Don Carlos e l’orrore dell’Occidente

di Fabio Troncarelli

Vienna, Kunsthistorische Museum, Don Carlos, ritratto di Alonso Sánchez Coello

Il 21 maggio 1527 nacque a Valadolid il principe Filippo d’Asburgo, figlio di Carlo V, destinato a divenire re di Spagna con il nome di Filippo II. Pretendere di rievocare in poche pagine la sua vita può sembrare presuntuoso e temerario, poiché il suo nome è legato a tutti gli avvenimenti più importanti della storia dell’Europa e delle Americhe del XVI secolo. Chi volesse conoscere meglio questo personaggio inafferrabile e sconcertante, può leggere un libro recente, aggiornato e documentato, basato – al contrario di tanti surrogati italiani – su fonti di prima mano: The Imprudent King: A New Life of Philip II (New Haven, Yale University Press, 2014) di Geoffrey Parker. Da parte nostra, ci limitiamo a fare presente che neppure questo volume, per tanti versi fondamentale, riesce a risolvere quello che l’autore chiama «un enigma» e che è in verità solo il più famoso mistero della vita, piena di ambiguità e di paradossi, di un sovrano controverso e contraddittorio: l’enigma di Don Carlos, l’erede al trono, morto giovanissimo in circostanze mai veramente chiarite, sulle quali il re e la sua corte tennero rigorosamente la bocca chiusa, rilasciando solo insipidi e sibillini comunicati ufficiali.

Il fatto è che nonostante – o forse proprio a causa di – tanta reticenza, si sono moltiplicate centinaia di opere su questo principe scomparso prima del tempo, alcune delle quali – come il Don Carlos di Schiller e di Verdi – talmente eccezionali da trasformare la Storia in Mito. Il principe è divenuto l’emblema della libertà, soffocata da un Padre Padrone spietato, che non esita a uccidere il figlio per una efferata idea della Ragion di Stato.

Non abbiamo la pretesa di risolvere in due paginette un rompicapo con cui si sono confrontati i migliori ingegni tra XVI e XX secolo. Vogliamo solo mettere sull’avviso chi legge sulla natura del problema e sulle ragioni della mancata soluzione di un enigma che alimenta necessariamente le più scatenate fantasie.

Ridotta all’osso la storia è questa. Don Carlos, figlio di Filippo e Maria Manuela di Portogallo, discende da cugini di primo grado e mostra sin dall’infanzia i segni di uno squilibrio fisico e mentale, che i medici sono soliti interpretare come effetti dell’endogamia. Per di più il principe, che ha perso la madre appena nato e parla con la vocina di un bambino – balbettando e confondendo una lettera con un’altra – è estremamente cagionevole di salute e colleziona malattie che lo perseguiteranno tutta la vita, lasciandolo deforme, con una gamba più corta e una spalla più bassa. Su quest’essere infelice, una masnada di storici in malafede si accanirà per secoli e si accanisce ancora, compiacendosi di descriverlo come un mostro, in preda a inevitabili tare ereditarie. Ora, è vero che Don Carlos si comportava in modo del tutto stravagante (ammesso che siano vere le informazioni non certo imparziali dei cortigiani di Filippo II). E’ altrettanto vero che per molti anni. Filippo II ha chiuso un occchio e magari anche due sul figlio degenere, tollerando la sua feroce violenza e la sua sregolatezza. Sì, d’accordo, però, però…

Gli storici filospagnoli e filocattolici possono dire quello che vogliono, ma più di un fatto li smentisce. Fatti dunque. Gli storici “veri” – che si sbracciano per un’ìinterpretazione “seria” di Filippo II, contro la leyenda negra che avvolge la sua figura – dovrebbero tenerli in massimo conto.

I fatti li snocciola senza tanti complimenti proprio il libro di Parker che ho citato (e fosse il solo). Ecco un fatto: le persone che incontrarono il piccolo principe, del tutto prevenute nei suoi confronti, dissero senza mezzi termini che era capacissimo di intendere e di volere, anche se mostrava preoccupanti sbalzi di umore. Un esempio di questa valutazione è la testimonianza esplicita di Adam von Dietrichsten ambasciatore dell’imperatore Massimiliano d’Austria, nel 1564. In base alle informazioni che aveva ricevuto dalla corte egli pensava che il principe, che aveva 22 anni, fosse come «un bambino di sette anni»; ma dopo averlo incontrato fu costretto a cambiare opinione e giudicò le chiacchiere sul suo conto «esagerate» 1.

Lo stesso dice anche lo studio “serissimo” di Gonzalo Sánchez-Molero2 che ha analizzato la biblioteca del principe e ricostruito la sua cultua e il suo curriculum di studi in prestigiose istituzioni come l’Università di Alcalà di Henares. Nonostante i suoi sbalzi di umore, Don Carlos dimostrava intelligenza e voglia di capire.

Se tutto ciò è vero e contrasta con l’immagine del mostro in preda a tare ereditarie, allora non meraviglierà che il principino deforme e un po’ stravagante sia stato preso sul serio dagli oppositori di Filippo II, che speravano, a torto o a ragione, nel suo aiuto. Di questo fanno fede alcuni fatti che si contrappongono ai “santini” agiografici o alle demonizzazioni che piacciono a tanti storici filistei: come le centinaia di lettere scritte al malcapitato principe da ogni sorta di personaggio, per chiedere il suo aiuto, per offrire servigi, per dare informazioni riservate (come l’ambasciatore spagnolo a Genova) o per offrire doni insoliti, come il Viceré della Nuova Spagna; lettere conservate ancora oggi nell’Archivio di Simancas e ricordate opportunamente da Parker3 Il quale fa notare che dietro così tante lettere c’era evidentemente una rete di autorevoli personaggi, un vero e proprio partito occulto, che comprendeva giovani destinati a vertiginosi successi: come Cristóbal de Moura, don Juan de Silva o don Juan de Borja, i quali si stringevano intorno al principe “pazzoide” non certo per perdere tempo e rischiare gratuitamente la vita facendo inutilmente la fronda al re. La cosa è a tal punto vera – anche se ignorata dagli storici preoccupati solo dei santini – che altri protagonisti indiscussi dell’opposizione a Filippo II non esitarono a prendere contatti con Don Carlos, sperando di guadagnarlo alla loro causa: lo fece nel 1656 il Conte di Egmont, leader dei “ribelli” dei Paesi Bassi. E a quanto pare il principino pazzoide fu d’accordo con i “ribelli”, al punto che progettò di fuggire dalla Spagna e di andarsene nei Paesi Bassi per governarli. Questa soluzione, che per un breve periodo fu accarezzata perfino da Filippo II e che fu rimpianta a lungo dai “ribelli” stessi, come mostra la Apologia di Guglielmo di Orange, fu resa impossibile dall’ala più intransigente della corte e alla fine venne rifiutata da Filippo II. Il quale fece arrestare il figlio, reo di aver minacciato di morte chi lo aveva tradito e, udite, udite, reo di averlo minacciato, al punto di aver incontrato (udite, udite) ben 18 confessori per essere assolto dal peccato di regicidio; senza avere fortuna, perchè nella Spagna dei santini ogni pio uomo di chiesa farebbe così, anche se poi il peccatore insiste indisturbato a progettare omicidi e regicidi per diciotto volte… fino a che quel sant’uomo del padre sbotta, perché si sa che quando scappa scappa.

Siete liberi di credere a queste panzane: di “fatto” il principe pazzoide fu arrestato il 17 gennaio 1568 da Filppo II in persona, con tanto di corazza ed elmo, a capo di un manipolo di sgherri, e venne rinchiuso nei suoi appartamenti trasformati in prigione.

Qual è il problema? Il principino avrà pure fatto cose stravaganti e folli ma non era in preda a un delirio sistematico che tutti potevano osservare. Anzi chi poteva osservarlo da vicino, come l’ambasciatore di Massimiliano, diceva che non era pazzo sino in fondo. Come si giustificava allora la detenzione? L’unica cosa che lo avrebbe potuto far considerare automaticamente pazzo agli occhi di tutti era il desiderio di sbarazzarsi del re. Pur ammettendo che i suoi impulsi omicidi siano stati veri e non inventati dai consiglieri del re, essi potevano destare orrore solo tra i fedeli di Filippo II, certo non impressionvano i suoi oppositori che volevano sbarazzarsi di lui.

Last but not least: mandare un ribelle al manicomio è una prerogativa dei dittatori e dei tiranni, non dei capi di stato che aspirano di essere ricordati con un santino. Per tutto questo Filippo II stava sulle spine.

Nel frattempo, il principino in prigione dava in escandescenze e coloro che lo visitavano, come Federico Pereira ambasciatore del Portogallo, lo notavano. Neppure mancavano perplessità e insinuazioni da parte di ambasciatori stranieri, come il Nunzio Apostolico o l’ambasciatore inglese. Alla prima occasione, i mormorii potevano trasformarsi in un rombo di tuono: con il principino liberato o fatto fuggire all’estero da qualunque gruppo di rivoltosi, che avesse accampato la scusa della fedeltà alla dinastia che reggeva la Spagna, caduta nelle mani di un tiranno senza scrupoli.

Don Carlos aveva le ore contate. Infatti dopo pochi mesi morì improvvisamente. Le maldicenze e i pettegolezzi si sprecarono. Dire che simili fremiti di orrore siano stati alimentati da nemici della Spagna e siano state solo chiacchiere è una vera sciocchezza. Chi altri avrebbe potuto dire che il re di Spagna era un mostro se non un suo nemico? Quest’osservazione ovvia e tautologica piace allo storico “serio” intento a fabbricare santini. Sembra intelligente ma è proprio stupida. Chi volete che riveli i segreti della mafia? Il commissario Montalbano? O piuttosto Tommaso Buscetta? Se questo è vero che ci importa di misurare col bilancino la veridicità di ogni accusa da parte di Tommaso Buscetta? Non siamo giudici in tribunale. Siamo osservatori allibiti e costernati di un evento tragico, che ci viene raccontato come se fosse una favoletta. Se viene fuori una crepa, una contraddizione in questa narrazione non possiamo più credere al raccontino agiografico.

L’immagine piissima che traspare dalla relazione ufficiale di López de Hosios sulla morte di Don Carlos4 è fasulla: come possiamo credere allora all’immagine ancor più pia del re, vittima della “leggenda nera”? Una contraddizione del genere scatena necessariamente tutte le illazioni e le interpretazioni possibili ed è vano e addirittura sciocco pretendere che si tratti di favole quando il racconto che si oppone a tali favole appare una fiaba a sua volta.

Non importa se le accuse sono vere o sono false: il punto è che in mancanza di spiegazioni convincenti viene automatico il sospetto che Filippo II sia l’assassino di suo figlio. Dunque che il vero mostro non sia stato il piccolo principe ma proprio lui e tutti quelli che lo spalleggiavano, dai pessimi Inquisitori ai cattivi consiglieri.

Come abbiamo detto all’inizio non pretendiamo di risolvere un caso così controverso in poche paginette. Però non ci facciamo neppure mettere i piedi in testa dagli storici che scambiano l’ideologia con l’accertamento dei fatti, non esitando a inventare una mistificante “leggenda bianca” per combattere una presunta “leggenda nera”.

Lo scopo di questo intervento è solo ricordare che il caso Don Carlos resta un enigma. Non ci sarebbe nessun problema se la morte di Don Carlos fosse un evento comprensibile. Invece fu un decesso improvviso, riferito con “pia” reticenza, assolutamente inspiegabile. Non è vero quello che si legge nella maggioranza delle opere storiche recenti, perfino le più autorevoli: e cioè che “non esistono prove “ per autorizzare il sospetto che la morte non sia stata naturale.

Intendiamoci sulla parola “prove”. Se lo storico pretende di avere le prove giuridiche, che in tribunale porterebbero alla condanna di un reo, ha proprio sbagliato mestiere. Se invece resta ancorato alla sua identità professionale e considera un altro tipo di “prove” – cioè le contraddizioni interne delle fonti che consulta – allora le cose stanno diversamente.

Una di queste contraddizioni non è mai stata presa in considerazione e invece varrebbe la pena di ragionarci. Dunque, l’ambasciatore del Portogallo Federico Pereira andò a trovare il principe dopo il suo arresto e riferì che non aveva mangiato da quattro giorni, attuando per protesta uno sciopero della fame. Visto che nessuno riusciva a convincerlo di smettere «i suoi guardiani entrarono nella sua stanza con un aggeggio di ferro, una specie di apparecchio che gli faceva tenere aperta la bocca, costringendolo a ingurgitare minestra e carne»5. Passò un po’ di tempo e il principe riprese il suo sciopero della fame. Ma nessuno intervenne per alimentarlo. Il conte di Lerma, responsabile ufficiale della sua detenzione scrisse infatti, non molto dopo la sua morte6: «non aveva mangiato da quindici giorni…e anche se, dopo undici giorni, convinto dal suo confessore… cercò di mangiare, gli si era così ristretto lo stomaco che non riusciva a inghiottire che un sorso di brodo… Per tutto questo tempo aveva bevuto una decina di litri7 di acqua ghiacciata al giorno, una quantità sufficiente per uccidere mille uomini fatti di acciaio».

Fermiamoci un attimo. Perchè nessuno dei carcerieri aveva provato a far mangiare Don Carlos, come era accaduto prima? E perché gli avevano dato acqua ghiacciata da bere a stomaco vuoto senza battere ciglio? La notizia sembra incredibile: eppure chi la riferisce non è una maliziosa fonte antispagnola, ma proprio colui che lo teneva prigioniero. Se le cose stanno così come facciamo a credere che la morte di Don Carlos, il 24 luglio 1568, sia stata «naturale»? In circostanze analoghe, non fu affatto “naturale” la morte in prigione per sete di Raimondo Ruggero Trencavel nel 1209 a Carcassonne, né quella “di stenti” di papa Giovanni I, imprigionato da Teodorico a Ravenna nel 525.

Di fronte a simili contraddizioni, interne alle fonti stesse che ci permettono di ricostruire gli eventi, non possiamo che restare impietriti: come accadde a molti contemporanei della vicenda. Il sentimento di chi è costretto a guardare in viso la Gorgone è quello che veramente resta di questa storia terribile: rimuovere il suo orrore con interpretazioni ideologiche, invocando la “leggenda nera” o la “leggenda bianca”, l’anticattolicesimo o il filocattoliesimo, è veramente miserabile. Non a caso, nello straordinario Don Carlos di Verdi si sente tante volte la parola “orrore”, la stessa che viene pronunciata da Mistah Kurz in Cuore di Tenebra e che risuona come la campana a morto della nostra civilità, capace solo di portare morte e distruzione.

Una brillante studiosa di Verdi ha scritto che il compositore è riuscito a esprimere compiutamente un simile lacerante conflitto perchè ha imparato da Shakespeare, riletto attraverso le lenti di Victor Hugo, ad esprimere la natura doppia e ambivalente degli uomini, anche dei tiranni e dei mostri8. Ciò è senza dubbio vero e ci permette di capire perché ancora oggi ci appassiona e ci fa riflettere la terribile storia di Don Carlos e di Filippo II come la terribile storia di Otello che uccide ciò che ama: simboli della tragica doppiezza dell’Occidente, che divora i suoi figli come Crono.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

1 R. Parker, An Imprudent King, pp.183-184)

2 J. L. Gonzalo Sánchez-Molero, Lectura y bibliofilia en el príncipe don Carlos (1545–1568), o la alucinada búsqueda de la ‘sabiduría’, in La memoria de los libros. Estudios sobre la historia del escrito y de la lectura en Europa y América Tomo I (Instituto de Historia del Libro y de la Lectura., a cura di P. M. Cátedra García -M. I. Páiz Hernández-M. L. López-Vidriero Abello, Salamanca 2004, pp. 705–734.

3 R. Parker, An Imprudent King, pp. 187-188.

4 J.. López de Hosios , Relación de la muerte y honra fúnebres del serenissimo prince Don Carlos, Madrid 1568.

5 Lisboa, Arquivo National da Torre do Tombo, TSO, CG 210, lettera del 25 febbraio 1568, ff. 155v- 156v

6 Monumento Historica Societatis Jesu S. Fr. Borja, IV , Madrid 1894, n. 670, p. 649, Lettera del Conte di Lerma a Francisco Borja, 1 ottobre 1568.

7 Il testo dice: “cinco açumbre de agua con nieve”, il che corrisponde a circa dieci litri visto che un “açumbre” equivale a poco più di due litri.

8 G. Staffieri,«L’action trainant sa lune»: note sulla drammaturgia del “Don Carlos”, in Pensieri per un maestro: studi in onore di Pierluigi Petrobelli, a cura di S. La Via-R. Parker, Torino 2002, pp. 335-348.

Redazione
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Un commento

  • Fabio Troncarelli

    Estimadissimo Fabio, mi scuso in anticipo per qualche spagnolismo ma spagnolo sono. Ho letto quello che ha scritto su Don Carlos. Ho apprezzato il suo doppio (di analisi e di sintesi) sforzo, ma noto che lei in conclusione dice o non dice:io vorrei sapere: 1) chi sono i bugiardi e perchè (lo intuisco); 2) qual è l’ipotesi più probable sull’assassinio don Carlos? Ringrazio db per averle trasmesso questo mio messaggio. Suo Sancho Melindroso,.”
    Caro Sancho,il fatto che lei si ponga esplicitamente queste domande dimostra che è una persona in buona fede .La maggior parte dei colleghi storici che conosco io, invece, non la definirei in buonafede e troverebbe simili domande dilettantesche e ingenue. E’ vero, in un certo senso, che io “dico e non dico”: ma questo dipende proprio dalla diffidenza dei miei colleghi. Ho cercato di andare coi piedi di piombo, prevedendo le possibili reazioni di un coro assordante di storici “negazionisti”, che formano un fronte composito, ma compatto, che va dai filocattolici e filospagnoli più ingenui agli storici che si fingono smaliziati, tutti orripilati dalla ‘leyenda negra’ che avvolge Filippo II, definita ancora nel 2018: “infame macchinazione ideologica inglese e protestante” a cui ha contribuito il Don Carlos di Verdi. .Dal momento che non voglio essere accusato di complicità con la “infame macchinazione protestante” e non voglio essere considerato un ciarlatano, mi sono limitato, di proposito, a porre solo qualche domanda, prendendo spunto da un unico libro, per carità recente e aggiornato, sennò dicono che sono problemi morti e sepolti. Se però, giustamente, qualcuno in buonafede mi chiede di essere più chiaro, allora sono costretto a citare qualche altro libro, per far capire che certe cose non sono solo una mia fissazione, né stravaganti trovate di un storico che vuole farsi pubblicità. in un libro uscito da poco. Ne scelgo uno, vecchiotto, ma ancora valido. Non l’ha scritto né un inglese, né un protestante, né un infame, ma un cattolico francese, uno storico all’antica, che si preoccupava delle fonti, non di blaterare sui mass media di “leyendas e di macchinazioni”: Louis Prosper Gachard, che credeva fermamente che “l’impartialité était le p r e m i e r devoir .”.Gachard nel suo “Don Carlos et Philppe II”, uscito nel 1863 prima del “Don Carlos” di Verdi che è del 1867, è stato il primo (subito imitato da altri) a confrontare le versioni ufficiali della prigionia e della morte di “Don Carlos con le versioni non ufficiali, a volte addirittura segrete, degli ambasciatori di tutti i paesi presenti a Madrid, cattolici o protestanti che fossero. Parliamoci chiaro e una volta per tutte: 1) gli ambasciatori sono tutti concordi nel dire che il re aveva arrestato il figlio solo perché aveva paura di un colpo di stato da parte sua e che erano balle la presunta follia di Don Carlos e tutto il resto; 2) gli ambasciatori (che erano sorvegliati dalle spie) non si sbottonano sulle cause della morte e riferiscono quello che raccontano i servi, sottolineando che a tutti è stato ordinato di tacere; però più di uno dice che circolavano strane voci a riguardo della morte e in particolare l’ambasciatore inglese John Man accenna, sornione, al fatto che Don Carlos è morto “per un bicchierino di troppo”, frase che per Parker aignifica che “è stato avvelenato”(“Imprudent King”, p. 179); 3) gli ambasciatori sottolineano scandalizzati “la durezza per non dire crudeltà di Sua Maestà”, giudicato disumano (“Don Carlos et Philippe”, II, p. 689); 4) gli ambasciatori sottolineano, a volte, che anche la morte di Elisabetta di Valois è sospetta. Il Nobili, ambasciatore dei Medici, dice per esempio: « Mi pare approposito che Vostra Eccellenza sappia come li medici espressamente abbiano ammazzata la reina”(Lettera trascritta da C. Cantù, in “Archivio storico italiano”, 1868, p. 38). Che significa tutto questo? Significa che non c’è stata nessuna “infame macchinazione”:per screditare Filippo II. Dal primo momento di questa storiaccia, nessuno ha creduto alle balle che hanno raccontato il re e i suoi consiglieri. I dubbi sul suo comportamento e sulla morte di Don Carlos sono nati subito. E pure quelli sulla morte di Elisabetta di Valois sono nati immediatamente. E questo lo sappiamo dal 1863, prima dell’opera di Verdi del 1867. Di conseguenza, possiamo rispondere alle domande di Melindroso, senza paura di essere accusati di credere a “infami macchinazioni”, in questo modo : Domanda 1) Chi sono i bugiardi? Risposta:: Filippo II e i suoi consiglieri. Domanda 2) Perché hanno mentito? Risposta: Per mascherare il fatto che avevano paura di Don Carlos, che l’ambasciatore Cavalli di Venezia definisce un ” povero principe giovane et senza vitii, amator della giustitia, a suo modo però, et in oppinione di liberale”(“Don Carlos et Philippe”, II, p. 700). Domanda 3): Qual è l’ipotesi più probabile sull’assassinio di Don Carlos? Risposta: Nel migliore dei casi i suoi carcerieri l’hanno lasciato morire di congestione intestinale, dandogli deliberatamente acqua ghiacciata che provoca dissenteria e permettendogli di fare digiuni che indeboliscono e rovinano lo stomaco, alternati a grandi mangiate che fanno venire un’indigestione immediata. Nella peggiore delle ipotesi, Don Carlo è morto per un “bicchierino di troppo” in cui qualcuno aveva sciolto del veleno. In tutti e due i casi Filippo II non è innocente:qualunque sia stata la motivazione del suo comportamento, il re dimostra quella “durezza, per non dir crudeltà” che non sfuggiva agli osservatori contemporanei più attenti.

    Ps. Colgo l’occasione per segnalore che la didascalia corretta della foto pubblicata è: Madrid, Prado: Filippo II, ritratto di Tiziano

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