Dossier FS 19 – La Mappa del Futuro 6

6. Prospettiva degli anni Zero
(autore: Giovanni De Matteo)

Addentriamoci nel nuovo millennio con una serie di narrazioni alquanto singolari, a partire da tre romanzi brevi che ritraggono peculiari distorsioni della nostra realtà.
In Un anno nella Città Lineare (A Year in the Linear City, 2002, trad. Roberto Chiavini, Delos Books, 2008) Paul Di Filippo concepisce una città confinata ai bordi di un’unica strada. Da una parte corrono i Binari della ferrovia, dall’altra le acque del Fiume. E oltre questi confini il Lato Sbagliato dei Binari e l’Altra Sponda, rifugio di creature assurde prese in prestito da una bizzarra mitologia dell’oltretomba.

Strada Maestra si estende per decine di milioni di isolati e nessuno sa davvero se abbia un inizio o una fine. Sotto le evoluzioni celesti del Sole Giornaliero e del Sole Stagionale che incrociano le loro traiettorie nei cieli della città, si snoda un anno nella vita di Diego Patchen, scrittore di Narrativa Cosmogonica, e dei suoi eccentrici amici. Un paesaggio altrettanto bizzarro appare in Universo distorto di Charles Stross (Missile Gap, 2007, trad. Roberto Chiavini, Delos Books, 2007), che parte da un assunto che definire assurdo sarebbe riduttivo (basti sapere che la Terra di Stross è piatta) e scava tra le premesse alla ricerca dell’origine razionale di questo mondo. Proprio come nell’opera di Di Filippo, nell’atmosfera onirica e stralunata che regna su queste pagine s’innestano molteplici sottotesti, dalle potenzialità mitopoietiche della letteratura alle connessioni della fantascienza con l’immaginario popolare, fino alla ricostruzione d’ambiente capace di gettare una nuova, sinistra luce sui mitici anni ‘70 (e non solo quelli, a dire la verità). L’elemento di maggior pregio di questi romanzi brevi è forse proprio la loro carica immaginifica, capace di sovvertire le convenzioni e regalarci visioni spiazzanti coniugando il surreale all’orrore, senza paura di innestare la marcia quando si tratta di virare il sogno nell’incubo.
Solo in apparenza meno bizzarro dei precedenti è Le stelle senzienti di Lucius Shepard (Stars Seen Through Stone, 2007, trad. Roberto Chiavini, Delos Books, 2009), che ci conduce nella provincia deindustrializzata della Pennsylvania occidentale, terra di miniere e acciaierie dove l’impatto ambientale di decenni di attività antropica e di iniziativa industriale spregiudicata si avverte ancora nei boschi e nei fiumi, in cui sembrano annidarsi creature misteriose e terribili. Black William ha preso il nome da un suo illustre cittadino dell’Ottocento, che seminò nei dintorni violenza e terrore spadroneggiando come un duca feudale senza incontrare ostacoli. E un filo sottile si riallaccia a quel passato, prospettando un “aldilà” da cui sembrano escluse la compassione e la redenzione, quando una serie di inspiegabili fenomeni meritano alla località la controversa fama di “Capitale Cerebrale della Pennsylvania”.
Un passaggio in India con Ian McDonald, autore del racconto La moglie del djinn (Djinn’s Wife, 2007, trad. Francesco Lato, in Robot n. 53, 2008) e della novella Il circo dei gatti di Vishnu (Vishnu at the Cat Circus, 2009, trad. Bruno Andrea, Delos Books, 2011), due tasselli dell’antologia Cyberabad Days (2009) che conserva stretti legami con River of Gods, romanzo del 2003 vincitore del BSFA Award. La moglie del djinn ha vinto il premio Hugo per il miglior racconto nel 2007. È una storia d’amore vissuta sul fronte della Singolarità, che trasfigura su uno sfondo vivido e accattivante conflitti culturali purtroppo sempre attuali, denunciando l’ottusità dei governanti che non esitano a trasformarsi in terroristi e regalandoci un’immagine dal fortissimo impatto emotivo, nell’accostamento delle IA della nuova era alle divinità della tradizione hindu, schierate in assetto di guerra nel cielo di Delhi. L’India di McDonald è frammentata, diremmo balcanizzata, e le avvisaglie di una Guerra dell’Acqua minacciano di incrinare i rapporti tra lo stato di Bharat (ciò che resta dell’antica Unione Indiana) e Awadh, che si affaccia sulle rive settentrionali del sacro fiume Gange. Malinconico e caleidoscopico, Il circo dei gatti di Vishnu riserva al lettore lo stupore di una fantastica storia orale riportata direttamente dalla voce del suo protagonista. E McDonald infarcisce il racconto di Vish di soluzioni immaginifiche che si legano magnificamente al consueto piglio postmoderno della sua narrativa, esaltandone la tecnica funambolica al pari delle coreografie in cui il narratore coinvolge il suo circo di gatti, alle prese con esercizi sempre più complessi e straordinari, nei siparietti che intervallano il flusso della narrazione. Una lettura divertente e a tratti esaltante, in grado di condensare in una manciata di pagine gli orizzonti della fantascienza contemporanea.
La digitalizzazione della coscienza come prossimo stadio evolutivo dell’umanità è prospettata, con rischi annessi, in Furto d’identità di Robert J. Sawyer (Identity Theft, 2005, trad. Elisabetta Vernier, Delos Books, 2006), ancora un’indagine fantascientifica, ma questa volta calata nell’atmosfera western di un avamposto di frontiera tra le desolate lande marziane.
Un salto nello spazio e nel tempo ci porta a imbatterci in un’umanità futura che grazie alla tecnologia aliena può sfruttare i requisiti delle coscienze digitalizzate per proiettarle attraverso gli abissi interstellari. E come insegna Nietzsche, all’umanità che a lungo ha scrutato nell’abisso, l’abisso ha contraccambiato lo sguardo, e Richard K. Morgan fa proprio l’insegnamento nella stupefacente serie di Takeshi Kovacs, tradotta da Vittorio Curtoni e composta da Bay City (Altered Carbon, 2002, Nord, 2003; riedito da TEA Due nel 2006), Angeli spezzati (Broken Angels, 2004, Nord, 2005), Il ritorno delle furie (Woken Furies, 2005, Nord, 2008). Echeggiando Philip Marlowe e i disillusi detective della Continental Op di Dashiell Hammett, Kovacs è un reduce di guerra che ha alle spalle tante vite quanti pianeti visitati, ridotto ormai, come la stragrande maggioranza dei suoi simili, a un costrutto di dati contenente lo schema digitalizzato della sua coscienza, immagazzinato in un dispositivo elettronico – la pila – inserito in un corpo a noleggio. Ma non ha affatto dimenticato i torti e le colpe delle sue precedenti incarnazioni. Il cupo senso di disillusione che lo circonda e la personalissima etica che ne muove le azioni lo rendono un personaggio unico, difficile da dimenticare. Politica, guerra e fondamentalismi vari, dal fanatismo terrorista islamico all’integralismo (anti)bioetico cattolico, si susseguono in una girandola di eventi a bassissimo tasso di sopravvivenza, commentati dalla lingua sferzante di Kovacs. Il celebrato Bay City vince meritatamente il Philip K. Dick Award e si merita due seguiti entrambi all’altezza: la parentesi di Angeli spezzati, ambientato in uno scenario di guerra con infiltrazioni di orrore cosmico di stampo lovecraftiano, e Il ritorno delle furie, un ritorno alle origini del personaggio (uno sguardo più approfondito si può trovare nello speciale “Il ritorno delle furie di Richard K. Morgan” su Delos SF n. 109: http://www.fantascienza.com/magazine/speciali/il_ritorno_delle_furie_di_richard_k_morgan/ ).
Per certi versi simile è la trilogia che il veterano M. John Harrison, già attivo nell’ambito della New Wave, ha cominciato a comporre partendo da Luce dell’Universo (Light, 2002, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, Urania Speciale, 2006): una Spiaggia cosmica disseminata di resti di antiche civiltà aliene, il relitto di un’astronave, uno scheletro umano. E tre storie che si dipanano tra il nostro presente e il 2400, tra Londra, lo spazio profondo e le colonie remote dell’umanità, orchestrate da una misteriosa creatura metafisica. Ma cos’è lo Shrander che tormenta i protagonisti? Incubo sopravvissuto alle loro tribolate infanzie o creatura aliena sopravvissuta alla sua specie? E quali sono i suoi oscuri propositi? Mistero, azione e avventura spaziale sono gli ingredienti che Harrison mescola in questo cocktail esplosivo, un turbine caleidoscopico che strizza l’occhio a modelli letterari del calibro di William S. Burroughs e Thomas Pynchon, omaggiati implicitamente nella frammentarietà dell’azione e nel registro espressivo modulato tra realismo scientifico e toni del vaudeville. Nel 2006 l’universo del Fascio Kefahuchi si arricchisce di un nuovo titolo: Nova Swing (trad. Flora Staglianò, Urania, 2010), che vive nel gioco dei rimandi e delle sensazioni ed esalta le qualità stilistiche del suo autore nella definizione di un’atmosfera struggente. Ma come ricorda lo slogan di un’impresa commerciale che presta anche il titolo al libro (”Mira al futuro”), la nostalgia di Harrison non è diretta verso qualcosa di già smarrito, ma verso qualcosa che potremmo perdere, nel corso della nostra ascesa alle stelle. Ogni impresa, dopotutto, resta esposta al rischio della sconfitta. E quanto maggiore è la sua portata, tanto maggiore risulta il sacrificio richiesto. L’efficacia del mondo di Harrison nasce anche dall’aver dato voce ai reietti del futuro, ricordandoci che sull’orizzonte del domani non si affollano solo mirabili prodigi e benefiche conquiste. Un terzo volume, Pearlant, è annunciato per il 2012.
Di Bruce Sterling dobbiamo annoverare Il chiosco (Kiosk, 2007, trad. Jasmina Tesanovic e Salvatore Proietti, Delos Books, 2008), un piccolo gioiello in cui viene proposta la rivoluzione economica del XXI secolo, con epicentro nel disastrato territorio balcanico. La Serbia è un paese sul margine del caos, conteso tra la frontiera dell’innovazione e gli spettri di un passato non ancora pacificato. La nanotecnologia esalta il senso del futuro di un rigattiere di Belgrado, ma catalizza le attenzioni di organizzazioni criminali e bande politiche pronte a tutto.
Prosegue nella prima decade del nuovo millennio il processo di graduale spostamento sul presente della narrativa di William Gibson, catalizzato anche dalla tragedia dell’11 settembre 2001. Ne L’accademia dei sogni (Pattern Recognition, 2003, trad. Daniele Brolli, Mondadori, 2005) potremmo localizzare il mondo di Cayce Pollard cinque minuti nel nostro futuro. Ma anche così Gibson riesce a mettere a segno non pochi colpi da maestro, inclusa la prefigurazione di YouTube e un’indagine quasi antropologica delle strategie di comportamento degli utenti nelle nuove sottoculture proliferate ai tempi del web. La trilogia della Blue Ant, che coinvolge l’omonima rampante e imperscrutabile compagnia di marketing intenta a cogliere le potenzialità più promettenti legate alla moda, prosegue con Guerreros (Spook Country, 2007, trad. Daniele Brolli, Mondadori, 2009), quasi una spy story che si muove tra arte locativa, realtà aumentata e Santería cubana, con un’esplicita condanna della guerra al terrore condotta dalle amministrazioni americane nell’era Bush Jr; e si conclude con Zero History (2010), che in Italia stiamo ancora aspettando.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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