odio. Odio verso tutti coloro che hanno qualcosa in più di te, fosse anche un passaporto. Un simile odio nasce nelle periferie europee. Le abbiamo create noi quelle orride periferie e di certo l’odio che lì germoglia è incomprensibile a chi non ci abita e vive in un benessere (magari relativo) costruito anche sulle loro spalle. Lavorando come formiche impazzite per costruire città dove il benessere è destinarto in partenza a pochi discriminando la moltitudine siamo noi (intendo i poteri dell’Occidente o dell’Uccidente come ha scritto db su codesto blog) ad aver creato quell’odio, che ora ci ritorna indietro. Servisse almeno paradossalmente a far pensare tutti quelli che stanno in mezzo fra i pochi che comandano e i molti (sempre più) disperati.

Abbiamo sempre un’altra possibilità, come la Palestina: usare l’intelligenza e quello strano sentimento di amore che crea l’amicizia fra le persone. Neanche dico popoli; li chiamerei solo persone che, differenti fra le altre e nel mondo, vogliono vivere e non solo malamente sopravvivere, uccidere o essere uccise.

Come ho scritto all’inizio, queste sono considerazioni raccolte (e maturate) in Libano in questi giorni, ascoltando persone spesso molto lucide e informate sul mondo assai più di un italiana/o “medio”. Il futuro non è scritto e solo gli esseri umani sono artefici del proprio fato.

All’interno di questo blog http://electronicintifada.net/blogs/moe-ali-nayel trovate articoli molto interessanti su Siria, Irak, Libano, Palestina, media attivismo e molto altro. L’immagine è ripresa da «graphic by uberblue»

 

Alessandro Taddei

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