Donna e straniera, il target della crisi

di Gianluca Cicinelli

Tra i 456 mila posti di lavoro persi in Italia alla fine del 2020 ce ne sono 159 mila, un terzo, persi da lavoratori stranieri, 109 mila di questi posti erano occupati da donne immigrate, un quarto del totale, che sono quindi quelle più colpite dalla crisi, le vittime materiali della pandemia. Se i lavoratori stranieri calano del 3,5% per le donne straniere saliamo a una quota del 10% contro l’1,5% di posti persi dalle donne italiane, che risultano colpite in misura simile dei connazionali maschi con l’1,3%.
Il trentunesimo Dossier Statistico Immigrazione, a cura di Idos, in collaborazione conla rivista “Confronti” e con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V documenta una presenza straniera pari all’8,5% della popolazione del Paese, presenza al 51,9% costituita da donne, per un totale di 2,6 milioni di persone. L’Istat ci dice che alla fine del 2020 il 42% degli occupati stranieri era una donna, ma la pandemia e la crisi socio-economica successiva ha aumentato a dismisura la vulnerabilità delle lavoratrici straniere. Il loro tasso di occupazione è calato di 4,9 punti percentuali, più che doppio rispetto al -2,2% degli uomini stranieri e otto volte quello delle donne italiane. E proprio alle donne italiane si rivolge per la maggior parte il sostegno dei lavori domestici e familiari, sopperendo alla crisi del sistema di welfare.

Due fattori colpiscono in questa ricerca, meno evidenti ma sintomatici della crisi profonda del lavoro femminile straniero in italia. La questione della sotto occupazione, ovvero delle lavoratrici che lavorano meno di quanto vorrebbero, il 14% delle straniere nel 2020 contro l’8,1% del 2019 contro il 9,1% tra le italiane. L’altra questione importante è costituita dalle lavoratrici sovraistruite, con il 42,3% delle lavoratrici straniere che vanta un livello di competenze superiori alle mansioni svolte, percentuale che scende al 24,8% per le donne italiane e al 27,7% per gli immigrati maschi.
La tipologia dei lavori ci aiuta a capire meglio come si crea la maggiore vulnerabilità delle donne straniere al lavoro, a cominciare dal rischio di esposizione al covid, impegnate per metà del totale soltanto in tre professioni, quella di Colf, di Badante e di Pulitrice: il 39,7% è un’addetta ai servizi domestici o di cura.
Problemi legati al mercato del lavoro, alla ritrovata presenza familiare scaturita dalla pandemia che ha cancellato molti posti di lavoro ma un peso che non si può ignorare è costituito dalla lentezza con cui procede la
regolarizzazione, basti pensare che tra tutte le pratiche avviate nell’estate del 2020 soltanto il 27% è stato evaso nel luglio 2021. E l’85% di queste regolarizzazioni riguardavano lavori domestici.

La stessa natura del lavoro, in prevalenza rapporto privato all’interno dell’abitazione, ha impedito alle donne colpite di accedere alla cassa integrazione e usufruire del blocco dei licenziamenti. Un dato confermato dall’Inps, secondo cui tra i percettori della cassa integrazione ordinaria dello scorso anno soltanto il 10,5% sono donne straniere. Ma le lavoratrici straniere, oltre al dato socio economico, risultano in questo momento il soggetto più indebolito dalla crisi dal punto di vista umano, proprio per la natura dei lavori che gli vengono affidati. A cominciare come detto sopra dall’esposizione al covid, che aggiunge allo stress psicologico e fisico quello da rischio di contagio, ben oltre le precauzioni che si possono prendere per se stessi, nella cura degli assistiti e quello costante del rischio di perdere il lavoro. L’Inail ha riconosciuto solo dopo molti mesi dall’inizio della pandemia il covid come infortunio da lavoro. Resta sullo sfondo, ma non certo per importanza, la questione del vaccino, ritardato rispetto ad altre categorie a rischio fino al piano vaccinale di marzo 2021, quando è stato esteso anche agli assistenti familiari addetti alla cura, ma solo di persone con gravi disabilità, escludendo quindi colf e baby sitter. C’è poi la questione del green pass che colpisce le lavoratrici straniere che in mancanza di una vaccinazione italiana hanno aderito alle vaccinazioni dei propri paesi. Non sono mancati i casi di chi, rientrato temporaneamente nel Paese di origine, ha aderito alla locale campagna di vaccinazione, con grossi problemi in particolare per le donne dell’Europa orientale, vaccinate con lo Sputnik, che non è riconosciuto per ottenere il Green Pass in Italia.

ciuoti

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