Dissonanti e un infame Policlinico

Un bell’esordio su Urania. «Il re nero» (Urania: 318 pagine per 4,50 euri) di Maico Morellini lascia il segno: non fatevelo scappare, è in edicola ancora per un paio di settimane.

Siamo in un futuro relativamente vicino (lo Stato italiano è finito «due secoli fa») dopo non meglio precisate «crisi economiche, guerre euro-asiatiche, malattie». Nell’ex Italia resistono Bologna, Modena e Reggio diventate un’unica città mentre Parma, a esempio, è una specie di giungla, in mano alla mafia euro-asiatica e solo a passar di lì si odora la decadenza: in effetti 200 anni sono pochi per riprendersi da un certo sindaco (o almeno io l’ho intesa così).

Nella Città Unica invece le cose non vanno male: la tecnologia impera eppure i riferimenti sono al passato, alla Polis e alla cultura greca. Più vetrina che sostanza? Però fuori di lì «il mondo sta andando a pezzi» o almeno così argomenta il super Governatore quando deve convincere lo scettico Riccardo Mieli – un investigatore privato geneticamente potenziato – a collaborare.

Ma c’è del marcio anche in Aemilia, una e trina, a partire dalla crisi – rimasta quasi del tutto oscura – di 4 anni prima con i Dissonanti. Domande a cascata. I «Corpi Medici» sono la soluzione o un gruppo di invasati? Quali infamie somo gestite nell’immenso impero del Policlinico ex-Modena? Cosa è davvero successo in quel lontano 14 ottobre, «Dieas Aequum»? E’ possibile che una menopausa accelerata diventi strumento di guerre politiche? Soprattutto chi è «il re nero» del titolo? Ogni domanda avrà la sua risposta perchè Morellini (reggiano di 34 anni, attualmente all’opera su un fantasy con protagonista Mesmer) non imbroglia. Bella scrittura, colpi di scena a ripetizione e distribuiti con astuzia e arguzia, personaggi credibili pur nella loro dimensione “futuribile”. Insisto: non sempre i vincitori del premio Urania sono memorabili ma questo lo è; da tempo non c’era in fantascienza un esordio italiano così scintillante.

Vivamente sconsigliato a chi ha paura degli aghi. Invece raccomandato agli amanti degli scacchi: la prima parte si apre con Reuben Fine (ma per un refuso nel libro diventa Rueben) grande scacchista e psicologo del secolo scorso mentre la seconda ha in epigrafe una frase del franco-polacco Xavier Tartakower, teorico e campione degli scacchi.

Molte previsioni interessanti. Qui se ne può anticipare una sola. «La più grande magia di quei tempi era l’esercito instancabile di psicologi (o terapeuti del lavoro, come preferivano essere chiamati) insediato nelle ricche profondità del tessuto sociale».

Cosa si farà nel futuro «aemiliano» e abbastanza estremo di Maico Morellini? Quel che si tenta anche oggi: sopravvivere.

Devo aggiungere una nota su Imola, visto che in codesta città mi trovo a vivere.

«Morto da molto tempo. Era rinchiuso nella città-carcere di Imola» scrive Morellini. E poco dopo: «Il politico era agli arresti domiciliari grazie ai privilegi del suo ruolo ma presto, con l’avanzare dell’indagine, sarebbe stato trasferito nella città prigione di Imola: laggiù, anche per lui, la vita sarebbe stata molto dura».

Come si è ridotta Imola a prigione? Sarebbe scorretto rivelarlo (il libro è lì che vi aspetta) e solo è possibile anticipare che quando compaiono cinque imolesi… vengono subito assassinati, in un modo così originale da far invidia a Bin Laden o alla Cia. Bisogna arrivare a pagina 213 e a una lunga battaglia per sapere tutto (o quasi) di Imola e ricevere conferma che lì si trova la soluzione di molti misteri.

Adesso qualche maligna/o certamente mi chiederà: tu che vivi a Imola hai qualche motivo (indizio, sospetto, talpa…) per capire come mai Morellini assegna proprio a Imola questo ruolo carccerario? Così del tutto nudo – in senso metaforico – sul blog posso solo dire questo: anni fa, in un suo racconto su «il manifesto» il bolognese Stefano Benni (sempre sia lodato) parlava di qualcuno da mandare via, possibilmente nel posto più punitivo; se la memoria non mi inganna Benni scrisse: «mandiamolo a Vladivostok o a Imola».

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