Dossier FS 17 – La Mappa del Futuro 4

4. Verso una nuova space opera (autore: Giovanni De Matteo)

Immaginate una civiltà futura in grado di estendere il proprio dominio su ogni aspetto della materia e sullo stesso continuum spazio-temporale, manipolando i corpi e le menti e plasmando la realtà a proprio piacimento. Intelligenze artificiali, habitat spaziali, manufatti alieni sono solo alcune delle sorprese

in cui potreste imbattervi solcando i sentieri siderali che ne collegano i remoti avamposti galattici. Quello che otterrete è un pallido miraggio del Ciclo della Cultura dello scozzese Iain M. Banks, ad oggi composto dai seguenti titoli: Pensa a Fleba (Consider Phlebas, 1987, trad. Roldano Romanelli, ultima ed.: Fanucci, 2002), L’impero di Azad (The Player of Games, 1988, trad. Anna Dal Dan, Nord, 1990), Lo Stato dell’Arte (The State of the Art, novella, 1989, trad. Anna Dal Dan, Fanucci, 2001) La guerra di Zakalwe (Use of Weapons, 1990, trad. Gianluigi Zuddas, Nord, 1991), L’altro universo (Excession, 1996, trad. Anna Feruglio Dal Dan, ultima ed.: Nord, 2004), Inversioni (Inversions, 1998, trad. Anna Feruglio Dal Dan, ultima ed.: Nord, 2007), Volgi lo sguardo al vento (Look to Windward, 2000, trad. Leonardo Rizzi, Fanucci, 2004), Matter (2008) e Surface Detail (2010), questi ultimi inediti in Italia.
La Cultura viene dipinta da Banks come una società costituita da entità organiche e artefatti senzienti, in cui i discendenti delle civiltà progenitrici cooperano nel comune interesse. In questo scenario non mancano comunque le ragioni di conflitto, considerando che malgrado il suo ruolo egemone la Cultura non è ancora riuscita ad avvolgere sotto la propria tutela la complessità delle specie in possesso della tecnologia per il volo stellare. Praticamente tutti i romanzi della serie raccontano storie ambientate ai margini di questo contesto, spesso su pianeti fermi a un livello tecnologico di almeno qualche ordine di grandezza inferiore agli standard della Cultura, dove agenti in lotta per l’integrazione e paladini dell’autonomia sono impegnati a fronteggiarsi.
Sebbene la familiarità con una società postumana sarebbe piuttosto spontanea, l’autore ha chiarito che i riferimenti temporali riportati in diverse puntate della saga collocano l’azione tra l’anno 1300 e il 2100 d.C. Per quanto ci siano stati in passato contatti con la Terra, l’unico mostrato nella serie (la novella Lo Stato dell’Arte) si svolge sul finire degli anni ‘70, quando la Cultura ha alle sue spalle ormai undicimila anni di storia, e mette a confronto in una narrazione molto tesa e toccante due punti di vista: quello di un fuggiasco che decide di esiliarsi sulla Terra e quello di una delegata della Cultura spedita in missione convincerlo a tornare sui propri passi.
Con il ciclo della Cultura Iain M. Banks ha reinventato negli anni del cyberpunk una science fiction in forte debito verso il senso del meraviglioso delle origini, con i suoi scenari galattici di rutilante e vertiginosa profondità. La sua opera è forse quella più rilevante, per gli esiti letterari, la forza d’impatto e l’influenza esercitata sul genere, nell’ambito della cosiddetta nuova space opera, che a partire dai tardi anni ’70 continua a proporre in rottura con la tradizione del filone storie più cupe e drammatiche, con un deciso aggiornamento tecnologico, una maggiore aderenza alle leggi della fisica e una convinta presa di distanze dai toni trionfalistici della colonizzazione spaziale promossa dai predecessori.
Il suo caso non resta isolato. Negli stessi anni Orson Scott Card dà forma al suo ciclo di Ender, pluripremiata epopea spaziale dai risvolti militareschi: Il gioco di Ender (Ender’s Game, 1985, trad. Gianluigi Zuddas, ultima ed.: Nord, 2005) e il successivo Il riscatto di Ender (Speaker for the Dead, 1986, trad. Gianluigi Zuddas, ultima ed.: Nord, 2005), entrambi vincitori sia del premio Hugo che del Nebula per il miglior romanzo dell’anno, segnano l’inizio di una saga di grande successo popolare, benché oggetto di critiche non sempre benevole, con John Kessel che si è scagliato contro la visione morale propugnata da Card e Norman Spinrad che ne ha invece aspramente condannato il merito letterario. Un ciclo ancora più vasto, capace inoltre di coniugare la popolarità e la critica, con innumerevoli premi vinti e tre titoli inclusi nella New York Times Bestseller List, è il ciclo dei Vor di Lois McMaster Bujold, una space opera incentrata sulla figura di Miles Vorkosigan, principiata nel 1986 con L’onore dei Vor (Shards of Honor, tradotto da Gianluigi Zuddas, ultima edizione: Nord, 2005) e tuttora in corso di svolgimento, anche qui con un forte radicamento delle trame nella strategia bellica, ma non solo. Se Card sembra aver subito un’involuzione ben poco compassionevole dopo l’11 settembre, va riconosciuto alla Bujold anche il merito di aver saputo mantenersi coerente nel tempo con una visione schiettamente disincantata e antimilitarista della guerra.
Nel 1989 Dan Simmons dà inizio ai canti di Hyperion, una tetralogia che si svilupperà in quattro romanzi (Hyperion, La caduta di Hyperion, Endymion, Il risveglio di Endymion, ristampati nel 2010 da Fanucci, nella traduzione di G.L. Staffilano), tracciando un affresco ambizioso del futuro dell’umanità, tra misteriosi demiurghi alieni e fondamentalismo religioso, citazioni letterarie (il poeta romantico John Keats, il padre della letteratura inglese Geoffrey Chaucer e il nostro Giovanni Boccaccio su tutti) e tracce di postumanismo.
Un autore che già si era messo in luce negli anni ’70 (il suo romanzo d’esordio Linea calda Ofiuco, 1977, è annoverato tra i precursori del cyberpunk) è il texano John Varley, che tra il 1979 e il 1984 porta a compimento la trilogia di Gea, sviluppata a partire dal premio Locus Titano (Titan, 1989, tradotto da Vittorio Curtoni, ultima ed.: Mondadori, Urania Collezione, 2011) e proseguita con Nel segno di Titano e Demon (Wizard, 1980, trad. Riccardo Valla, e Demon, 1984, trad. Roldano Romanelli), entrambi di prossima ristampa in Urania Collezione. Una spedizione umana impegnata nell’esplorazione del sistema di Saturno a bordo dell’astronave Ringmaster, sotto il comando del capitano Cirocco Jones, s’imbatte in Temi, un habitat spaziale artificiale grande come un piccolo pianeta: i membri dell’equipaggio dovranno combattere per sopravvivere su questo mondo ignoto e, contando sulla propria umanità, arrivare a comprendere l’enigma di Temi e di Gea, l’intelligenza aliena che sembra presiedere all’intero ecosistema. Con un sapiente tratteggio delle psicologie e un senso per l’avventura à la Jack Vance che non trascura la verosimiglianza scientifica, Varley confeziona un capolavoro di hard sci-fi spaziale, nel solco di Arthur C. Clarke e del suo seminale Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973).
Sulle stesse orme muove i passi la saga del Centro Galattico di Gregory Benford, composto da sei romanzi scritti nell’arco di vent’anni a partire dal capostipite Nell’oceano della notte (In the Ocean of Night, 1977, trad. Roberto Casalini e Piergiorgio Nicolazzini, Nord, 1986): anche qui una minaccia spaziale si trasforma in un’occasione da primo contatto con una civiltà aliena. Benford forma un trio di autori particolarmente caro agli appassionati della science fiction più scientificamente informata: anche per via di progetti che li hanno visti collaborare assieme (come il ciclo della Seconda Fondazione in omaggio all’originale creazione di Isaac Asimov), il suo nome viene spesso accostato a quelli di Greg Bear e David Brin. Quest’ultimo realizza il cosiddetto ciclo delle Cinque Galassie, formato da due trilogie consecutive di romanzi e da un certo numero di racconti scritti tra il 1980 e il 1998, basati sulle avventure di un’umanità futura in grado di “elevare” l’intelligenza degli animali (come delfini e scimmie) e servirsi delle loro facoltà accresciute nella conquista dello spazio, dove entra in contatto con una varietà di specie intelligenti: in una serie che si distingue per la sua sensibilità ai temi dell’ecologia, della religione e della diversità genetica, il secondo romanzo, Le maree di Kithrup (Startide Rising, 1983, trad. Roberta Rambelli, Nord, 1985), valse all’autore una tripletta da sogno, meritandogli i premi Hugo, Nebula e Locus. Brin si distingue anche nel genere post-apocalittico con il premio Locus L’uomo del giorno dopo (The Postman, 1985, trad. Annarita Guarnieri, Nord, 1995), storia di uno sbandato che per caso, attraverso la ricostituzione di un servizio postale, si scopre a ispirare la rinascita degli USA a seguito di una guerra devastante che ne ha causato la regressione a una terra di nessuno, contesa da bande armate ed eserciti privati. Di Bear, autore eclettico, ricordiamo La musica del sangue (Blood Music, 1985, trad. Gianluigi Zuddas, Nord, 1997), che espande il racconto vincitore nel 1983 dei premi Hugo e Nebula in un romanzo dal respiro planetario incentrato sulla trascendenza biotecnologica del genere umano, e /Slant (1997, trad. Gianluigi Zuddas, Nord, 1998), che miscela nanotecnologie, intelligenze artificiali e le trame di una vasta cospirazione; ma è soprattutto con la serie di Eon, tradotta da Gianluigi Zuddas per l’Editrice Nord e composta di Eon (1985), Sfida all’eternità (Eternity, 1988) e Contro evoluzione (Legacy, 1995), e con la novella “lunare” Zero Assoluto (Heads, 1990, trad. Nicola Fantini, Nord, 2001), che Bear si attesta come autore di punta del genere, sostenuto da una forte carica immaginifica e capace di fondare trame spesso complesse su una rigorosa estrapolazione scientifica e tecnologica.
Più legato alla superficie terrestre ma non estraneo a occasionali incursioni spaziali è il ciclo della Rivoluzione d’Autunno dello scozzese Ken MacLeod. I titoli sono Il Piano Clandestino (The Star Fraction, 1995, trad. Andrea Marti, Fanucci, 2005), The Stone Canal (1996, inedito in Italia) e La Divisione Cassini (The Cassini Division, 1998, trad. Elisa Villa, Fanucci, 2001), cui si aggiunge The Sky Road (1999, inedito in Italia), che ipotizza un diverso svolgimento del ciclo a partire da una conclusione alternativa del primo libro. Nei suoi romanzi MacLeod mette a confronto gli esiti di dottrine disparate come comunismo, anarchia, anarco-capitalismo e liberismo, in strutture di scala transnazionale o planetaria. L’attualità del pensiero scientifico riveste un ruolo altrettanto importante, con alcuni temi ricorrenti come la teoria della Singolarità Tecnologica, lo studio dell’evoluzione futura della specie umana e la resurrezione cibernetica postumana.
Nel 2000, con toni meno idealisti di Banks e dei colleghi americani, il gallese Alastair Reynolds propone la propria personale rivisitazione dei topoi della space opera. Lo fa con la Serie dello Spazio della Rivelazione, che si compone ad oggi di cinque romanzi, Rivelazione (Revelation Space, 2000, trad. Riccardo Valla, Mondadori, Urania, 2009), Chasm City (2001), Redemption Ark (2002), Absolution Gap (2003), The Prefect (2007) e di un certo numero di romanzi brevi e racconti intermedi, tra cui ricordiamo almeno Glaciale (Glacial, 2001, incluso in Scorciatoie nello spaziotempo, Urania Millemondi, 2005, trad. Roberto Marini), La guglia di sangue (Diamond Dogs, 2001, trad. Arnaldo Dabbene, in Nova SF* n. 73, Perseo, 2006) e I giorni di Turchese (Turquoise Days, 2002, trad. Arnaldo Dabbene, in Nova SF* n. 75, Perseo, 2006). Il suo debito nei confronti di illustri innovatori del genere (su tutti, La Matrice Spezzata di Sterling) è forte, ma quest’opera si segnala comunque per un certo tasso di originalità. Fazioni umane coesistono con sfuggenti civiltà aliene, una guerra fredda di proporzioni interstellari si consuma dietro le quinte e la minaccia di annichilamenti planetari e genocidi è mascherata dai normali traffici commerciali e silenziata dalle distanze siderali che separano gli avamposti umani. Spesso i ruoli di buoni e cattivi si scambiano da un romanzo all’altro. Malgrado l’avanzatissimo livello di progresso tecnologico raggiunto dalle sue società future, Reynolds tende a connotarle con la stessa ambiguità che contraddistingue le società umane attuali, insidiate dalla corruzione anche quando sembrano sorrette dal più nobile degli intenti.
Un viaggio nelle profondità del futuro umano, alle prese con una colonizzazione dello spazio che sarebbe eufemistico definire problematica, tra virus informatici, intelligenze artificiali parassitarie, misteri alieni, personaggi che non sono chi credono di essere e minacce pronte a erompere dal profondo, che sia dello spazio siderale o della mente umana ha poca importanza. La conferma definitiva alle visioni di H.P. Lovecraft di un caos strisciante in agguato nelle profondità del cosmo.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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