Dobbiamo avere paura dei Draghi? O di chi?

di Mauro Antonio Miglieruolo

Figura salvifica di uomo forte, anomala figura politica, Mario Draghi realizza uno dei tanti obiettivi immediati della tattica borghese. Trasormare il primo ministro da primus inter pares in demiurgo politico, dotato di carisma per nomina, e nei fatti organo decisionale di ultima istanza. In quanto tale costituisce il punto d’arrivo, pur provvisorio, del processo di trasformazione in senso autoritario della democrazia italiana. Neppure il famigerato governo Tambroni ha minacciato in ugual misura le caratteristiche del sistema politico uscito dalla Resistenza.

Due gli obiettivi fondamentali che gli sono affidati: 1) realizzare un sistema autoritario di fatto, da ratificare domani mediante opportune modifiche costituzionali (cambiando sostanzialmente i tentativi degli ultimi decenni di introdurre lo sconvolgimento nel diritto insieme alle modifiche di fatto; 2) sanzionare lo stravolgimento attraverso il rafforzamento della tendenza, che è di tutte le democrazie, a trasformarne la natura elettiva dei regimi democratici, dotati di pesi e contrappesi, in democrazie elitarie, il cui voto è comunque ininfluente nel confronto con il padronato (a volte nascosto al riparo della “ragione scientifica”). Nello stesso tempo i tecnici gradualmente assumono il rango di tecnocrati, che possono essere criticati, con misura, esclusivamente da altri tecnocrati.

Un terzo obiettivo – usato per giustificare l’anomalo avvento del demiurgo – cioè spendere i soldi dell’Europa, si mostra ogni giorno di più un mero pretesto. Il tema è rilevante, ma più importante, per la borghesia, è portare avanti quei due obiettivi. La cui realizzazione garantisce che gli indirizzi di riforma – di ogni riforma – andranno a favore del padronato.

I toni trionfali che hanno accolto la nomina di Draghi – sanzionata alla quasi unanimità dai miserabili e derelitti rappresentanti del popolo (povero popolo!) – non hanno trovato alcun sostanziale riscontro nelle decisioni fin qui assunte. Il solito tran tran di quasi tutti i governi, impegnati a far stringere la cinghia dei pantaloni ai lavoratori domina la scena. Di nuovo c’è il tranquillo (rispetto al burrascoso passato) procedere sulla strada su cui l’Italia è incamminata; che ha prodotto, oltre che precariato, l’abbassamento di pensioni e salari, con gravi arretramenti del suo ruolo sulla scena mondiale. A tutt’oggi, nella gestione dell’esistente, nell’eliminazione degli ostacoli che appesantiscono il Paese, non è stato messo in campo nulla di sostanzialmente diverso dalle misure assunte dal precedente governo Conte; e nessuna novità sembra delinearsi all’orizzonte. Nessun sollievo di rilievo per le masse sofferenti.

Quello che appare – e si conferma ogni giorno – è la possibilità dell’uomo forte di fare e disfare a suo piacimento; tenendo conto dei partiti nei limiti dei loro piccoli interessi.

A questo proposito è interessante notare che le necessità di governo del sistema italiano, afflitto da crisi periodiche, non hanno trovato personaggi in grado di raccogliere il consenso di maggioranze stabili, che avviino stabilmente un percorso coerente e rapido di controriforma; né trovato chi abbia saputo suscitare entusiasmi permanenti, rafforzando gli equilibri complessivi del sistema. Uomini di grande spessore politico negli ultimi cinquanta anni non si sono visti. Solo politicanti di infimo livello, azzeccagarbugli, furbastri, profittatori e persone dalle prospettive cortissime, incapaci di vedere di là dai loro interessi di bottega. Per trovarne uno bisogna occorre uscire dalla nomenklatura politica e comunque risalire al secolo scorso, al pontificato di Wojtyla, vero pilastro del sistema capitalistico mondiale. Ma il papa polacco è, appunto, espressione di un’organizzazione collaterale a quelle borghesi; sodale, ma con obiettivi propri e sensibilità diverse. Segno questo che lo strapotere del padronato si erge sulla sabbia di una società che non riesce più a selezionare uomini di qualità che la rappresentino. E che continua a vincere ma sempre meno convince. Da cui la necessità di ricorrere a personaggi cresciuti all’esterno della struttura politica. Ricorrere al prestigio, in gran parte artificiale, di tecnici-funzionari che per lavoro (questurini dell’economia), per cultura e mentalità forniscano solide garanzie che nessuna istanza popolare potrà inceppare il meccanismo ben oliato dell’accumulazione cioè che il sistema dello sfruttamento e dell’oppressione continuerà a espandersi industurbato.

Ecco allora Ciampi, Monti, poi la deroga Berlusconi (la borghesia che assume direttamente il compito di governare) e infine Draghi. E sembra proprio che Mario Draghi possa riuscire dove gli altri hanno fallito.

Rafforzato dalla pandemia, oltre che dall’unanimità delle forze presenti in Parlamento (Fratelli d’Italia quasi inclusa) finora è andato spedito, ignorando chi si opponeva; ma anche chi prestava ossequio (spesso finto) alla sua discutibilissima autorità. Libero da tare etiche, sembra destinato a realizzare i suoi compiti senza le ingloriose cadute di un Renzi, «messo lì a fare proprio le cose che sta facendo» (citazione a memoria di una dichiarazione televisiva di Sergio Marchionne); e senza i contraccolpi provocati da Monti e dalla Fornero.

Dobbiamo dunque aspettarci un ulteriore arretramento delle condizioni di vita e riduzione delle libertà democratiche. Lo fa sospettare anche la recente odiosa dichiarazione di Draghi che faceva dipendere l’accettazione di alcune categorie di persone nella “società civile” dall’ossequio alla volontà dei vaccinatori a oltranza (io sono un vaccinato spaventato dalle posizioni oltranziste dei pro-vax, le cui parole sono le stesse che, in ogni epoca, hanno spinto alla persecuzione e alle Notti di San Bartolomeo).

Speriamo che la virtù possa ancora una volta prevalere contra i furori, senza che ci sia quel combattimento rievocato dal Machiavelli. Draghi non ha le qualità decantate dalle piccole persone che dispongono dei media, per farlo sembrare un eroe omerico. Inoltre nel Paese c’è ancora un consistente nucleo di resistenti che non è disposto ad assoggettarsi ai diktat padronali. Gli elementi di coscienza democratica diffusi in una parte dell’opinione pubblica costituiscono più che una speranza. Sui posti di lavoro non tutte le voci tacciono, non tutte le unità produttive sono prive di organismi che, sia pure minoritari, restano in grado di organizzare e indirizzare nella lotta. La stessa esistenza di posizioni ambigue nella destra italiana mostra che le masse popolari sono oggetto da contendere, politicamente non acquisito. Anche quando purtroppo vota per loro. Domani, entrati nella stanza dei bottoni, potranno mostrare il loro vero volto ma sanno che quella forza (nella sincerità dei loro discorsi privati la considerano con odio) è tutt’ora rispettabile, dunque è utile avvicinarla: non è bene – se casi straordinari non lo imporranno (o glielo chieda il padronato) – andare a uno scontro frontale. Meglio mantenersi in un limbo d’ambiguità, almeno fino a che le votazioni non sanciranno quel predominio che le destre ritengono sia a portata di mano.

Il vero problema dunque non è Draghi. È l’assenza di un’organizzazione politica, pur piccola, di sinistra che ponga come obiettivo prioritario l’entrare nei posti di lavoro piuttosto che in Parlamento o nei consigli regionali. Che sappia utilizzare le proprie energie per riallacciare i rapporti con i lavoratori, registrando la propria assidua presenza anche nei quartieri. Portando avanti parole chiare, diverse da quelle del chiacchiericcio mediatico, costruite intorno ai seguenti obiettivi:

  • La lotta per la riduzione del precariato, in vista dell’affermazione del contratto a tempo indeterminato quale obiettivo finale
  • La rivendicazione delle 30 ore settimanali, pagate 40
  • La restaurazione della libertà di sciopero
  • L’età pensionabile garantita a 60 anni, con il ritorno al retributivo. Senza pregiudizio di chi vuol continuare e se la sente di continuare
  • Il ripristino e l’allargamento delle tutele previste all’articolo 18, esteso a tutte le aziende.

Non sono obiettivi scelti a caso ma la risposta necessaria da dare al padronato, che su questi punti ha costruito la sua offensiva, vincendo battaglie decisive. È ora di recuperare quel che ci hanno rubato.

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

2 commenti

  • Il problema è il P D. Lo sappiamo tutti: la sciocca vergogna d’esser stati comunisti li perseguita, come un fantasma shakespeariano. Oggi accettano il dogma capitalista, si vendono, divengono violenti nel pensiero contro chi li rifiuta e denuncia la condizione di un partito e di gruppi che furono comunisti ed ora si adeguano alla violenza del capitalismo, chiedendo tutt’al più un poco di mercè per i poveri.
    Questa non è sinistra. Sinistra è uscire. come stato, come governo, come collettività, dal rapporto di obbedienza all’America ed al fascismo quotidiano degli stati europei.

    Ho detto delle sciocchezze? Mah? guardiamo un poco cosa fanno: la Francia nel Sahel, l’Italia nel Canale di Sicilia, la Spagna a Ceuta e Melilla, i fascisti polacchi lungo i confini d’Europa, e così via.
    Temo che si debba prevedere una generale insorgenza dei paesi poveri contro i ricchi. Come sempre nella storia , si tratterà di sangue sparso inutilmente.

    • Nelle linee essenziali credo si possa essere d’accordo. Escluso il punto in cui evochi la possibilità di dire sciocchezze, cosa che non mi sembra corrispondere alla realtà. Temo che questo tuo interrogativo sia frutto, oltre che dall’aggressività di tanti compagni che ignorano che l’esserlo comporta mettersi a disposizione degli altri per crescere tutti insieme; ma più ancora conseguenza dell’ideologia dominante che, subdolamente, cerca di far passare l’idea che solo gli esperti hanno diritto di parola e di dissenso. Che cioé il migliore dei mondi possibili, quello che ci propongono, è il mondo dei tecnocrati, della scienza come religione, dell’aristocrazia dei sapienti.
      Contro costoro oppongo che chiunque, anche il più ignorante ha diritto a decidere se nel cortile di casa sua debba o meno sorgere una centrale nucleare; decidere se preservare l’integrità del suo corpo; e se il lavoro (e conseguente salario) sia un diritto e non una benevola concessione di Sua Maestà il Capitale. Gli esperti, specialmente quelli della Bocconi, hanno per decenni indicato le ricette che la loro scienza (la scienza elaborata per servire i padroni, alias ideologia scientifica) indicava, una volta adottate, come le più adatte a produrre l’arricchimento generale. Sono trascorsi decenni, i risultati li hanno smentiti. Perciò sono loro a dover tacere, non certo noi, con i nostri studi limitati e l’illimitato diritto al rispetto e alle tutele costituzionali.

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