Dossier sul cosiddetto “passante di mezzo” di Bologna

di Vito Totire

 

«E’ la pagliuzza sulla schiena già troppo carica che spezza la schiena del cammello»: così un antico proverbio arabo citato da Aldo Sacchetti, autore di «L’uomo antibiologico».

Preso atto del progetto di ampliamento/allargamento della tangenziale di Bologna, a nome di due associazioni – una locale e l’altra nazionale (*) – avanziamo le seguenti osservazioni al progetto.

PREMESSA

Insistono sul territorio della città di Bologna diverse fonti di rischio: sottovalutate (inceneritore di rifiuti solidi urbani) o riconosciute (traffico veicolare) ma non gestite o infine totalmente rimosse dalla agenda programmatica istituzionale (l’aeroporto); detto per inciso quest’ultima fonte non è stata mai indagata, in maniera organica dal punto di vista del rumore, ancor meno per il contributo all’inquinamento dell’aria e per le ricadute al suolo degli inquinanti come invece risulta essere stato fatto per altri aeroporti (vedi Malpensa).

La presenza di queste fonti fa supporre che la popolazione civile abbia già subìto una riduzione della propria speranza di salute e di vita a causa della esposizione ai rischi citati. Né si può procrastinare ulteriormente – anche discutendo solo del “passante” – la valutazione dei singoli contributi all’inquinamento e delle sinergie fra questi sia quando si tratti della stessa tipologia di inquinante (a esempio NOx) sia quando si tratti di inquinanti (per esempio i cancerogeni) che hanno frequentemente effetti sinergici moltiplicativi l’uno con l’altro.

Sorprende dunque l’essere chiamati a discutere di un progetto “nuovo” in una fase in cui i cittadini avrebbero preferito la adozione di un piano di bonifica ambientale a cominciare eventualmente proprio dal comparto trasporti che già – da solo e così come è oggi – risulta fonte di vessazioni e danni per la salute umana e animale. Torniamo ancora sulla “questione aeroporto” che ha costretto gruppi di cittadini a investire risorse economiche per l’acquisto di spazi sulla stampa locale al fine di richiamare l’attenzione di tutta la collettività; un passo necessario anche a causa dell’atteggiamento di “belle indifference” che le istituzioni sanitarie pubbliche hanno avuto su questo problema. Non sorprendente né dissimile da quello che le stesse istituzioni hanno assunto sul problema dell’amianto nell’acqua “potabile”.

Osservazioni sul possibile impatto ambientale del “passante di mezzo”

Le previsioni circa la relazione tra realizzazione del “passante” e il traffico da questo indotto (dal punto di vista quantitativo e qualitativo) non sono facili; le stime diffuse (dati MISE) circa la riduzione dei prodotti petroliferi del 30% fra il 2005 e il 2015, essendo stato questo periodo contrassegnato da una crisi della base produttiva, non autorizzano a fare previsioni per il futuro. Ciò aumenta i margini di incertezza della discussione. C’è chi asserisce che l’ampliamento della tangenziale fluidificherà il traffico (e su questo fonda la sua ottimistica previsione di calo dell’inquinamento); c’è chi prevede invece che l’allargamento avrà l’effetto “calamita”. La nostra opinione è che “facilitare” il traffico veicolare contribuisca a incrementarlo: migliaia di automobili in surplace su una tangenziale intasata inquinano di più dello stesso numero di auto che scorrano rapidamente (magari a velocità non eccessive) ma l’esperienza personale della tangenziale spesso intasata può indurre facilmente all’uso di mezzi alternativi (dinamica del tipo “la prossima volta vado in treno”); il “vantaggio” derivante dall’evitare gli intasamenti può essere reso effettivo solo nel caso che rimanga fisso il numero di veicoli circolanti o che cambi sensibilmente la componente rappresentata da quelli elettrici o comunque meno inquinanti con tutte le incognite che questa definizione comporta come abbiamo visto col passaggio dal piombo al benzene o all’MTBE.

Oggi spesso soggetti anche istituzionali, allergici alle critiche sull’inquinamento causato dall’aeroporto, ripropongono il ragionamento della incompatibilità dell’uso residenziale del territorio circostante piuttosto che viceversa la incompatibilità dell’aeroporto con il territorio. Il ragionamento è: l’aeroporto è preesistente a molte abitazioni. Vero, tuttavia molte abitazioni sono state costruite quando i volumi del traffico aeroportuale erano molto bassi rispetto agli attuali. Solo ove si accettasse la ipotesi di prefissare un numero massimo di transiti il ragionamento fluidificazione-calo dell’inquinamento potrebbe avere senso. Certo non “senso” in generale (rimarrebbe il problema del consumo di suolo) ma rispetto alla previsione dell’inquinamento dell’aria.

Parliamo per ipotesi visto che quando una arteria stradale viene aperta ogni sovraccarico pare lecito esattamente come è avvenuto per Bologna con l’aeroporto. Non a caso in città alcune parti sociali, ma purtroppo anche le stesse istituzioni pubbliche, magnificano senza sosta ogni piccolo e ulteriore incremento del traffico passeggeri come foriero di benessere e di felicità per tutti… Anzi si è arrivati ad asserire che le rimostranze contro l’inquinamento aeroportuale siano «critiche strumentali».

Non può sorprendere dunque se nella comunità locale si è sviluppato un senso di sfiducia, allarme e soprattutto diffidenza verso le politiche di tutela ambientale che, per come gestite dalle istituzioni, paiono obiettivamente lacunose.

Una valutazione sarebbe più facile se potessimo prevedere e conoscere i volumi futuri di traffico, la ripartizione delle varie componenti (tipo di mezzi, di alimentazione, di merci trasportate ecc.). Ciò non solo è impossibile ma in un sistema in cui la movimentazione coatta, irragionevole, dispendiosa di merci e di persone non viene messa in discussione, aprire un varco comporta il rischio che sia destinato ad allargarsi.

Una volta che “la strada è spianata” ciò facilita e incentiva il traffico veicolare, lo rende – benché solo apparentemente – più competitivo rispetto a quello su rotaia.

DANNI AL TERRITORIO

In primo luogo l’ulteriore consumo di terreni agricoli.

Il “passante di mezzo” comporta un danno che risulta inferiore a quello connesso al progetto “Passante nord” eppure è concreto sia per il territorio di Bologna che per quello di San Lazzaro di Savena. Dunque è una scelta in netto contrasto con le esigenze di non consumare ulteriormente e anzi di rinaturalizzare aree anche con riconversioni delle destinazioni d’uso da edilizio/produttivo ad agricolo. Peraltro ogni incremento di inquinamento da traffico veicolare peggiora la qualità dei terreni e delle colture tanto da rendere già molto problematica la situazione attuale in cui esistono fondati dubbi sulla compatibilità delle destinazioni d’uso per la produzione di prodotti alimentari di aree agricole esposte ai gas di scarico. Non c’è stata, a tutt’oggi, una adeguata campagna di monitoraggio sulla ricaduta dell’inquinamento veicolare sui prodotti destinati alla alimentazione umana e su quella (non meno importante) animale. Questa campagna di monitoraggio deve essere fatta prima di mettere mano eventualmente all’attuale status quo, anche al fine di poter fare confronti con la evoluzione futura.

DANNI ALLE RISORSE IDRICHE

Gli inquinanti emessi dai veicoli cadono in parte al suolo e con le precipitazioni meteoriche vengono trascinati in profondità fino a inquinare le falde idriche. Risulta che l’inquinamento prodotto dal traffico veicolare potrebbe interferire con alcune aree di ricarica delle falde afferenti alle captazioni della centrale San Vitale di Calderara di Reno e, in senso più lato, a vaste aree del fiume Reno da cui la città di Bologna non attinge risorse idriche… mentre lo fa la città di Ravenna. L’impatto sulle risorse idriche destinate a uso idropotabile (MTBE? benzene? sottoprodotti della combustione?) non è mai stato studiato in un territorio in cui il sistema di vigilanza pubblico ha già mostrato perniciose defaillances nello studio di inquinanti più noti quali l‘amianto e gli organoalogenati. Ovviamente occorrerà monitorare meglio anche l’impatto oltre che sull’acqua destinata a usi idropotabili anche su quella destinata alla irrigazione agricola.

 

FATTORI DI RISCHIO AEROVEICOLATI DA TRAFFICO

Rumore

Nonostante la pesante vicenda dell’aeroporto di Bologna, il rumore è il fattore di rischio più “facile” da controllare anche se ciò è possibile con forti oneri e forte impatto paesaggistico ed estetico. Il calcolo costi/benefici degli investimenti di mitigazione non è particolarmente difficile in quanto il rumore è una noxa patogena terribile con i suoi gravissimi effetti ampiamente documentati dalla letteratura medica ed epidemiologica (uditivi, cardiovascolari, neuroendocrini, psicologici e psicopatologici reattivi, relazionali, cognitivi ecc.). In teoria, se il sottosuolo lo consentisse – ma sappiamo che si tratterebbe di un progetto devastante per falde acquifere, reperti archeologici, ostacoli e rischi geologici – si potrebbe pensare a un interramento totale dell’attraversamento. Essendo quella appena enunciata una ipotesi irrealistica, il problema del rumore rimane, fra tutti, quello “meno difficile” da mitigare essendo disponibili mezzi tecnici per interventi di fono-assorbimento sia lungo le aree laterali dell’attraversamento (pannelli) che lungo il suolo (asfalti fonoassorbenti).

Una forte complicazione nel contesto urbano bolognese è conciliare ogni nuova fonte di rumore con un quadro relativo a una zonizzazione acustica che non pare attualmente garantire gli standards previsti per legge. Il problema deve essere assolutamente approfondito per giungere agli standards delle aree residenziali con i punti di ulteriore tutela (ospedali e scuole). Risultano già rilievi negativi – sottolineati dalla Ausl – sulla scuola Rosa Luxemburg.

Il problema non è contrattare (fra enti locali, popolazione e Società Autostrade) affinché i cittadini ottengano qualche barriera o piccole opere di mitigazione in più. Barriere e interventi di mitigazione sono preferibili rispetto a una situazione di totale deregulation ma il problema è capire se si riesca prima a progettare e poi a realizzare una condizione di effettivo benessere acustico con particolare riferimento alle aree più sensibili della popolazione, stante che la legislazione italiana è più permissiva di quella di altri Paesi europei. Bisogna ammettere che Paesi con minore densità abitativa possano avere minori problemi di gestione; ciò non toglie che, al di là delle considerazioni di realpolitik, il rumore è nocivo per gli italiani o per i finlandesi alla stessa maniera.

Su questo tema, ma anche su tutto il resto, pare che la discussione fra l’ente locale e la Società Autostrade sia partita male nel senso che c’è una sorta di “trattativa” parasindacale benché il sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale, abbia ben altri strumenti che “trattare”, a esempio la prescrizione e la disposizione, finalizzate al rispetto degli standards ambientali di salubrità.

GAS DI SCARICO E PARTICOLATO EMESSI DALLE MARMITTE

Le osservazioni relative al nesso tra gas di scarico e danni alla salute sono note da tempo e sono supportate da studi epidemiologici come da documenti e linee-guida istituzionali. Quello su cui però i cittadini riescono a essere informati è spesso solo una parte della realtà, considerato che le logiche di mercato fanno dell’inquinamento una questione non accompagnata dalla necessaria trasparenza (vedi vicenda dieselgate). Con il passare del tempo le conoscenze si sono evolute secondo una sequenza che ha via via pesato meglio la entità del danno potenziale o effettivo causato alla salute. Alcuni inquinanti sono stati meglio studiati fino a essere classificati cancerogeni per l’uomo o anche cancerogeni occupazionali accertati: è il caso dei fumi diesel che sono classificati, dal decreto del 2014 sulle malattie professionali, come cancerogeni per il polmone in classe 1 (certezza). Detto per inciso il tribunale di Bologna (in appello) ha condannato l’Inail a riconoscere un tumore polmonare insorto ai danni di un taxista. Occorrerebbe fare un quadro più esaustivo delle malattie denunciate e /o riconosciute riguardanti i lavoratori “on the road” quali tassisti, vigili, portalettere; fra gli stessi edicolanti è emersa una incidenza significativa di leucemie certamente correlabili con la collocazione di molte edicole vicino al traffico veicolare.

Per quanto riguarda il benzene: acquisita la sua potenzialità cancerogena per il polmone e leucemogena, occorre tenere in considerazione la particolare vulnerabilità dei bambini e dei feti, dunque tenere conto della esposizione delle gestanti. Secondo Crosignani ed altri – cfr bibliografia in coda – a ogni incremento di 10 mcg. corrisponde un rischio di triplicazione dei casi di leucemia infantile. Per la precisione, da uno studio condotto a Varese è emerso: OR 1.85 (CI 0.92-3.75) per una esposizione a benzene compresa tra 0.1-10 mcg./m3; OR 6.35 (CI 1.37-29.449 per livelli di esposizione > a 10 mcg.

Ora i mezzi usati per la mitigazione acustica e paesaggistica nulla possono contro la diffusione di una sostanza volatile e i dati disponibili sull’inquinamento sono tutt’altro che rassicuranti. La Società autostrade ne cita alcuni riguardanti l’area di via della Birra. Ma sono dati più bassi di quelli monitorati ad esempio dall’Istituto di Chimica Organica “A. Mangini” dell’niversità di Bologna che registrarono nel maggio 2004 medie fino a 15 mcg. di benzene e 260 microgrammi di toluene.

Se questi sono i dati che possono fotografare, sia pure parzialmente, la situazione nel maggio del 2004 , la “società civile” rivendicava a gran voce la programmazione ed esecuzione di monitoraggi attendibili, già dieci anni prima. Vedi “carteggio” fra Totire e Faggioli (sul quotidiano «La Repubblica» del 1994) redatto a dieci anni di distanza dal referendum cittadino bolognese sul traffico veicolare il cui sito aveva evidenziato una forte domanda di interventi di prevenzione e bonifica.

Gli inquinanti vanno dunque monitorati tutti e non solo quelli eventualmente pericolosi ma meno aggressivi per la salute umana.

Anche perché risulta impossibile realizzare aree dedicate al relax a e al gioco, difese dal punto di vista dell’impatto visivo e acustico ma non protette dal rischio benzene. Se poi in una delle aree “ protette” a questa maniera si pensa di collocare rom e sinti, niente di “nuovo” (come si ipotizza per l’area “Selva di Pescarola”): purtroppo non ci si discosta da quella che Vianello definì «l’urbanistica del disprezzo» magari, questa volta, inconsapevolmente. Certo la volatilità degli inquinanti è differente da caso a caso fino all’estremo dell’ozono che spesso è reperibile in più forti concentrazioni ben lontano dal luogo dove è stato prodotto (dall’irraggiamento solare degli ossidi da azoto che sono i suoi principali precursori): quindi prodotto in un sito e trasportato anche a lunga distanza in località che parrebbero non inquinate… L’uso delle piante suggerite dal Comune di Bologna e citate nell’allegato 3 del «Regolamento comunale verde pubblico e privato», pur supportato dalle indicazioni preziose CNR IBIMET, rappresenta un palliativo di secondaria importanza se non abbinato a un energico intervento di prevenzione primaria alla fonte compresa la misura più drastica della eliminazione totale dell’inquinante.

Né si può omettere di valutare la diffusione della formaldeide, inquinante “trascurato” e poco monitorato ma oggi riconosciuto come potenziale cancerogeno sia per l’apparato respiratorio sia come leucemogeno.

Poi è ben noto che gli scarichi dei mezzi di locomozione emettono ulteriori inquinanti non cancerogeni ma nocivi, tossici, allergizzanti; emettono inquinanti che a loro volta agiscono da precursori di altri inquinanti che si formano ex-novo (vedi l’ozono). Particolare attenzione va riservata agli inquinanti ad azione cardiotossica se, come vedremo, la speranza di salute a questo riguardo pare già compromessa.

A fronte di questo quadro, pur sintetico, pare evidente che gli inquinanti sono molto meno abbordabili rispetto al rumore e che essi – considerata l’inesistenza di una soglia di sicurezza per la azione dei cancerogeni – possano essere controllati alla fonte sono in un modo- Diciamolo in termini provocatori ma non tanto: che all’entrata in tangenziale ogni automobilista scenda, innesti un bocchettone connesso a un tubo lungo quanto il percorso che deve fare (13 kilometri) e vada a destinazione… in tempi di diesel-gate le precauzioni non sono mai troppe.

Per altro i livelli di esposizione che comportano rischi sono tanto più bassi quanto più prendiamo in considerazione la vulnerabilità delle singole persone: anziani, bambini, immunodepressi… Non è casuale che le evidenze sul nesso tra benzene e leucemie sono maggiori per i bambini che per gli adulti, per quanto osservando criticamente le indagini epidemiologiche effettuate emergono nessi evidenti anche per gli adulti, sia pure con maggiore latenza.

Prodotti dispersi da materiali da attrito

Diversi osservatori hanno sottolineato un problema che esula dai gas di scarico: quello dei materiali da attrito. Se con una certa frequenza viene richiamata la attenzione sui pneumatici (composizione molto complessa che include numerosi materiali non innocui o addirittura comportanti rischio cancerogeno) è ormai tempo di monitorare anche i materiali sostitutivi dell’amianto nei sistemi frenanti quali il kevlar, fibra sintetica aramidica che ha sostituito – ormai quasi del tutto – l’asbesto ma che, pur ritenuta a ragione meno aggressiva dell’amianto, non pare affatto essere innocua (approfondiremo in seguito l’argomento con la relativa proposta di monitoraggio).

Rischi infortuni e incendi

Questi rischi sono limitati o meglio lo sarebbero se non fossimo in un sistema di movimentazione coatta di merci e persone. Il trasporto di carichi “problematici” comporta di per sé un rischio tanto più aumentato tanto più il tragitto è lungo. E’ nota la drammatica vicenda della strage ferroviaria a Viareggio. A Bologna sulla tangenziale non si sono mai verificati eventi analoghi ma le situazioni di rischio sono frequenti a causa della mancanza di programmazione e pianificazione territoriale: qualche anno fa andò a fuoco all’altezza di Altedo (comune di Malalbergo) un tir in viaggio verso il Veneto carico di rifiuti provenienti dall’Ilva di Taranto! Peggiore il traffico di rifiuti amiantiferi connotato da viaggi verso Austria e Germania. Diverso sarebbe se si riuscisse a razionalizzare i bacini di utenza degli impianti di smaltimento: ciò ridurrebbe sensibilmente il rischio/trasporto anche se il tema della movimentazione coatta e non ergonomica riguarda tutte le merci e non solo i rifiuti. Rimane, è ovvio, una notevole differenza di impatto: dallo sversamento di merci non pericolose (con le sole e momentanee conseguenze negative in termini di blocco del traffico) all’inquinamento di falda da merci pericolose, all’incendio in caso di merci infiammabili.

Impatto paesaggistico

Si è già detto dell’impatto paesaggistico. Le patetiche sagome di rondini attaccate sulle barriere antirumore non mitigano l’impatto, servono solo a distrarre il conducente e a porgli il dubbio della opportunità di una visita oculistica (mosche volanti o rondini disegnate?). Le barriere (quando la variazione paesaggistica si limita a questo) deturpano il paesaggio; impediscono la visione di borghi, case, fienili, pievi e chiesette; tuttavia paiono un male necessario per attenuare l’inquinamento acustico nulla potendo ovviamente contro quello atmosferico.

Impatto cantieri

Tutt’altro che esaustive paiono le informazioni sugli ipotetici futuri cantieri; i progetti di Società Autostrade paiono fare affidamento su una discarica e su una cava non accessibili. Dunque tutto da disegnare lo scenario che riguarda collocamento dei rifiuti e approvvigionamento dei materiali dei quali, al momento, nulla è dato di sapere circa la presenza di componenti particolarmente problematiche per la salute umana (silice libera cristallina, ofioliti contenenti amianto ecc).

Circa la gestione dei cantieri, se e quando dovessero partire, dovrà essere garantita una adeguata vigilanza degli organi ispettivi dei quali occorrerà programmare e finanziare il potenziamento.

PROPOSTE “OPERATIVE”

Più che critiche al “passante di mezzo” vogliamo fare proposte di miglioramento, anche a prescindere.

Valutazione dell’inquinamento ambientale attuale

Questo deve essere effettuato dalla struttura sanitaria pubblica previo confronto con i rappresentanti dei comitati cittadini e deve essere allargato a una gamma di inquinanti più esaustiva di quella abitualmente utilizzata (includendo dunque benzene, formaldeide, metalli pesanti, mbte ecc) nonché per un lasso di tempo significativo tale da includere le variazioni stagionali e meteoclimatiche che ovviamente incidono in maniera significativa sui livelli di inquinamento.

Valutazione dell’attuale situazione epidemiologica

Il primo problema è disegnare la condizione di salute attuale della popolazione; i dati citati di recente (fonte Osservatorio epidemiologico) depongono per:

eccesso di tumori nei quartieri Lame, San Donato e San Vitale;

eccesso di cardiopatie nei quartieri Bolognina, Borgo Panigale e S. Viola.

Entrambe queste patologie sono di interesse per il monitoraggio dell’impatto sanitario del traffico veicolare. Per le cardiopatie sono importanti il CO e le nanoparticelle contenute nell’aria che, causa le loro dimensioni, riescono a giungere e a superare la barriera alveolo-capillare.

Dunque è possibile anzi del tutto probabile che, approfondendo la fotografia, occorra concludere per la necessità di ridurre il traffico sulla tangenziale piuttosto che incrementarlo.

Non era un “delirio” – nel senso che la psichiatria classica dà a questo termine – casomai una provocazione, l’ipotesi/progetto lanciata da un “ecologista fondamentalista” nel corso di un dibattito della Università Verde a Bologna (anni 1985-1990) di pedonalizzare la tangenziale!

Ovviamente sono necessari approfondimenti che a partire dai dati epidemiologici molto grezzi disponibili :

a) consentano di valutare tutti i fattori di confondimento (abitudini di vita, età, rischi occupazionali);

b) consentano di allargare l’osservazione dalle cause di morte ai dati di morbilità se non generali quantomeno a quelli specifici collegabili all’inquinamento da traffico veicolare secondo i riscontri anche più recenti, vedi le osservazioni sulla aumentata incidenza del morbo di Alzheimer;

c) in particolare – magari dandoci come punto di riferimento metodologico generale , lo studio di Giuseppe Costa sulla mortalità/morbilità per quartieri a Torino (lungo il percorso dell’autobus 13) – potremmo studiare oltre che incidenza/prevalenza di tumori anche la distribuzione territoriale delle varianti istologiche degli stessi (confronta Barbone e altri, Trieste) sia, per metterci in sintonia con gli studi pubblicati da Lancet, potremmo georeferenziare i casi di malattia di Alzheimer valutando anche in questo caso tutti i fattori di confondimento. Peraltro la regione Emilia-Romagna risulta la sesta in Italia per incidenza della malattia di Alzheimer con un tasso di 51.3% contro un tasso nazionale del 42.8. Motivo in più per tener conto di eventuali sinergie tra fattori di rischio agenti sullo stesso organo-bersaglio. L’università di Lancaster ha monitorato anche la concentrazione di nanoparticelle di ferro nel tessuto cerebrale individuando una correlazione fra questo fenomeno, la vicinanza a strade ad alta densità e patologie cerebrali. A proposito della mappa territoriale delle patologie sarebbe molto utile – parlando di altro argomento (e altri inquinanti) – georeferenziare anche i casi di LNH e tante altre malattie (come si fa per certi versi per i mesoteliomi) al fine di correlarle con i consumi territoriali degli agenti eziologici “sospetti” o classificati esplicitamente dalla Iarc cioè l’International Agency for Research on Cancer. Anche da questi studi, come dai dati fisico-ambientali, potremmo dedurre conferme alla necessità di ridurre il traffico veicolare e ridurlo tanto più nella aree già compromesse dal punto di vista dell’impatto sanitario.

Peraltro se pure gli eccessi di cui sopra fossero concausati da fattori “altri” rispetto al traffico veicolare, ci sarebbe motivo per optare sulla riduzione comunque del carico impattante.

LO STUDIO PRELIMINARE DELL’IMPATTO SANITARIO GIA’ CONSUMATOSI RICHIEDE DIVERSI ANNI DI LAVORO SERRATO.

Poi, esaurita questa fase di studio si potrebbe continuare l’osservazione nei decenni successivi (non per un solo decennio, come pare auspicare una mozione del Consiglio comunale). Infatti l’osservazione di un eventuale effetto oncogeno è attendibile a partire da venti anni dalla introduzione di eventuali variazioni del contesto ambientale. I primi dieci anni, indicati erroneamente come esaustivi, dovranno essere monitorati ugualmente ma con particolare riferimento alle patologie tra inquinamento ambientale che hanno breve latenza come, a esempio, quelle citate da Gianni Moriani riguardanti la popolazione scolastica infantile di Venezia terra ferma/Mestre in un importante studio dell’Istituto di Medicina del lavoro di Padova che confrontò la incidenza di patologie delle vie respiratorie nei bambini della scuola dell’obbligo, in relazione all’inquinamento dell’aria , ovviamente, influenzato dalla vicinanza/lontananza delle fonti. Al discorso generale sulle latenze fanno eccezione i tumori infantili, le malformazioni, il peso alla nascita, eventi drammatici che non vorremo mai constatare e per la cui prevenzione occorre un energico intervento di riduzione degli inquinanti alla fonte.

CIRCA LA GESTIONE DEI MONITORAGGI

La legge di riforma sanitaria del 1978 attribuisce alla Usl il compito di disegnare la mappa dei rischi in fabbrica (allora c’erano le fabbriche) e nel territorio.

L’autogestione dei monitoraggi da parte di Società Autostrade è una ipotesi che farebbe sorridere se qualcuno la avanzasse. Tuttavia negli ultimi decenni è maturato anche un forte clima di sfiducia tra cittadini e Usl (nel frattempo divenuta Ausl); ciononostante il confronto, per fare un esempio, tra monitoraggio dell’amianto nell’acqua fatto da Hera e fatto dalla Ausl ha comportato uno scarto da zero (Hera) al 20-30% di esami positivi. Non ci soffermiamo su questo adesso … I monitoraggi devono essere effettuati dal sistema pubblico Ausl/Arpaer che tuttavia deve rendersi disponibile alla discussione preventiva – con i comitati dei cittadini e con tecnici di loro fiducia – dei criteri, delle metodologie e degli strumenti di campionamento. Non deve ripetersi la situazione del monitoraggio dell’amianto in cui la Ausl riesce a dichiarare “potabile” un’acqua che contiene una sostanza sicuramente cancerogena ricorrendo a strategie di rimozione del problema.

CONCLUSIONI

Il progetto “passante di mezzo” per come è formulato comporta prospettive nebulose ma molto verosimilmente peggiorative rispetto alla situazione attuale. Qualora questo progetto non fosse precisato e/o migliorato non potranno neppure essere valutate le variazioni di impatto sanitario e ambientale. A tutt’oggi, proprio nelle aree territoriali destinate a subire il maggiore impatto del nuovo progetto, ci troviamo in una situazione ambientale e sanitaria che i dati disponibili, pur non esaustivi, indicano già come critica e compromessa; vale a dire aree che necessitano, già adesso, di interventi di bonifica e di salubrizzazione.

Il prosieguo della discussione deve essere preceduto da una fotografia dell’esistente che ha bisogno di diversi anni di intensi studi epidemiologici e fisico-ambientali.

Bologna, 14 marzo 2017

Bibliografia

Barbone ed altri , «Incidenza tumore polmonare a Trieste», Am J Epidemiol 1995;141:1161-9

Carteggio pubblico («La Repubblica») Totire-Faggioli –Archivio AEA

Crosignani e altri, Seminari Città, ambiente, mobilità, Regione Lombardia/Arpa 19-22 febbraio 2003

Epidemiologia e prevenzione, «Inquinamento atmosferico e salute», a cura Berti d altri, anno 33, novembre-dicembre 2009, supplemento 1

Moriani, «La nocività in fabbrica e nel territorio», Bertani editore: Effetti dell’inquinamento atmosferico sulla popolazione scolastica del comune di Venezia, pp.105-125

Monitoraggio effettuato dall’istituto di Chimica A. Magini, 2004, Archivio AEA-Bologna

Savitz e altri, «Association of childhood cancer with residential traffic density», Scand J Work Environ Health, 1989:15:360-363

Totire, «La nube di Seveso», Clueb 1978

(*) a nome di AEA, l’associazione esposti amianto e rischi per la salute, e del Circolo Chico Mendes

L’IMMAGINE DEL TRAFFICO, scelta dalla “bottega”, E’ RIPRESA DALLA RETE

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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