Ucraina: contro la guerra (e contro i manichei)

articoli e video di Roberto Buffagni, Pierluigi Fagan, Barbara Spinelli, Montly Review, Luciano Canfora, Marco Revelli, Anna Pulizzi, Enrico Euli, Matteo Saudino, Giulietto Chiesa, Antonio Mazzeo, Franco Cardini, Angelo Gaccione, Fabrizio Marchi, Angelo D’Orsi, Vincenzo Costa, Waldo Holz, Alberto Capece, Francesca Mannocchi, Giuseppe Cassini, Alessandro Portelli, Alessandro Orsini, Donatella Di Cesare, Davide Falcioni e John Lennon

 

Giulietto Chiesa: vox clamantis in deserto (nel 2014 e nel 2022)

 

 

Chi sono i cattivi? Regressione infantile e necessità di una nuova cultura – Vincenzo Costa

Chi conosce un po’ di storia sa che la guerra Franco-Prussiana scoppiò perché c’erano delle ragioni storiche. Solo per menzionarne alcune: l’unificazione tedesca, la paura della Francia di essere accerchiata dagli Hohenzollern, le ambizioni della Francia, la diffidenza dell’Inghilterra verso queste ambizioni, le aspirazioni della Russia rispetto alla Crimea.

Chi conosce gli eventi che portarono a quella guerra sa bene che vi fu un gioco (molto più complesso di quanto sia possibile dire qui). La Francia non poteva accettare che sul trono spagnolo sedesse Leopoldo: sarebbe stata accerchiata, sarebbe potuta essere attaccata su due lati. Bismarck voleva invece il conflitto, necessario per giungere all’unificazione tedesca, alla proclamazione del Reich. Ma Guglielmo era accomodante, dava rassicurazioni ma non formali (lo abbiamo visto anche di recente).

La guerra, per farla breve, scoppiò perché Bismarck falsificò un telegramma, che umiliava la Francia. Ma lo fece da quel grande statista che era: si assicurò che l’esercitò prussiano fosse pronto, della neutralità inglese e russa. Era una trappola, e la Francia vi cadde: avvio il conflitto.

Ci fu qualcuno che si dedicò all’analisi delle ragioni, del perché del conflitto, degli interessi, complessi, intrecciati, mai lineari. E ci furono coloro che si chiesero:

CHI è L’AGGREDITO? CHI è L’AGGRESSORE?

E’ semplice, rassicurante. Non occorre pensare, studiare, decifrare. E’ semplice. Come tutto ciò che è infantile.

Diventare adulti significa sviluppare un pensiero della complessità, e la nostra cultura è regredita invece di maturare.

Eravamo stati educati all’idea che per evitare il peggio, per risolvere i problemi non servono discorsi moraleggianti: bisogna cogliere e rimuovere le cause dei conflitti.

Questo significava usare la ragione.

Negli ultimi trent’anni le cose sono cambiate. Si è sviluppata una cultura che consiste semplicemente nel dire chi ha torto e chi ha ragione. Nel 1870 si sarebbe stati a chiedersi chi era l’aggressore e chi era l’aggredito. E porre così il problema significa impedirsi di comprendere la storia, significa non essere adatti ad agire in essa.

Gli intellettuali di matrice “progressista” somigliano sempre più a quegli scolaretti che vogliono fare i primi della classe, quelli che scrivono alla lavagna chi sono i buoni e chi i cattivi.

C’è una santa alleanza a questo riguardo: ci sono quelli che leggono la storia con categorie morali, ci sono quelli che hanno un accesso speciale all’inconscio (come ogni sacerdote, autorizzato alla rivelazione e unici che possono poi comunicarla agli altri), ci sono anche quelli che “bisogna combattere contro gli ortodossi, e gli ortodossi sono scimatici (anche questo c’è).

Al discorso critico, all’analisi delle forze storiche, al tentativo di decifrare i veri moventi della storia si è sostituito il catechismo moralista.

Moralista, ma immorale. Perché morale è la ragione che porta alla luce le cause e mira a rimuoverle.

Il moralismo non mira a questo, mira solo a esacerbare i conflitti, a produrre fanatismo: c’è un aggressore, morte all’aggressore.

Non ci si chiede: come è potuto succedere? Quali cause la hanno generato? Quali cause bisogna rimuovere per avere la pace, e una pace vera?

Questa cultura ci porterà alla devastazione. E’ una cultura incapace di assumere il punto di vista dell’altro, di cogliere come funzionano le culture, e dunque una cultura totalitaria, che rende impossibile il dialogo.

Entriamo in un mondo multipolare, e per entrarci dobbiamo lasciarci alle spalle questa cultura infantile, arretrata, priva di cultura storica, autocentrata.

da qui

 

 

Il risveglio dell’orso sul baratro di una guerra d’aggressione – Giuseppe Cassini

 

IL LETARGO DELL’ORSO è durato trent’anni, tormentato da incubi che lo portavano a menare qualche zampata alla cieca. Ma ora che l’Orso si è svegliato di brutto, affamato e aggressivo, bisogna elencarli questi incubi, se vogliamo capire come trovare vie di uscita dalla spirale bellica in corso.

Eccoli in sintesi.
1998-2020. La Nato accoglie 14 nuovi membri, tutti Paesi dell’Est, circondando la Russia nel suo periodo di massima debolezza da Capo Nord fino all’Anatolia.
1999. Gli attacchi aerei Nato su Belgrado nel conflitto del Kosovo, oltre che provocare vittime civili, offendono la Russia, storica protettrice della Serbia.
2001. Gli Stati Uniti “convincono” la Nato a invadere l’Afghanistan, nonostante siano sconsigliati dai russi (che di scottature afghane se ne intendevano). E nel 2003 tocca all’Iraq.
2004. A Kiev scoppia la Rivoluzione Arancione, che rafforza un’identità nazionale ucraina.
2007. Alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza Vladimir Putin presenta, inascoltato, le sue ragioni.
2008. In aprile si tiene a Bucarest il Consiglio Nato-Russia, dove Putin è pubblicamente umiliato dall’invito della Nato a far entrare Ucraina e Georgia. In agosto il presidente georgiano Saakashvili, spinto da Washington, tenta di riprendersi l’Ossezia del Sud. Dura risposta russa.
2009. La Nato inizia a installare sistemi antimissili in Polonia, sostenendo la necessità di intercettare eventuali missili provenienti dall’Iran (pare che Putin abbia obiettato: «Dall’Iran? Ci prendete per fessi?»).
2011. Scoppiata la guerra civile in Libia, Mosca non si oppone alla Risoluzione n° 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che imponeva di proteggere i civili. Ma le forze di Paesi della Nato utilizzeranno il «non veto» russo per travalicare i limiti imposti dalla Risoluzione e inseguire Gheddafi fino alla sua barbara esecuzione (protesta di Putin: «È questa la democrazia?»).
2014. Il movimento Euro-Majdan caccia il presidente filorusso Janukovich. Il nuovo governo, illegittimo per Mosca, firma un accordo di associazione con l’Ue e decreta l’ucraino unica lingua ufficiale.

A QUEL PUNTO l’Orso si risveglia dal letargo. Come prima mossa ingloba senza colpo ferire la Crimea (ceduta nel 1954 da Kruscev all’Ucraina benché abitata in maggioranza da russi). Inoltre, due regioni del Donbass a maggioranza russa chiedono l’autonomia da Kiev; per accordargliela, nel 2014/5 vengono siglati a Minsk due Protocolli, tuttavia mai implementati dal governo ucraino con obiezioni interpretative.

QUESTO E’ IL LUNGO CAHIER de doléances presentato da Mosca prima di sferrare l’attacco proditorio contro Kiev. In politica estera è basilare comprendere le ragioni dell’altro. Ma l’altro, Putin, un tempo ritenuto maestro di brinkmanship, di rischio calcolato, ora è scivolato nel precipizio a cui si era troppo avvicinato. D’ora in poi potrà ripetere all’infinito il suo elenco di rimostranze, ma è tardi ormai: le sue “ragioni” sono precipitate con lui nel baratro di questa guerra d’aggressione.

NON SI SOTTOLINEA MAI abbastanza la componente paranoica insita nei geni di ogni nazione. Ciò che ossessiona i russi è la sindrome d’accerchiamento. Lo ha rivelato inconsciamente Putin stesso in uno sfogo d’irritazione a dicembre: «Che ci fanno gli Stati Uniti in Ucraina alle porte del nostro Paese? Dovrebbero capire che non abbiamo più spazio per arretrare!». E lo manifesta plasticamente allungando a dismisura i tavoli e la distanza fisica tra sé e i suoi interlocutori.

A COSA MIRA PUTIN nella sua sete di rivalsa? Mira a raccogliere le spoglie dell’impero sovietico, per ricreare sotto il suo usbergo una sorta di unione delle comunità storicamente legate alla Russia. Non c’è dubbio che l’Ucraina rientri in quel novero. Anzi, Kiev è la culla medievale del popolo dei Rus’; da lì si diffuse il cristianesimo verso nord grazie alla conversione del principe di Kiev, san Vladimiro (di cui portano il nome sia Putin che Zelenski). Un quarto degli oltre 40 milioni di ucraini si riconosce come russo, ma tutti venerano a Kiev i santi sepolti nel Monastero delle Grotte. Non esiste una frontiera naturale che separi gli ucraini dai russi, accomunati da lingue sorelle. A ragione Dostoevskij definiva l’ucraino Gogol il padre della letteratura russa. Putin, facendo terra bruciata in Ucraina, ha compiuto non solo un fratricidio ma anche un parricidio.

EPPURE, LO STILLICIDIO di morte potrebbe essere fermato se l’Occidente negoziasse alcune richieste di Mosca: 1° la neutralità dell’Ucraina garantita per trattato internazionale; 2° l’annessione della Crimea se confermata da un nuovo e libero referendum; 3° l’autodeterminazione del Donbass a statuto speciale. Gli Usa – oggi miracolosamente uniti agli europei di fronte all’orrore della guerra – potrebbero negoziare con Mosca e con noi un nuovo sistema di sicurezza europea, dal momento che l’intero continente, Russia inclusa, si trova ora pericolosamente esposto.

INFATTI, SONO SCADUTI e alcuni rescissi, uno dopo l’altro, il Trattato sui Missili Antibalistici, il Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa e il Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie. Resta in vigore (fino al 2026) solo il Trattato sulla Riduzione delle Armi Nucleari del 2010. Putin stesso ha dichiarato che proprio il timore di ritrovarsi accanto un Paese dotato di ogive nucleari lo spinge a chiedere la demilitarizzazione dell’Ucraina. Sta bluffando? La prova del pudding – dicono gli inglesi – sta nel mangiarlo. Urge, insomma, una nuova Helsinki dopo quella conclusa con successo nel 1975.

 

Ex-ambasciatore e diplomatico italiano

 

(pubblicato da Il Manifesto il 9-3-22)

 

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UN NON POST – Pierluigi Fagan

Come detto sin dai primi giorni, versate euro alle organizzazioni umanitarie, sono previsti a ieri 5 milioni di profughi, oggi si comincia a parlare di 7 milioni. Certo gli inglesi che ieri hanno esibito coccardine gialle-blu a Westminster applaudendo commossi alla video-call di Capitan Ucraina formato “L’ora più buia”, ne prendono pare ben cento (!), ma gli altri vanno aiutati anche da noi. Loro del resto non sono più Europa e danno a loro modo una mano armando e mandando volontari di guerra, così che i profughi aumentino.

Purtroppo fb non mi prende la gif in cui Capitan Ucraina fa l’occhiolino da un suo video di ieri. Metto la foto statica in cui strizza l’occhio ma non è per il sole anche perché lì nevica. Nevica, fa freddo, ha milioni di profughi, ha morti e feriti, ma deve tenere alto il morale del suo popolo. Così scherza e fa l’occhiolino, un eroe.

Mi scuso se sono troppo sarcastico su vicende obiettivamente serissime e terribili, ma come ho già detto è il mio modo per esser indignato. L’ho ripetuto più volte in questi giorni e lo ripeto per i più duri di comprendonio, io non approvo certo quello che hanno deciso di fare i russi, i confini non si violano con le armi, mi sento stupido solo a doverlo scrivere. Ma pare alcuni debbano esser rassicurati sul fatto che qui non si annusa zolfo e non si hanno piedi caprini. Capita quando si fa pubblico uso della propria ragione.

1 TEMPO. Che fine ha fatto la colonna di carri russi di 60 Km a 30 Km da Kiev? Sta sempre lì, da giorni. I media dicono che questo è segno dell’impreparazione russa, c’è il fango, non hanno benzina, hanno paura delle molotov. Capitan Ucraina ha definito la strategia di aggressione russa “medioevale”. Sta capendo quello che un anonimo americano ha detto in un video già i primi giorni. Il tizio, il cui video posto nel primo commento, un americano che dichiara di essere a Kiev in una camera d’albergo, sembra avesse subito capito quello che tutta la masnada di commentatori più o meno “esperti” non capiscono ancora oggi ovvero che tipo di strategia militare hanno i russi. Questo mi porta anche a fare una specifica sulle fonti. Io uso per lo più fonti mainstream perché si capiscono più cose da quello che uno vuole dire, come lo dice e cosa c’è dietro questo voler dire, se si è in grado di ricostruire l’intenzione, che non perdersi nei bassifondi della contro-informazione. Si chiama de-codifica. Inoltre, una opinione o informazione, si deve valutare se plausibile o implausibile, non è poi così importante chi la dà. Le informazioni sono come pixel dovete metterle assieme per fare una immagine. Poi dovete mettere l’immagine che è un testo nel contesto. Poi dovete muovere tutto come una pellicola per capire il film. Se Capitan Ucraina solo ieri si è accorto del “medioevale”, vuol dire che lui e chi lo consiglia non aveva capito un tubo (o ha fatto finta per eccitare gli animi) sino a ieri e poiché è un manipolatore di interpretazioni, rivolgendosi ad occidentali ossessionati dal “Nuovo!”, ha pensato che dando ai russi del “medioevali”, se ne accentuava la ripugnanza. Ma le strategie militari non seguono la moda dei modelli di I-phone, non hanno riferimento nel “mi piace – non mi piace”, hanno riferimento nel “funziona – non funziona”. I russi stanno facendo agli ucraini quello che gli Ateniesi fecero ai Melii così come raccontava Tucidide nella Guerra del Peloponneso. Allora, l’americano diceva che i russi avrebbero assediato le città e cosa fanno i russi? Assediano le città! «La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà.» lo diceva anche von Clausewitz. Ma gli “assedi” su cosa si basano? Sul tempo. I russi hanno intenzione di andare per le lunghe, mettetevi comodi. Certo, dispiace per le dirette televisive che si stancheranno di andare in onda a dire sempre meno, ma purtroppo i russi non sembrano collaborare, boicottano le nostre audience. Malvagi!

2) CONSEGUENZE A. (ce ne saranno di B, C, D etc.). Ieri Maduro ha confermato di aver incontrato una delegazione degli Stati Uniti d’America, un incontro delizioso sembra. Poco fa ha anche rilasciato alcune spie USA in senso di simpatia. Pare gli americani vogliano alleggerire improvvisamente le sanzioni al “dittatore che vessa il popolo venezuelano” (ricordate Guaidó, il Zelensky venezuelano?) , stante che il Venezuela ha le più ampie riserve di petrolio non ancora estratto al mondo. Poi, the Guardian, ieri diceva che stanno correndo molte telefonate in questi giorni tra Washington e Teheran e qualcuno vocifera che pare si sia trovata improvvisamente la quadra per il fatidico “Accordo sul nucleare”, pare che Blinken ne abbia riferito ai leaders europei, gli ultimi a sapere cosa accade nel Gran Mondo. Tant’è che WSJ (Wall Street Journal) riferisce che sauditi ed emiratini non rispondono più al telefono. Washington chiama, ma loro non rispondono, pare siano un po’ offesi per usare un eufemismo. Fantastico eh? Putin bestia assassina autoritaria! Maduro ed ayatollah in fondo dei bonaccioni. E’ la variabile geografia valoriale della geopolitica americana, una Borsa Valori molti volatile come si dice in gergo.

3) CONSEGUENZE B. Visto che ha tempo, Putin pare abbia dato mandato interno di due settimane per rifinire le contro-sanzioni ovvero il “ban” ai paesi di cui ha compilato la famosa lista. Per lo più si tratterà di materie prime. Nell’allegato sottostante l’indice delle materie prime -ultimi sei mesi- fotografato oggi. Negli allegati un articolino di SKYTG24 che ci rende edotti di cosa si tratta e che impatto tutto ciò avrà nei prossimi mesi sulle nostre economie. Feci un post qualche giorno fa, che qualcuno avrà trovato molto aulico, sulla Regola aurea che è poi il Principio di reciprocità. Allora, abbiamo già il problema del prezzo impazzito del grano e di molti altri cereali, il prezzo del gas e del petrolio su cui torneremo ed ora anche quello delle materie prime. Reciprocità appunto. Ve l’ho detto, mettetevi comodi.

4) CONSEGUENZE C. Le Monde, ci informa che improvvisamente, aerei caccia americani vanno in gita in quel della Groenlandia. Ricorderete che Trump voleva comprare la Groenlandia no? La terra ghiacciata non ha solo foche e simpatici eschimesi che si strofinano il nasino l’un l’altro, è la miniera di tutte le miniere, per la verità già abbastanza colonizzata da inglesi e molti cinesi. In più è ad un tiro di scoppio dalla Russia se prendete un mappamondo. Checché ne dicano alcuni, la Terra è rotonda e le distanze su una sfera non sono quelle di un piano. Danesi al centro del conflitto geopolitico quindi. Ecco perché le litanie su “l’esercito europeo” fanno sorridere. Un esercito per quale geopolitica? Quella della prossima guerra artica (di cui si sa da anni per gli addetti, non è in relazione solo a questa nota sulla Grønland)? Quella che interessa l’Europa dell’est per contenere i russi? Quella mediterranea e mediorientale che interessa i paesi mediterranei? Chi dovrebbe decidere la strategia geopolitica dell’esercito europeo, l’assemblea dei 27 che urla “andiamo a nord”, “no! andiamo ad est!”, “no andiamo a sud”? Così alla fine non se ne fa niente ed andiamo ad ovest, per questo non possiamo non dirci “atlantisti”. Ve l’ho detto, la geo-politica chiama la geografia, non l’ideologia.

5) La Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) lancia un appello a non comprare le pasticche di iodio per prevenire la prossima catastrofe atomica, si stanno esaurendo. Ieri qualcuno mi ha postato un altro appello all’informazione a tenere conto che i ragazzi, i bambini, ma anche la gente adulta, viene da due anni di pandemia, le menti non stanno molto bene. Dal momento che ogni serio analista sa che sebbene se ne parli non c’è invero alcun rischio atomico, forse qualcuno dovrebbe spiegare questo uso disinvolto della psicopolitica, non credete? Possiamo odiare Putin anche senza agitare il fantasma di Atomic Mad Vlad, forse potremmo spiegare ai giornalisti che siamo adulti ed invitarli a trattarci come tali.

6) Tabarelli di Nomisma Energia, ieri imperversava nell’infosfera. Ci informava che a questi prezzi di gas e petrolio non dureremo molto (ah! vedi il significato di “tempo” nelle strategie medioevali), ci vogliono anni per aumentare la portanza delle condotte alternative, non parliamo proprio dei rigassificatori (cinque anni ci metterà il Qatar a fare il megaimpianto di conversione liquida del gas). Nuland ieri osservava fiera che il Nord Stream 2 rimarrà un grosso tubo arrugginito in fondo al Baltico, per sempre. Son soddisfazioni. Il Tabarelli, ne deduceva -anche con un certo allarme- che dovremmo razionare riscaldamento ed energia elettrica da domattina se vogliamo continuare questa crociata. Eh lo so, dispiace. Sembra la si voglia dar vinta al russo. Io penso invece che tutte queste cose dovrebbero portare a domandarci: ma noi, in che mondo crediamo di vivere? Come siamo finiti in questo casino? Quante cose non sappiamo e non pensiamo prima come ad esempio il numero di posti letto negli ospedali di uno dei paesi che ha più anziani al mondo per cui alla fine è tutto un lockdown e green pass? Emergenze, scrissi post sulla Società del rischio di Ulrich Beck, roba anni ’90. Parole al vento. Dopo sembra tutto ineluttabile. Ma forse non dovevamo trovarci in questo “dopo”, o no?

7) Accusati dagli USA di esser evasivi su i fatti russo-ucraini, i cinesi ci hanno fatto sapere cosa ne pensano, vedere allegato. A questo punto scatta il ban ai springrolls ed il casalinghi sotto casa? Intanto pare stiano entrando in massa nel capitale delle aziende energetiche russe.

8 ) Biden ha chiesto al Congresso 10 mld US$ per armi e aiuti all’Ucraina. Ma i rappresentanti del popolo si sono eccitati e ne hanno varato 12. Poi il giorno dopo si sono sovraeccitati e ne hanno varato infine 13,6. Wow! E siamo ancora lontani dalla “ricostruzione”. Così capirete facile-facile cos’è la “distruzione creatrice” di Schumpeter. Tra l’altro, dovreste forse domandarvi cosa significa “mandare armi”. In quanto tempo si caricano gli aerei, dove volano, dove atterrano, come fanno ad arrivare ai confini ucraini, quando. Per poi? E se i russi com’è probabile non si sognano minimante di andare in Ucraina occidentale che se ne fanno di tutte quelle armi? Dove andranno a finire poi quelle armi visto che in Transnistria c’è il più grande mercato delle armi a cielo aperto? Comunque, neanche fai in tempo a ritirarti dall’Afghanistan che ora ti tocca spendere per l’Ucraina, il prezzo della libertà e chi la difende. Avrete notato la “questione polacca”. Prima hanno detto che loro i Mig agli ucraini non li davano, poi che li davano a gli americani in Germania. Ieri gli americani sono caduti dal pero anche un po’ irritati “nessuno ci ha avvertito!”. Lo hanno letto su i lanci stampa? Putin valuterebbe aerei NATO dati all’Ucraina come un’aggressione pari alla no-fly-zone? Chissà …

9) Quindi riepilogando: Peskov parla delle condizioni a Reuters, Z ieri apre a Donbass, Crimea, no NATO, domani si vedono Lavrov e Kuleba in Turchia, i russi dicono quanto all’allegato postato sotto. E la teoria “Quisling” degli esperti televisivi che fine ha fatto?

10) In un post precedente di geopolitica teorica, ricordavo quanto la politica estera non possa esser disgiunta da quella interna. Per altro, è quello che fanno tutti coloro che s’interrogano sulle possibile rivolte degli interessi interni russi sperando eliminino lo Zar. Ma andrebbe applicato anche a Zelensky, ad esempio ai suoi oligarchi ai quali l’altro giorno ha promesso rosee aspettative del futuro ricostruttivo (vedi nota 8 ) dopo che una non chiara vicenda aveva portato alla morte di un banchiere nella squadra ucraina delle trattative. Si dovrebbe dare anche un occhio alle dimensioni dei progetti ed investimenti cinesi già avviati in Ucraina. Allora ricordo che il primo turno delle presidenziali francesi è tra un mese. Biden è molto giù nei sondaggi ed ha elezioni in autunno. Johnson pareva quasi sul punto di saltare nelle scorse settimane. Ma ad un certo punto, su tutti i contendenti, ci sarà anche la pressione del resto del mondo. Forse non è a molti chiaro che grado di scala Richter è questo terremoto dal punto di vista economico e finanziario. E’ sistemico, a dimensione sistema-mondo e dopo due anni di pandemia rischia di amplificarsi in diversi effetti-farfalla. Mi piace anche ricordare che le “Primavere arabe” nacquero in Tunisia e nacquero come “rivolta del pane” per via di un improvviso aumento della materia prima causato dal cattivo raccolto in Ucraina e Russia per ragioni di fluttuazioni climatiche.

11) Cosa da valutare della variabile “tempo” è la sopportabilità del continuo presentarsi di fatti controversi se non apertamente negativi per la reputazione russa, già gravemente compromessa. Ora abbiamo a che fare con il bombardamento di un ospedale pediatrico a Mariupol, un fatto decisamente orrendo. Quanto bombardato, con quanti morti e feriti, per sbaglio forse e tuttavia fatto insopportabile. Perché era ancora operativo dopo giorni e giorni di annunciato o praticato assedio? Non lo sapremo mai. Chi o cosa non sta facendo funzionare i corridoi umanitari? Sta di fatto che Z sta ora pesando questo fatto rimproverando gli occidentali, di nuovo, di non avere il coraggio di istituire la no-fly-zone. Altresì, ha minacciato forze interne “politiche” che starebbero flirtando in segreto col nemico per trovare una soluzione che lui ritiene un tradimento. Ha anche precisato che in tempo di guerra, il “tradimento” porta a note conseguenze. Così, ogni giorno andrà peggio.

Con ciò terminiamo qui questa giornata di note e riflessioni, a meno di nuovi eclatanti eventi.

da qui

 

 

 

 

Una guerra nata dalle troppe bugie – Barbara Spinelli

Paragonando l’invasione russa dell’Ucraina all’assalto dell’11 settembre a New York, Enrico Letta ha confermato ieri in Parlamento che le parole gridate con rabbia non denotano per forza giudizio equilibrato sulle motivazioni e la genealogia dei conflitti nel mondo.

Perfino l’11 settembre aveva una sua genealogia, sia pure confusa, ma lo stesso non si può certo dire dell’aggressione russa e dell’assedio di Kiev. Qui le motivazioni dell’aggressore, anche se smisurate, sono non solo ben ricostruibili ma da tempo potevano esser previste e anche sventate. Le ha comunque previste Pechino, che ieri sembra aver caldeggiato una trattativa Putin-Zelensky, ben sapendo che l’esito sarà la neutralità ucraina chiesta per decenni da Mosca. Il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Unione europea non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria.

È dall’11 febbraio 2007 che oltre i confini sempre più agguerriti dell’Est Europa l’incendio era annunciato. Quel giorno Putin intervenne alla conferenza sulla sicurezza di Monaco e invitò gli occidentali a costruire un ordine mondiale più equo, sostituendo quello vigente ai tempi dell’Urss, del Patto di Varsavia e della Guerra fredda.

L’allargamento a Est della Nato era divenuto il punto dolente per il Cremlino e lo era tanto più dopo la guerra in Jugoslavia: “Penso sia chiaro – così Putin – che l’espansione della Nato non ha alcuna relazione con la modernizzazione dell’Alleanza o con la garanzia di sicurezza in Europa. Al contrario, rappresenta una seria provocazione che riduce il livello della reciproca fiducia. E noi abbiamo diritto di chiedere: contro chi è intesa quest’espansione? E cos’è successo alle assicurazioni dei nostri partner occidentali fatte dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia? Dove sono oggi quelle dichiarazioni? Nessuno nemmeno le ricorda. Ma io voglio permettermi di ricordare a questo pubblico quello che fu detto. Gradirei citare il discorso del Segretario generale Nato, signor Wörner, a Bruxelles il 17 maggio 1990. Allora lui diceva: ‘Il fatto che noi siamo pronti a non schierare un esercito della Nato fuori dal territorio tedesco offre all’Urss una stabile garanzia di sicurezza’. Dove sono queste garanzie?”.

Per capire meglio la sciagura ucraina, proviamo dunque a elencare alcuni punti difficilmente oppugnabili.

Primo: né Washington né la Nato né l’Europa sono minimamente intenzionate a rispondere alla guerra di Mosca con una guerra simmetrica.

Biden lo ha detto sin da dicembre, poche settimane dopo lo schieramento di truppe russe ai confini ucraini. Ora minaccia solo sanzioni, che già sono state impiegate e sono state un falso deterrente (“Quasi mai le sanzioni sono sufficienti”, secondo Prodi). D’altronde su di esse ci sono dissensi nella Nato.

Alcuni Paesi dipendenti dal gas russo (fra il 40 e il 45%), come Germania e Italia, celano a malapena dubbi e paure. Non c’è accordo sul blocco delle transazioni finanziarie tramite Swift. Chi auspica sanzioni “più dure” non sa bene quel che dice. Chi ripete un po’ disperatamente che l’invasione è “inaccettabile” di fatto l’ha già accettata.

Secondo punto: l’Occidente aveva i mezzi per capire in tempo che le promesse fatte dopo la riunificazione tedesca – nessun allargamento Nato a Est – erano vitali per Mosca. Nel ’91 Bush si era addirittura contrario all’indipendenza ucraina. L’impegno occidentale non fu scritto, ma i documenti desecretati nel 2017 (sito del National Security Archive) confermano che i leader occidentali– da Bush padre a Kohl, da Mitterrand alla Thatcher a Manfred Wörner Segretario generale Nato – furono espliciti con Gorbaciov, nel 1990: l’Alleanza non si sarebbe estesa a Est “nemmeno di un pollice” (assicurò il Segretario di Stato Baker). Nel ’93 Clinton promise a Eltsin una “Partnership per la Pace” al posto dell’espansione Nato: altra parola data e non mantenuta.

Terzo punto: la promessa finì in un cassetto, e senza batter ciglio Clinton e Obama avviarono gli allargamenti. In pochi anni, tra il 2004 e il 2020, la Nato passò da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Polonia, Romania e nei Paesi Baltici ai confini con la Russia (a quel tempo la Russia era in ginocchio economicamente e militarmente, ma possedeva pur sempre l’atomica). Nel vertice Nato del 2008 a Bucarest, gli Alleati dichiararono che Georgia e Ucraina sarebbero in futuro entrate nella Nato. Non stupiamoci troppo se Putin, mescolando aggressività, risentimento e calcolo dei rischi, parla di “impero della menzogna”. Se ricorda che le amministrazioni Usa non hanno mai accettato missili di Paesi potenzialmente avversi nel proprio vicinato (Cuba).

Quarto punto: sia gli Usa che gli europei sono stati del tutto incapaci di costruire un ordine internazionale diverso dal precedente, specie da quando alle superpotenze s’è aggiunta la Cina e si è acutizzata la questione Taiwan. Preconizzavano politiche multilaterali, ma disdegnavano l’essenziale, cioè un nuovo ordine multipolare. Il dopo Guerra fredda fu vissuto come una vittoria Usa e non come una comune vittoria dell’Ovest e dell’Est. La Storia era finita, il mondo era diventato capitalista, l’ordine era unipolare e gli Usa l’egemone unico. La hybris occidentale, la sua smoderatezza, è qui.

Il quinto punto concerne l’obbligo di rispetto dei confini internazionali, fondamentale nel secondo dopoguerra. Ma Putin non è stato il primo a violarlo.

L’intervento Nato in favore degli albanesi del Kosovo lo violò per primo nel ’99 (chi scrive approvò con poca lungimiranza l’intervento).

Il ritiro dall’Afghanistan ha messo fine alla hybris e la nemesi era presagibile. Eravamo noi a dover neutralizzare l’Ucraina, e ancora potremmo farlo. Noi a dover mettere in guardia contro la presenza di neonazisti nella rivoluzione arancione del 2014 (l’Ucraina è l’unico Paese europeo a includere una formazione neonazista nel proprio esercito regolare). Noi a dover vietare alla Lettonia – Paese membro dell’Ue – il maltrattamento delle minoranze russe.

Non abbiamo difeso e non difendiamo i diritti, come pretendiamo. Nel 2014, facilitando un putsch anti-russo e pro-Usa a Kiev, abbiamo fantasticato una rivoluzione solo per metà democratica. Riarmando il fronte Est dell’Ue foraggiamo le industrie degli armamenti ed evitiamo alla Nato la morte cerebrale che alcuni hanno giustamente diagnosticato. Ammettere i nostri errori sarebbe un contributo non irrilevante alla pace che diciamo di volere.

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Il battaglione Azov e il sospetto che la Nato stia addestrando anche un gruppo di neonazisti – Davide Falcioni

La NATO sta formando militari del battaglione ucraino Azov, l’unità della Guardia nazionale ucraina guidata da neonazisti e accusata di crimini di guerra? A sollevare il sospetto non è un giornale vicino a Vladimir Putin, dunque teoricamente interessato ad alimentare la narrazione di Mosca di dover “denazificare” l’Ucraina; al contrario, a rilevare che l’Alleanza Atlantica starebbe addestrando uomini esplicitamente ispirati alle SS è stato ieri Nexta Tv, media bielorusso distribuito principalmente attraverso i canali Telegram e YouTube diventato popolare come fonte primaria di notizie sulle proteste del 2020-2021 contro il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, oggi principale alleato del Cremlino. Secondo Nexta Tv a Kharkiv sarebbe stato inviato un carico di lanciagranate e armi anticarro leggere Nlaw (Next Generation Light Anti-tank Weapon); l’addestramento sarebbe stato affidato a militari provenienti da Paesi Nato e i primi a beneficiare della formazione sarebbero stati proprio esponenti del battaglione Azov…

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Quel paragone sbagliato – Alessandro Portelli

Ho letto l’articolo di Luigi Manconi sulla moralità della resistenza in Ucraina e sulla giustezza di mandare armi. Non sono d’accordo (con Manconi non mi capita quasi mai) ma riconosco le ragioni e la serietà e ci penso. Vorrei che anche chi è d’accordo riconoscesse e rispettasse le mie, che non riguardano certo la moralità della resistenza – in Ucraina come in Italia o in Kurdistan – ma la difficoltà di un paragone storico fra tempi e contesti molto diversi. Forse anche per questo l’Anpi, che di Resistenza qualcosa sa, la pensa diversamente.

Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra. Quindi il paragone regge solo se: a) pensiamo di essere già in guerra con la Russia; b) pensiamo di vincerla militarmente; c) pensiamo che l’invio di armi abbrevierà il conflitto anziché prolungarlo, incaricando gli ucraini di fare la guerra con le nostre armi per nostro conto.

Ho nominato il Kurdistan. Non credo che ci fossero dubbi sulla moralità della resistenza nel Rojava. Però non solo non gli abbiamo mandato armi, ma mentre paragoniamo chi si arruola per combattere col battaglione Azov alle Brigate Internazionali di Spagna, gli italiani che sono andati a combattere nel Rojava li teniamo sotto sorveglianza di polizia perché possibili minacce all’ordine pubblico. È vero che il Rojava non stava «nel cuore dell’Europa»: stava in Turchia, paese nostro alleato, nel cuore della Nato, portatore dei nostri valori occidentali.

Manconi non lo dice e non credo che lo pensi, ma metterla in termini di moralità rischia di bollare come immorale chi la pensa in altro modo. Abbiamo troppo interiorizzato una mentalità antagonistica e non dialogica: sì green pass o no green pass, o servi di Putin o servi della Nato, o di qua o di là e chi sta di là è un nemico immorale. Siamo tutti convinti che l’aggressione deve finire e si deve raggiungere un compromesso. Discutiamo e litighiamo fra noi sui mezzi per arrivarci ma non dimentichiamo ciò che unisce e rende possibile parlarsi. E ascoltarsi.

(Pubblicato su il manifesto del 12 marzo 2022 (con il titolo Perché è sbagliato il paragone con la Resistenza) – da qui

 

 

 

Una civiltà che si spegne – Roberto Buffagni

Intanto la butto lì, poi ci penserò su. L’amputazione dei rapporti anche culturali con la Russia è un errore terribile, che può trasformarsi nel colpo di grazia alla cultura e alla civiltà europee, per quel che ne rimane. Non solo perché la cultura russa ci offre tesori inestimabili, e una continua meditazione dei rapporti tra Russia e Occidente, Asia ed Europa (l’Europa è una propaggine dell’Asia, e nel rapporto conflittuale con l’Asia si è definita).

Certo, anche questo. La cultura russa e la Russia, però, come intuitivamente tutti comprendiamo, sono per noi (anche) un’immagine della della pre-modernità “ingenua”, della “vita sorgente”, della “natura”, della “Kultur”, insomma della “infanzia perduta”. E’ immediatamente evidente a tutti il tratto “infantile” del carattere russo, con la sua vitalità rigogliosa e pasticciona, il suo indomabile coraggio, il suo amore sensuale per la terra, per i miti e le visioni, la sua semplicità, e la sua brutalità.

Russia e cultura russa, insomma, sono l’oggetto di un forte risentimento e di una struggente nostalgia per noi “sentimentali”, per noi moderni, per noi che ci sappiamo scissi dall’infanzia e dalla natura, per noi che sentiamo orgogliosamente e dolorosamente la scissione di coscienza e vita (“l’ingenuo” è una proiezione psicologica del “sentimentale”).

Dalla riflessione filosofica e artistica di questo rapporto tra moderno e antico, “ingenuo” e “sentimentale”, “natura” e “spirito”, Kultur e Zivilization, è nato quanto di meglio la cultura europea ci ha dato negli ultimi due secoli e mezzo, da quando ha cominciato a riflettere sul salto di paradigma della modernità con le correnti di pensiero che usiamo chiamare “Illuminismo” e “Romanticismo”.

Amputare la cultura russa dalla cultura europea equivale a spedire un missile nucleare su Friedrich Schiller, lo Schiller autore dell’“Inno alla gioia”, che musicato da Beethoven è stato eletto, paradossalmente, a inno dell’Unione Europea.

Schiller è anche autore del più classico dei saggi tedeschi, “il saggio tedesco che rende superflui tutti gli altri” (Thomas Mann): “Sulla poesia ingenua e sentimentale”, cento pagine scritte, non casualmente, nel corso della Rivoluzione francese e pubblicate nel 1795.

Ecco che ci dice Schiller a proposito degli “oggetti ingenui”, ossia dei popoli e culture che noi moderni sentiamo come arretrati, premoderni, nel bene e nel male “infantili”:

“Essi sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dobbiamo tornare a essere. Come loro noi eravamo natura, e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della libertà. Sono dunque rappresentazione della nostra infanzia perduta, che rimane in eterno per noi la cosa più cara, e per questo ci colmano di una vaga tristezza. E sono nel contempo rappresentazioni della nostra perfezione più alta nell’ideale, e per questo ci donano una sublime commozione.”

(Schiller, “Della poesia ingenua e sentimentale”, 1795)

da qui

 

 

 

Una modesta proposta – Angelo Gaccione

Poiché a creare i problemi mondiali e le guerre sono i nostri governanti e i popoli a subirne le conseguenze, propongo che siano loro a sfidarsi all’arma bianca (niente armi da fuoco, sono volgari) per risolvere le controversie. Solo accetta, machete, falce, forcone, punteruolo o altro strumento di loro preferenza. In questo modo evitiamo spargimento di sangue inutile. A Roma c’è il Colosseo, a Verona l’Arena, un’arena abbiamo anche noi a Milano. Il pubblico potrà godersi lo spettacolo dagli spalti gratuitamente e decidere il loro destino con il pollice verso o il pollice in alto. Aspettiamo con ansia Putin, Zelensky, Biden con i rispettivi governi. Un corridoio umanitario garantirà loro di giungere in Italia incolumi. “Odissea” è disponibile a farsi parte diligente per organizzare il torneo in tempi velocissimi.

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Il virus della guerra – L’antidoto della memoria – Marco Revelli

…nessuno detesta tanto profondamente la guerra quanto chi l’ha conosciuta direttamente. Ne ha visto l’effetto devastante sui corpi e le anime. E sa la distanza che passa tra le parole e le cose, tra le retoriche e la realtà “sul campo”. Può sembrar strano, ma oggi i più prudenti nella generale chiamata alle armi e nell’evitare uno storytelling bellico irresponsabile – che contagia come un virus politici, intellettuali da intrattenimento e giornalisti da talk show –, sono proprio i militari. Quelli veri, intendo, che sono stati in “zona di operazione”, non quelli da tavolino in un qualche ufficio stampa. Il generale Fabio Mini, per esempio, che ha comandato l’interforze nel Kossovo, e che ci ammonisce saggiamente sul pericolo di “credere alla nostra stessa propaganda”, usando toni e argomenti assai meno enfatici di quelli di un Enrico Letta, tanto per fare il nome di un politico da cui ci si aspetterebbero parole di pace e non di guerra. O il generale Giorgio Battisti, presidente della Commissione Militare del Comitato Atlantico Italiano, che fin dal primo giorno ha ammonito sul fatto che in guerra “l’informazione è propaganda”, da entrambe le parti in conflitto, e si è sforzato di raffreddare l’immagine degli scontri in Ucraina come “guerra totale”, che come tale non ammetterebbe trattativa e quindi sia pur parziale riconoscimento delle ragioni reciproche [con lo stesso approccio anche il direttore di “Analisi Difesa” Gianandrea Gaiani].

Sono tutti molto freddi, per non dire ostili, sulla parola d’ordine che va per la maggiore delle “armi al popolo” ucraino (su cui si vedano in questo sito gli articoli critici di Tomaso Montanari e di Domenico Gallo). Un tema che mi lacera, e mi fa male – tanto più quando si accompagna al colpo basso dei riferimento ai partigiani -, perché so che molti miei amici, e antichi compagni, in sicura buona fede, l’hanno sposata senza remore. Ma con cui sento il dovere di dissentire, non usando certamente l’argomento, mai proponibile, di “cosa ne avrebbe detto mio padre”, per la ragione che è sempre operazione indecente accreditare un ipotetico giudizio sull’attualità a chi è morto da anni. Ma dicendo quello che, sulla base del suo insegnamento, e dei criteri di giudizio che mi ha trasmesso, ho maturato oggi, a cominciare dal fastidio di pelle, pre-politico e trans-storico, per le retoriche dell’”armiamoci e partite” che mi ha trasmesso. Un’allergia, come dire?, genetica, per le infatuazioni da “maggio radioso” di chi evoca politiche mortali senza prefigurarsi le vite (altrui) che quelle pratiche bruceranno (restandosene peraltro al sicuro lontano dalle concrete conseguenze delle loro parole). E qui, non da parte di tutti ma certo di tanti, di retorica ce n’è molta, e ragionamento razionale poco, forse per soffocare il senso di colpa della propria precedente ignavia e per l’attuale impotenza. Per la frustrazione di vedere un’ingiustizia compiersi, in un rapporto sproporzionato tra aggredito e aggressore. Per lo spettacolo di brutalità “putiniana” che ogni giorno irrompe dal video nelle nostre case e a cui non si riesce a immaginare una risposta adeguata. L’evocazione delle armi, lo so bene perché in parte non ne sono immune, in queste circostanze è quasi istintiva, per tentare di saziare una fame di giustizia.

Ma credo che anche in queste circostanze, accanto alla weberiana “etica dei principi”, che si orienta ai valori universali (e astratti), debba praticarsi la simmetrica “etica della responsabilità” che vede le conseguenze dell’agire e si sforza di calcolarne l’adeguatezza al fine. E qui l’inadeguatezza, o peggio la contrapposizione della moltiplicazione delle armi sul terreno rispetto al fine, se questo è la pace e comunque il risparmio maggiore possibile di sofferenze e di vite umane, mi pare evidente. Intanto perché quando inizia un incendio, occorre tentare di soffocarlo sotto una coperta più che gettare benzina sul fuoco, prima che divampi in modo irreparabile. E poi perché mettere in conto una quantità di sofferenze e di lutti, anche per chi pratica forme di realismo politico che non rifiutano a priori armi e violenza, deve presupporre la possibilità di un qualche sia pur relativo successo: evitare mali peggiori in termini di sacrifici umani, accelerare la trattativa per favorire la pace successiva, stabilire un potere di dissuasione credibile verso gli invasori… E non mi pare questo il caso, in un contesto in cui la sproporzione delle forze tra la “gente di Kiev” e i tank di Putin appare disperante (perché è di questo che si tratta quando si parla di “armi al popolo”: di una sorta di sacrificio testimoniale). In questo caso armare la popolazione civile non inquadrata militarmente per spingerla alla “resistenza”, avrebbe il solo scopo di produrre un effetto identificante – noi siamo armi in pugno con voi, anche se poi sono loro e non noi a morire -, ma scarso peso strategico. O addirittura rischierebbe di produrre una sorta di “eterogenesi dei fini”, facendo affluire disordinatamente armi letali a milizie o gruppi non controllati né controllabili che potrebbero usarle per sabotare possibili accordi e prolungare le ostilità. O si dovrebbe ricorrere per le consegne  all’uso dei contractor, che come è noto giocano soprattutto in proprio e non certo a scopi umanitari…

Se invece si tratta, ed è cosa diversa, di armare l’esercito regolare, come sta avvenendo oggi, a entrare in campo sono gli Stati e la Nato, continuando quello che già è stato fatto in questi anni riarmando l’Ucraina in vista di uno scontro puntualmente avvenuto. Ma questo è un altro scenario, che se portato oltre un certo limite aprirebbe prospettive catastrofiche di conflitto generalizzato e potenzialmente totale. E’ questo che si vuole? O che si è disposti a rischiare? E poi, supposto che dopo un periodo più o meno lungo di conflitto endemizzato, si riuscisse finalmente a terminarlo, magari per estenuazione dei contendenti, come si pensa che potrebbero riavvicinarsi, dopo essersi a lungo scannati a vicenda, quei popoli incatenati a territori contigui? Come potrebbero continuare a parlarsi (in parte parlano la stessa lingua). A scambiarsi beni (l’Ucraina dipende in gran parte dalla Russia per l’energia). Insomma, a “con-vivere”?

Un’osservazione ancora sul tema caldo dei “partigiani”. E sulle pressioni ostili piovute sull’ANPI da chi ricordava i lanci alleati a favore delle formazioni combattenti con l’insistente domanda se anche quelli fossero “sbagliati”. Purtroppo l’uso propagandistico della storia è diventato un brutto vezzo mediatico, giocato sulla cancellazione delle specificità di contesto e sull’eticizzazione simbolica di fatti storici tra loro diversi ricondotti a un unico, semplificato, effetto emotivo. Ma in questo caso l’arbitrarietà dell’operazione risulta più evidente. Intanto perché la Resistenza in tutta l’Europa occidentale si è inserita nell’ambito di un conflitto che già da tempo aveva acquisito carattere mondiale e totale, all’interno del quale le opportunità di vittoria di uno e dell’altro campo erano in relativo equilibrio. La possibilità che l’insorgenza di un conflitto “civile” accanto a quello militare-regolare facesse deflagrare ulteriormente su scala maggiore la guerra, o che addirittura ne ritardasse un esito negoziale, era escluso; come pure il carattere meramente sacrificale-testimoniale della partecipazione volontaria alla lotta partigiana. Condizioni tutte abissalmente diverse – anzi opposte – rispetto a quelle del conflitto attuale.

Aggiungerei che l’afflusso di armi alle formazioni combattenti “dall’esterno” – i tanto citati “lanci”, appunto – ha avuto, nell’economia della Resistenza italiana un peso secondario: le armi i partigiani se le procurarono soprattutto raccogliendo quelle abbandonate dal regio esercito all’8 settembre, quando i reparti si sciolsero seminando armi e bagagli; e subito dopo attaccando “caposaldi nemici” – come si canta in “Oltre il ponte” -, disarmando distaccamenti fascisti, stazioni dei carabinieri, convogli in transito. Solo più tardi, e con molte remore e parsimonia (si pensi alla parentesi seguita al “proclama Alexander” che invitava i partigiani a tornarsene a casa), gli alleati, in particolare gli inglesi, e in forme spesso selettive (le formazioni garibaldine ne erano spesso escluse), incominciarono i rifornimenti, che tuttavia ebbero sempre un peso specifico relativo: negli ultimi quattro mesi di guerra, quelli che precedettero il 25 aprile e in cui si ebbe il picco massimo dei rifornimenti, furono paracadutate in tutto 666 tonnellate di “armi e munizioni” (in una tonnellata ci stanno una cinquantina di fucili con dotazione di un migliaio di colpi l’uno, oppure una decina di mitragliatrici, o ancora 5 o 6 mortai con relativo munizionamento molto molto contato). Una minima parte dell’armamento necessario a mettere in campo i 200.000 uomini che si calcola costituissero nel punto di massimo sviluppo l’esercito di liberazione.

Quanto alla fornitura da parte di Stati “amici” ai belligeranti, vale l’esempio della guerra civile spagnola dove, fin dal 1936 l’aiuto militare delle cosiddette potenze occidentali fu negato alla repubblica democratica aggredita dai golpisti del generalissimo Franco. La stessa Francia del socialista Leon Blum si astenne dal rifornimento di armi e altri mezzi bellici (si limiterà all’invio semiclandestino di appena 13 caccia e 6 bombardieri privi di armamento), su suggerimento esplicito del governo inglese, entrambi nel timore di una “globalizzazione del conflitto” e accontentandosi della finzione da parte di Mussolini e Hitler di mantenersi neutrali mentre al contrario nei fatti partecipavano  al conflitto. Anche la democraticissima America di Roosevelt si astenne, decretando anzi un blocco navale per intercettare eventuali aiuti stranieri in territorio spagnolo, che si risolse in un vantaggio per i nazionalisti, mentre Stalin esitò a lungo sulla politica degli aiuti, e vi partecipò in modo assai reticente.

Ora si può discutere, in sede storiografica e politica, sull’ opportunità e lungimiranza di quelle decisioni, che non evitarono come è noto il successivo precipitare nel conflitto mondiale e che permisero al fascismo di segnare un punto forte a proprio favore. Ma il precedente può aiutare a ragionare con maggior coscienza di causa sulle caratteristiche e i rischi di politiche simili, e sulla necessità di valutarne l’opportunità con estrema cautela, all’opposto delle scanzonate proclamazioni di politici senza spessore e di statisti improvvisati. La legittimità, in base al diritto internazionale, di fornire armi a uno stato belligerante passa su un crinale molto stretto: lo status di “aggredito” del paese aiutato, e l’esclusione che strumenti letali cadano nelle mani di gruppi colpevoli di crimini contro l’umanità (la prima evidente in Ucraina, la seconda no). Ma le remore politiche per l’iniziativa restano tutte sul terreno, a cominciare dal fatto che per questa via ci si preclude irrimediabilmente la possibilità di un ruolo di mediazione, che sarebbe esattamente quello che l’Europa dovrebbe giocare oggi, predisponendo in modo forte e credibile un tavolo di negoziazione. E soprattutto che avrebbe dovuto praticare in chiave preventiva fino a ieri, cercando di evitare ad ogni costo il precipitare di una crisi devastante per tutti.

Resta così la sgradevolissima sensazione di essere finiti, come individui e come area geo-politica, l’Europa appunto, a fare le pedine di un gioco tra potenze a vocazione imperiale (più o meno fondata, entrambe comunque in declino anche se in misura asimmetrica). Il cui prezzo finirà per essere fatto pagare agli ucraini in primo luogo, e al Vecchio Continente, mai così vecchio e impedito nei movimenti e nel pensiero, immediatamente a seguire.

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I generali di Putin – Anna Pulizzi

…L’idea di aggirare i centri popolosi invece di investirli non è certo una novità ed è parte del bagaglio tattico nato con la guerra di movimento. Anche le colonne meccanizzate nell’ultimo conflitto mondiale avevano l’ordine di non impegnarsi in sanguinosi scontri cittadini, però le sopraggiungenti fanterie all’occorrenza lo facevano. L’analoga scelta del comando russo procede dalla necessità di minimizzare le perdite tra i soldati ma anche di evitare vittime civili, come dimostra la rinuncia a bombardare le aree residenziali in cui invece si arroccano senza alcuno scrupolo i battaglioni ucraini. D’altra parte questa è gente che per otto anni ha fatto il tiro al bersaglio sulle case e sulle scuole nei villaggi del Donbass, quindi del tutto priva di attributi equiparabili all’umanità ed alla coscienza.

Qui entra forse in gioco un altro fattore, cioè l’impatto mediatico del conflitto, il tentativo da parte russa di evitare situazioni che possano essere sfruttate dalla propaganda occidentale per giustificare le proprie scelte anche in fatto di sanzioni e rappresaglie economiche. Accorgimento che però sappiamo essere superfluo, visto che anche se questa fosse la prima guerra al mondo senza vittime innocenti, ci racconterebbero che Putin succhia il sangue ai neonati sapendo di essere creduti da gran parte dell’ingenua platea. Quanto ai contraccolpi commerciali, il punto più basso nelle relazioni tra la Russia ed i reggicoda atlantisti sta per essere raggiunto indipendentemente da ciò che avviene sui campi di battaglia.

Sono congiunture che invece non preoccupano i comandi Nato, che difatti possono spargere agenti al fosforo sulla popolazione irakena, defolianti su quella indocinese o sostanze radioattive su quella jugoslava senza che i pacifisti di casa nostra se ne adombrino. Anzi, abbiamo perfino avuto un ministro della guerra, oggi rieletto garante di qualcosa che non ricordo, che pubblicamente dubitò che la radioattività da uranio americano nuocesse alla salute. Dunque è sconsolante ammetterlo ma non si può fare una guerra preoccupandosi di ciò che penserà il nemico. La Russia porterà in qualche modo a termine la sua “guerra d’inverno”, come quella che l’Urss iniziò contro la Finlandia alla fine del 1939, vincendo ma deludendo e provocando una diffusa quanto pericolosa sottovalutazione delle sue potenzialità reali. Allora, come credo anche oggi, la guerra mondiale era già iniziata.

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nuovi giochi e vecchi(ssimi) – Enrico Euli

1 – Il vecchissimo gioco

L’Occidente: ‘c’è un aggressore ed un aggredito, noi stiamo con gli aggrediti…’

La Cina scarica su Usa e Nato le responsabilità della guerra: ‘Hanno spinto la tensione verso il punto di rottura’.

In sistemica si chiama ‘punteggiatura della sequenza degli eventi’.

Risponde alla classica domanda: ‘chi ha iniziato?’.

Ogni parte dice e cerca di dimostrare che, in caso di conflitto, ha iniziato l’altro.

Ma, quando si arriva all’aggressione bellica (o ad un omicidio, o anche soltanto ad un litigio con percosse) molte cose sono avvenute prima, coperte o palesi, tra le parti.

Provocazioni, offese, silenzi omertosi, mosse tattiche, appelli inascoltati, rimozioni, mancanze ed insistenze.

La violenza è sempre un circolo vizioso.

Impossibile dire davvero -imparzialmente- ‘chi, quando, come’ ha iniziato.

Ma è decisivo -per giustificarsi- riuscire a portare l’altro ad aggredire apertamente, in modo tale da poterlo accusare di essere lui, solo lui, l’unico aggressore e che tu, invece, debba necessariamente re-agire ‘per difenderti’.

La guerra di difesa vuole sempre apparire tale; per farlo, ha bisogno di dimostrare sempre che il ‘casus belli’ scaturisca dal comportamento del nemico.

La violenza strutturale (apparentemente non aggressiva) sa sempre come stimolare la violenza diretta (esplicitamente aggressiva e distruttiva).

Vale tra i partner, come tra i gruppi e tra gli stati.

É sempre la solita vecchia storia, quella che stiamo vivendo oggi.

E ci siamo ricascati, ci ricaschiamo ogni volta…

2 – Il nuovo gioco?

La pedagogia delle catastrofi rivela però ancora una volta tutta la sua potenza innovativa.

Quel che sta accadendo – infatti, inevitabilmente – ci costringe a cambiare vita.

Non sarà un’emergenza breve, e soprattutto non sono e saranno di piccola portata le sue conseguenze.

L’emergenza Covid è stata scaraventata in un attimo nell’angolo, scavalcata dal nuovo spettacolo e dalle nuove urgenze. Toccherà anche alla guerra: quando gli ucraini vivranno la loro disfatta militare, la smetteremo ipocritamente di commuoverci, anche i media li lasceranno alla loro triste sorte e sorgerà una nuova, più attraente, emergenza all’orizzonte (non mancheranno).

La guerra ai califfati ora sembra un giochetto, rispetto a questa. Il terrore di stato ci appare -e giustamente- ben più potente, esplosivo ed organizzato dei terrori islamisti.

La crescita economica è di nuovo in coma, boccheggiante: la decrescita (forzata) è d’obbligo, fosse anche soltanto per risparmiare e risparmiarsi qualcosa.

Sul fronte energia, ad esempio: la ricerca di alternative al fossile (petrolio e gas) dovrà – forzatamente- accelerare.

Ma pensiamo anche alle migrazioni: l’accoglienza ai profughi (milioni) sta cambiando, a partire dai paesi più riluttanti, forzati ad agire – in senso opposto ad intenzioni e dichiarazioni precedenti – da esodi di massa senza precedenti (ma antecedenti e inferiori a quelli che verranno).

E pensiamo al cambiamento climatico: si ritorna ai problemi dell’oggi, il futuro può attendere e ri-entrare nei ranghi marginali dell’agenda politica (fatte salve – forse – le eventuali accelerazioni nella ricerca di alternative energetiche di cui sopra). In attesa di nuovi cataclismi che, per qualche ora o giorno, ci riportino a parlarne, invano.

Lo choc della guerra, insomma, ben più della pandemia, potrebbe costringerci a cambiare per forza.

C’è da dubitare che la militarizzazione delle nostre vite in corso possa comportare anche un cambio nelle premesse profonde.

Ma, per scelta o per forza, attraversando la catastrofe, qualcosa di nuovo dovrà avvenire, in questo nuovo ordine mondiale che avanza impetuosamente e fuori controllo.

3 – Il vecchio gioco.

Ma, nell’apparenza del nuovo, fa impressione proseguire a vedere i potenti d’Europa riuniti a Versailles, come un tempo i re di Francia (quelli che erano stati ghigliottinati qualche secolo fa), che -come se niente fosse- si intrattengono a corte, danzano i loro minuetti, si fanno gli inchini e sghignazzano tra loro, prima di emettere i loro terribili proclami, divenuti improvvisamente seri e decisi, bellicosi e fieri di rappresentarci (e sbertucciarci).

Si continua, ogni volta, a coltivare l’illusione che l’Europa unita abbia la forza di liberarsi dei vincoli che hanno oppresso i suoi singoli stati per ormai quasi un secolo.

Un’ Europa autonoma ed autodeterminata avrebbe potuto e dovuto svolgere un ruolo di mediazione in questa guerra, senza appiattirsi su USA e Nato e sulla loro politica di occupazione-militarizzazione dell’Ucraina in funzione anti-russa (occupazione iniziata ben prima di quella armata da Putin due settimane fa).

Ma, ancora una volta, così non è. Pur trovandoci in mezzo tra i due blocchi riemergenti, e pur dipendendo enormemente da entrambi, ci siamo schierati dalla solita parte contro l’altra, scegliendo di non poter scegliere mai.

Lo si è capito – un anno fa – quando l’Ema non ha riconosciuto i vaccini ‘comunisti’.

Lo si capisce ora quando la Russia torna ad essere il nemico numero uno dell’Occidente libero.

Siamo ancora lì, e non ci si riesce a muovere di un passo.

Le corde che ci legano sono troppo stringenti: lo osserviamo dalla miriade di luoghi comuni, reazioni automatiche, negazione di alternative, atteggiamenti eroistici che ci attorniano senza requie in tv, in rete e nelle discussioni quotidiane.

La guerra appare – coattivamente – come l’unica soluzione, come il vaccino (USA) lo è stato per il virus e la DAD (USA) di Google e Microsoft per l’istruzione.

E chi guarda altrove è solo un traditore della patria, un renitente, un disertore.

Ma val la pena, ancora una volta, di stare dalla parte del torto e di urlare – ancora e sempre: ‘non in mio nome!’.

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GLOBAL TIMES: LA CINA HA ESORTATO GLI USA A CHIARIRE LE ATTIVITÀ BIOMILITARI E AD ACCETTARE ISPEZIONI MULTILATERALI POICHÉ L’UCRAINA HA SCOPERTO DI AVERE 30 BIOLABORATORI

Il governo cinese chiede agli Stati Uniti di divulgare immediatamente le informazioni sui laboratori biologici militari situati in Ucraina e sui virus che sono stati oggetto di ricerca. Lo ha annunciato martedì in un regolare briefing dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian.

Come ha notato, 26 laboratori americani e altre strutture simili operavano sul territorio dell’Ucraina. “Gli Stati Uniti, in quanto la parte che ha il maggior numero di informazioni sui laboratori, dovrebbero divulgare i dati rilevanti il prima possibile, compresi i virus che erano presenti e la natura della ricerca su di essi”, ha affermato.

“Per il bene della salute del popolo ucraino, delle regioni vicine e oltre, invitiamo le parti interessate a garantire la sicurezza di questi laboratori”, ha sottolineato Zhao Lijian. “Gli Stati Uniti, in quanto la parte che ha il maggior numero di informazioni sui laboratori, dovrebbero divulgare i dati rilevanti il prima possibile, compresi i virus che erano presenti e la natura della ricerca su di essi”, ha affermato.

“I programmi biologici militari statunitensi in Ucraina potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Con il pretesto della cooperazione per ridurre i rischi per la sicurezza biologica e proteggere la salute globale, gli Stati Uniti controllano 336 laboratori in 30 paesi. La parte americana ha anche svolto molte attività biologiche militari ricerca presso il laboratorio di Fort Detrick. Quali sono le vere intenzioni degli Stati Uniti? Cosa hanno fatto esattamente?”

“Chiediamo agli Stati Uniti di fornire informazioni complete sui loro programmi biologici militari sia sul suolo americano che all’estero e di accettare la verifica internazionale”, ha concluso il diplomatico.

Laboratori in Ucraina

Domenica, un portavoce del ministero della Difesa russo, il maggiore generale Igor Konashenkov, ha detto ai giornalisti che le forze armate russe, durante un’operazione speciale in Ucraina, hanno scoperto i fatti di un programma biologico militare finanziato dagli Stati Uniti in fase di attuazione. Secondo il generale, i dipendenti dei laboratori biologici ucraini hanno ricevuto informazioni sulla distruzione urgente di agenti patogeni particolarmente pericolosi il 24 febbraio: peste, antrace, tularemia, colera e altre malattie mortali.

Igor Kirillov, capo delle Forze di difesa dalle radiazioni, chimiche e biologiche delle forze armate russe, ha affermato che in Ucraina è stata costituita una rete di oltre 30 laboratori biologici, il cui cliente è l’Agenzia per la riduzione delle minacce del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti . Secondo lui, il 24 febbraio, tutti hanno ricevuto l’incarico dal Ministero della Salute dell’Ucraina di distruggere completamente i bioagenti nei laboratori. Secondo il Ministero della Difesa russo, il volume dei finanziamenti statunitensi per i laboratori biologici in Ucraina supera i 200 milioni di dollari.

Il Global Times, quotidiano del Partito comunista cinese ha pubblicato un articolo dal titolo «Gli Stati Uniti hanno esortato a chiarire le attività biomilitari e ad accettare ispezioni multilaterali poiché l’Ucraina ha scoperto di avere 30 biolaboratori»

«La Cina ha esortato gli Stati Uniti a chiarire pienamente le sue attività di militarizzazione biologica in patria e all’estero e ad accettare ispezioni multilaterali, ha affermato martedì il ministero degli Esteri cinese, a seguito di resoconti dei media che hanno rivelato che una rete di circa 30 laboratori biologici è stata costituita in Ucraina su richiesta degli Stati Uniti», scrive il GT.

I laboratori biologici statunitensi in Ucraina hanno suscitato grande preoccupazione, ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, in un commento durante una conferenza stampa. Zhao ha citato i resoconti dei media secondo cui i laboratori biologici immagazzinano grandi quantità di virus pericolosi e la Russia ha scoperto durante le sue operazioni militari che gli Stati Uniti stanno utilizzando queste strutture per progetti biomilitari.

Lunedì, i media russi, citando il capo della forza di protezione dalle radiazioni, chimica e biologica della Russia Igor Kirillov, hanno riferito che una rete di oltre 30 laboratori biologici è stata costituita sul territorio ucraino su richiesta dell’Agenzia per la riduzione delle minacce del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Secondo i dati diffusi dagli Usa, il Dipartimento della Difesa statunitense ha il controllo assoluto sui 26 laboratori biologici in Ucraina. Tutti i virus pericolosi in Ucraina devono essere conservati in questi laboratori, tutte le attività di ricerca sono guidate dagli Stati Uniti e nessuna informazione può essere divulgata senza il permesso degli Stati Uniti, ha affermato Zhao…

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WIKILEAKS, I FILE SEGRETI SULL’UCRAINA DEL 2008: LA RUSSIA POTREBBE DIVENTARE OSTILE SE LA NATO SI ALLARGASSE – Waldo Holz

Se la NATO dovesse aumentare gli sforzi per portare l’Ucraina nella NATO, allora la Russia dovrebbe considerare un intervento militare. Una decisione che il Cremlino non vuole prendere, ha scritto l’allora ambasciatore americano da Mosca e attuale capo della CIA, William Burns, in un messaggio già nel 2008. Grazie a Wikileaks, il messaggio è pubblicamente disponibile. In esso si descrive lo scenario che il mondo sta vivendo nell’inverno del 2022.

William Burns è direttore della CIA da meno di un anno. Nel 2008, l’uomo con una carriera molto colorata era ancora ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca. In questa veste, Burns ha scritto un dispaccio top-secret nel febbraio 2008 che è stato inviato all’ufficio europeo della NATO, fra gli altri.

Grazie a Wikileaks, il cui protagonista è oggi rinchiuso in un carcere di massima sicurezza a Londra in attesa di essere estradato negli Stati Uniti, tutti possono conoscere questo ” cable “. Questo contenuto è particolarmente significativo nell’anno 2022.

Burns scrive molto specificamente sulle preoccupazioni della Russia riguardo alle aspirazioni della NATO di portare l’Ucraina e la Georgia nel patto militare: “Le ambizioni della NATO relative all’Ucraina e alla Georgia non solo toccano un punto dolente in Russia, ma sollevano anche serie preoccupazioni sulle implicazioni per la stabilità nella regione”

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UCRAINA: I SENSI DI COLPA CHE ALEGGIANO SUL NOSTRO PENSIERO – Franco Astengo

 

Esiste ancora la possibilità di condannare la guerra come “orrore in sé”? Nazionalismo e imperialismo sono ancora termini di attualità nel nostro lessico? Nella tragedia ucraina sicuramente il dibattito in corso nella residuale sinistra italiana non costituisce il punto di maggiore interesse.

Eppure, come sempre è accaduto in analoghi frangenti (sia pure di diversa natura), rimangono nodi da risolvere che pure rappresentano questioni poste in profondità nello sviluppo del pensiero e nella capacità di determinare opinioni, presenza, impegno.

Allora vale ancora la pena di soffermarcisi un attimo.

In questa difficoltà di confronto si colloca, infatti, anche l’addio al “Manifesto” di un pacifista come Manlio Dinucci e del dialogo intessuto, nell’occasione, con Tommaso Di Francesco: il “casus belli” ( che ha causato il danno collaterale dell’abbandono di Dinucci dal giornale) riguarda il giudizio di un articolo denunciato, dalla direzione del giornale, come “ambiguo” nei riguardi di una possibile “legittimazione oggettiva della guerra russa”.

Il tema spinoso, come spiega del resto Di Francesco, è quello del “limite” nella spiegazione delle origini del conflitto, delle complicità che si intrecciano attorno ad esso, oltre che l’individuazione della responsabilità occidentali”.

Tutto ciò si connette con un altro passaggio della discussione in corso a sinistra: quello insorto tra l’ANPI e i contenuti espressi in un articolo di Luigi Manconi al riguardo della distribuzione di armi alla resistenza ucraina che Manconi paragona (del tutto impropriamente) ai “lanci” eseguiti dagli Alleati verso le formazioni partigiane durante la seconda guerra mondiale.

Su questo argomento nello stesso numero del Manifesto ( 11 marzo) interviene Sandro Portelli che conclude “Abbiamo troppo interiorizzato una mentalità agonistica e non dialogica: sì green pass o no green pass, o servi di Putin o servi della Nato, o di qua o di là e che si sta di là è un nemico immorale. Siamo tutti convinti che l’aggressione deve finire e si deve raggiungere un compromesso. Discutiamo e litighiamo fra noi sui mezzi per arrivarci ma non dimentichiamo ciò che unisce e rende possibile parlarsi. E ascoltarsi”.

Rispetto a questo tipo di argomentazioni commentatori benpensanti hanno trovato anche il riecheggiare dell’antico “né con lo Stato, né con le BR.

Mi sono permesso di prendere spunto da questi due episodi, ripeto di dimensione infinitesimalmente ridotta rispetto all’entità della tragedia, al fine di sollevare alcuni spunti di riflessione:

1) L’assenza di una iniziativa politica per la pace deriva dalla riduzione della politica a “governo”;

2) La complessità delle contraddizioni in atto renderebbe necessaria una rielaborazione non escatologica della “morale” e l’idea di una politica non ridotta sempre e comunque all’arte del possibile.

Una sorta di ritorno alla “Critica della ragion pratica” con la possibilità di esprimere una legge morale che ci consenta di guardare ancora all’Utopia andando oltre ai tanti sensi di colpa che aleggiano sul nostro pensiero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Montly Review sulla guerra in Ucraina

Pubblichiamo l’editoriale di apertura del prossimo numero di aprile di Montly Review, la storica rivista marxista statunitense fondata nel 1949 da Paul Sweezy e Leo Huberman e oggi diretta dall’ecomarxista Jeremy Bellamy Foster. (M.A.)

Mentre scriviamo queste note all’inizio di marzo 2022, la guerra civile limitata che dura da otto anni in Ucraina si è trasformata in una guerra su vasta scala. Questa rappresenta un punto di svolta nella Nuova Guerra Fredda e una grande tragedia umana. Minacciando l’olocausto nucleare globale, questi eventi stanno mettendo in pericolo anche il mondo intero. Per comprendere le origini della Nuova Guerra Fredda e l’inizio dell’attuale ingresso russo nella guerra civile ucraina, è necessario risalire alle decisioni legate alla creazione del Nuovo Ordine Mondiale prese a Washington quando la precedente Guerra Fredda si concluse nel 1991. In pochi mesi, Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla Difesa per la politica nell’amministrazione di George HW Bush, pubblicò una Guida alla politica di difesa  affermando: “La nostra politica [dopo la caduta dell’Unione Sovietica] deve ora concentrarsi nuovamente sull’impedire l’emergere di qualsiasi potenziale futuro concorrente globale”. Wolfowitz sottolineò che “la Russia rimarrà la potenza militare più forte in Eurasia”. Sono stati quindi necessari sforzi straordinari per indebolire la posizione geopolitica della Russia in modo permanente e irrevocabile, prima che fosse in grado di riprendersi, portando nell’orbita strategica occidentale tutti quegli stati che ora la circondano che in precedenza erano stati parti dell’Unione Sovietica o che rientravano nella sua sfera di influenza (“Excerpts from Pentagon’s Plan: ‘Preventing the Re-Emergence of a New Rival‘, New York Times , 8 marzo 1992).

La Defense Policy Guidance di Wolfowitz fu adottata da Washington e da tutti i principali pianificatori strategici statunitensi, le cui opinioni a quel punto tornavano sempre più indietro alle classiche dottrine geopolitiche introdotte da Halford Mackinder nella Gran Bretagna imperiale prima della prima guerra mondiale, e che furono ulteriormente sviluppate da Karl Haushofer nella Germania nazista e Nicholas John Spykman negli Stati Uniti negli anni ’30 e ’40. Fu Mackinder che nel 1904 introdusse l’idea che il controllo geopolitico del mondo dipendesse dal dominio dell’Eurasia (la massa continentale dei continenti europeo e asiatico) che chiamò Heartland. Il resto dell’Asia e dell’Africa insieme all’Heartland formavano l’Isola Mondo. Così è nato il suo detto spesso citato: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo»

Questa dottrina geopolitica era, fin dall’inizio, mirata al dominio del mondo e da allora ha governato la strategia imperiale delle principali nazioni capitaliste, nella forma di quella che viene comunemente definita “grande strategia”. Ma mentre ha dettato il pensiero di figure della sicurezza nazionale degli Stati Uniti come Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, la geopolitica è stata per molto tempo sottovalutata nella sfera pubblica a causa dell’identificazione popolare di essa con le dottrine della Germania nazista. Tuttavia, con la fine dell’Unione Sovietica e la crescita degli Stati Uniti come potenza unipolare, la geopolitica e la dottrina di Heartland furono ancora una volta apertamente dichiarate dai pianificatori strategici statunitensi, generando una nuova grande strategia imperiale post-Guerra Fredda (John Bellamy Foster , “The New Geopolitics of Empire,” Monthly Review 57, no. 8 [January 2006]).

L’architetto più importante di questa nuova strategia imperiale fu Brzezinski, che in precedenza, in qualità di consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, aveva teso la trappola ai sovietici in Afghanistan. Fu sotto la direzione di Brzezinski, a seguito di una direttiva segreta firmata da Carter nel luglio 1979, che la CIA, collaborando con l’arco dell’Islam politico che si estende dal Pakistan di Muhammad Zia-ul Haq ai reali sauditi, reclutò, armò e addestrò i Mujaheddin in Afghanistan. La formazione da parte della CIA dei Mujaheddin e di vari gruppi terroristici in Afghanistan accelerò l’intervento sovietico, portando a una guerra senza fine che ha contribuito alla destabilizzazione della stessa Unione Sovietica. Alla domanda se si sia pentito di aver stabilito l’arco del terrorismo che avrebbe portato all’11 settembre e oltre, Brzezinski (che ha posato in foto con i combattenti mujaheddin) rispose semplicemente dicendo che ne era valsa la pena vista la distruzione dell’Unione Sovietica (Natylie Baldwin, “Brzezinski’s Mad Imperial Strategy,” Natylie’s Place, August 13, 2014; Ted Snider, “Living with Brzezinski’s Mess,” Antiwar.com, August 26, 2021, “Brzezinski’s Prophecy About Ukraine,” Teller Report, February 15, 2022).

Brzezinski rimase un consigliere chiave per le successive amministrazioni statunitensi, ma non ebbe un ruolo ufficiale di primo piano, data la sua reputazione da falco e la visione estremamente negativa di lui in una Russia, che, all’inizio degli anni ’90 sotto Boris Eltsin, aveva uno stretto legame simile a quello di un burattino con Washington. Tuttavia, più di ogni altro pensatore strategico statunitense, è stato Brzezinski ad articolare la grande strategia statunitense sulla Russia che è stata portata avanti in tre decenni dalle successive amministrazioni statunitensi. Le guerre della NATO che hanno smembrato la Jugoslavia negli anni ’90 si sono sovrapposte all’inizio dell’espansione della NATO verso est. Washington aveva promesso al Cremlino sotto Mikhail Gorbaciov, al momento della riunificazione tedesca, che la NATO non si sarebbe allargata “nemmeno di un pollice” a est nei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Tuttavia, nell’ottobre 1996, Bill Clinton, durante la campagna per la rielezione, dichiarò di essere favorevole all’espansione della NATO nell’ex sfera sovietica e l’anno successivo fu avviata la politica seguita da tutte le successive amministrazioni statunitensi…

(traduzione di Maurizio Acerbo) – da qui

 

La “guerra di Putin” – Angelo D’Orsi       

È di oggi (nella newsletter del CESPI, di cui è presidente) un intervento di Piero Fassino, presidente Commissione Esteri, già fondatore del PD (bel titolo di merito), di una ipocrisia sconcertante, fin dal titolo: “La guerra di Putin”. No, questa è la guerra di cui gli Usa hanno posto le premesse, una guerra per dare un colpo alla Russia, e per allontanare da essa l’Europa, anche contro i propri interessi. E Fassino, noto genio della politica, giustifica tutto tranne che la guerra di Putin: solo per la Russia non valgono i principi che valgono per gli altri Stati, a cominciare dal nostro, e da tutti i membri della UE, che sta certificando ancora una volta il proprio fallimento. Scrive Fassino: “…Putin in pochi giorni ha dissestato gli equilibri geopolitici che dalla caduta del muro di Berlino avevano garantito stabilità e sicurezza in Europa”.

Ma dov’era Fassino nel 1999 quanto una coalizione di 19 Stati aggrediva la Federazione Jugoslava? Mi pareva fosse lui ad aver dichiarato: “Solo chi non ha guardato negli occhi un bambino kosovaro può essere contrario a questa guerra”, o forse lui parlava di operazione di peacekeeping, mentre intellettuali obnubilati dalla falsa coscienza, parlavano di “guerra umanitaria”, di “guerra disinteressata”, di “guerra etica”, oltre che naturalmente di “guerra giusta”?

Quando con Mattarella ministro della “Difesa”, e D’Alema presidente del Consiglio indossava l’elmetto, proprio come oggi, per far toccare con mano ai padroni di Washington la indefettibile fedeltà dell’Italia, collaborando attivamente alla distruzione di un Paese amico come la Jugoslavia, e mandando a morire soldati italiani di leucemia a causa dell’uranio impoverito.

Oggi Fassino, non riesce a far altro che aggiungersi al coro anti-Putin invididuato come il solo responsabile della tragedia in corso. E spingendosi, con vergognosa impudenza, a giustificare, ai sensi dello Statuto ONU e della nostra Costituzione, la decisione del governo italiano di mandare uomini, armi e aiuti finanziari e in merci, all’Ucraina. Fassino non si è mai accorto dal 2014 ad oggi di quel che accadeva nel Donbass, evidentemente (mi permetto di consigliargli la lettura di Donbass. La guerra fantasma nel cuore d’Europa, Exòrma Edizioni), di Sara Reginella). Le argomentazioni di Fassino sono una ennesima dimostrazione che nel pensiero dominante la Costituzione è un bel documento che appartiene alla storia, dunque da mettere in una teca di cristallo, ma la politica può servirsene come le pare meglio. Anche stravolgerla, fingendo di rispettarla.

Secondo Fassino l’Italia e la UE, sono sulla strada del diritto e della legalità internazionale, “mettendo a disposizione di chi combatte [di chi combatte contro i russi, naturalmente] gli strumenti per difendere la sua e la nostra libertà”. Non meriterebbe neppure un commento, il povero Fassino, uomo delle cause perse, delle previsioni errate, degli insuccessi politici. Ma merita invece riflettere su come si è costruita una narrazione unilaterale che soffre di strabismo, espressione impiegata in un illuminante articolo di Ilan Pappe, il grande storico ebreo costretto a lasciare Israele per aver denunciato la pulizia etnica a danno dei palestinesi (articolo su The Palestine Chronicle raccolto anche dal “Manifesto”, in data 6 marzo). Un articolo che rappresenta una boccata d’aria. E ci invita a ragionare, invece che a guerreggiare, con le armi e con le parole.

Merita di riflettere che l’attacco russo all’Ucraina ha fatto dimenticare i 15.000 morti nelle regioni russofone di quel Paese. Merita riflettere che la gara di generosità verso gli ucraini (bianchi e cristiani) alla quale stiamo assistendo non ha mai avuto esempi simili a beneficio di afghani, iracheni, sudanesi, o i palestinesi, paria del mondo…

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Reality – Pierluigi Fagan

Zelensky è la Chiara Ferragni della politica internazionale. L’hanno pensato per dire “vedi ce la potresti fare anche tu” e questo piace. Inutile cercare di rompere questo sogno alla gente, la realtà è così brutta che sognare è l’unico balsamo. In più è gratis, o tale si pensa.

Un secondo dopo che accade qualcosa o lui fa accadere qualcosa, madri incinte che sanguinano, centrali atomiche colpite da missili o in blackout, dopo aver parlato con Biden o Johnson ed addirittura Westminster in diretta e solo perché Dio aveva da fare, lui va in video e twitta. Tutti i giorni, più volte al giorno. Ha sempre un testo pronto, ha una intera squadra di spin doctor sotto. E visto che gente manda alle trattative, mi riesce difficile pensare siano ucraini. E vista la pertinenza, la velocità, la struttura della narrazione è ridicolo il solo pensarlo.

Pensate davvero che uno che sta intronato dopo 14 giorni di bombardamento, semi assediato, con la nazione in fiamme milioni di cittadini sfollati, m-i-l-i-o-n-i di donne-vecchi-bambini, invaso da uno dei più potenti eserciti del mondo, con mille ed uno problemi operativi da risolvere o da non risolvere come sfollare per tempo un ospedale di una città che i russi hanno impiegato giorni a cingere d’assedio, è credibile vada in video a fare occhiolino o la versione affranta o quella che urla “maledetti europei date l’assenso alla no-fly-zone, venite dietro al Vostro Capitan Libertà che sto lottando anche per voi!”? Tutti i giorni, più volte al giorno? Davvero riuscireste a farlo? Siate onesti. Dai, non ci credo. Tutto ciò vi sembra credibile?

Lui non è come voi, lui è un attore, non è una critica, è pure bravo, ha energia, empatia e tutto gli si può dire tranne che non sia sveglio. E’ un fatto che sia un attore e se è per questo anche sceneggiatore, regista e produttore, molto produttore. Era la sua professione, ballava anche, faceva ridere, era un attore comico. Ora non più tanto, è passato al genere “tragedy”. Noi mandiamo armi da tutto l’Occidente ad un attore comico che è in politica da quattro anni, presidente da tre di un paese che ha il 133° Pil pro-capite (tra Guatemala e El Salvador, dati IMF2021), ma è già una star mondiale. Ma non è solo, non è solo un giovane bravo attore ucraino, l’uomo qualunque che diventa eroe, forse c’è dell’altro.

Già, Capitan Libertà a capo dell’-unione delle democrazie combattenti- che pensano la loro sia la lotta per la difesa della “democrazia”, l’annunciato programma di politica estera di Biden alle ultime elezioni. Lui è quello che in gergo si chiama “testimonial”.

Sul mio blog, un mio lettore antico m’ha rimproverato benignamente di aver sottovalutato il pallido ed inespressivo botulinato, ho ammesso l’errore. Grave errore aggiungo. Anche lui “puppet on video”. Pupazzi con dietro spin doctor, psicologi cogno-comportamentisti, sceneggiatori. E strateghi degli sceneggiatori che rispondono a chi? Ad interessi. Da capire quali. Interessi di chi? Per cosa? In vista di cosa? Sapete a quel livello le cose funzionano diversamente che al nostro, sono molto complesse, sono gestite da sistemi di persone, il problema è capirne l’architettonica. Voi sapete davvero come funzione il potere nella nazione più potente del pianeta? Siete proprio sicuri-sicuri? E allora perché non guadagnate 500.000 dollari l’anno praticamente esentasse? Siete sprecati, non vi sapete valorizzare, dovreste prendervi un coach.

Tornando alla gratuità del sognare, mi spiace dover prezzare il vostro sogno e dirvi che non è così gratuito come sembra. Esso costa esattamente il totale degli effetti diretti ed indiretti che subirete, e ne subirete credetemi, ne subiremo che non avete ancor idea, gli effetti di quello che è già successo e quello che non si sa cosa altro succederà e per quanto. Costi di energia, pane, fabbriche senza materie prime, negozi chiusi, disoccupati, razionamenti, austerity. Già e dopo due anni di pandemia.

Non è un film, è la realtà che in inglese si dice, appunto, reality. Siete in grado di calcolarli quei costi? Certo che sì, conoscete alla perfezione come funziona la struttura del potere americano, sarete anche in grado di fare un rapido calcolo di predizione economica, politica, sociale, che problema c’è? Allora, visto che siete consapevoli, va tutto bene il reality è la realtà, sognate pure, lui è il Capitan Libertà. E’ la seconda stagione, dopo Capitan Ucraina. Poi ce ne sarà un’altra, vanno per le lunghe e sarà sempre peggio. I reality hanno le loro lungaggini. Sogni d’oro.

A tutti gli altri, benvenuti in un mondo molto complesso in cui c’è chi vuole mettere ordine a modo suo, ma non è detto che sia il vostro. Ad esempio, inviare armi a Capitan Libertà di modo quegli altri si incarogniscano sempre di più e facciano più morti che chiamano più armi. Quando il sistema ha défaillance, spesso ricorrere al keynesismo di guerra, per la prima volta in quasi ottanta anni i tedeschi hanno stanziato 100 miliardi l’anno per le armi! Vi ricordate Trump che ci ordinava di spendere di più in armi che loro si erano stufati di farci da bodyguard? Trump brutto, ma se lo dice Biden è bello, è democratico! Dovevamo fare la transizione ecologica ma il programma è momentaneamente sospeso in favore della riapertura di quelle al carbone. Ora è il momento delle armi. E’ un vecchio classico ed i professionisti dietro Capitan Libertà conoscono bene i grandi classici, è gente che ha studiato. Anche voi avete studiato no? Deve essere la nuova versione del Next Generation per le giovani generazioni, i nostri figli, prima versione pace e rinnovabili, seconda versione guerra e carbone. E’ il “sogno europeo” 2.0, forse l’altro costava troppo, in questo almeno ci si guadagna.

Dedico a coloro che qui mi leggono e che ringrazio per il lavoro di cervello collettivo che operano attivamente coi loro contributi, un filosofo dell’Età assiale, Eraclito, il pezzo finale del famoso primo frammento: “Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo”. Occhi aperti, so che anche a voi l’idea che questo sanguinolento circo ruoti sul Chiara Ferragni ucraino, inquieta. Purtroppo, sì, è inquietante. It’s reality baby!

[Alle lettrici ed ai lettori del post, se volete commentare fateci sapere qualcosa, i giudizi non ci interessano, non siamo un talent, proponete discorsi, pensateci su un po’ su e poi argomentate. Commenti solo polemici verranno cancellati. Attenti ai troll. Non chiedete l’amicizia, non ne posso dare per raggiunti limiti, potete cliccare su follow] DISCLAIMER: non si invade un paese sovrano varcandone i confini con le forze armate. Detto ciò, visto che i più si dedicano a giudicare quello che fa una parte, qui ci dedichiamo per amore di bilanciamento dei poteri à la Montesquieu, all’altra parte, la nostra. Tutto ciò è molto “liberale”.

da qui

 

L’omicidio/suicidio (annunciato) dell’Europa – Fabrizio Marchi

“Il gasdotto Nord Stream 2 è ormai morto, è un grosso pezzo di metallo in fondo al mare, e non credo che possa essere resuscitato”.

Parole della sottosegretaria agli Esteri americana, Victoria Nuland.

Ecco svelata, in poche righe, la strategia americana nel quadrante europeo: separare a tutti i costi l’Europa dalla Russia. Questa è stata ed è la vera finalità del processo di destabilizzazione che gli USA stanno portando avanti in Ucraina da almeno un decennio, oltre naturalmente all’accerchiamento della Russia attraverso l’ampliamento della NATO ai paesi del fu Patto di Varsavia e alle ex repubbliche sovietiche. L’attacco russo in Ucraina è cacio sui maccheroni per Washington perché, da questo punto di vista, non fa che dare un colpo sull’acceleratore alla più che decennale politica statunitense nei confronti dell’Europa.

Per gli Stati Uniti l’Europa è infatti un pezzo fondamentale e strategico dell’impero a cui non possono per nessuna ragione rinunciare.

Per questo avevano già a suo tempo duramente osteggiato il Nord Stream, frutto dell’accordo fra Russia e Germania e fortemente preoccupati per l’eccessiva autonomia che quest’ultima stava sviluppando e in particolare la sua “ostpolitik” (anche se dettata da meri ma fondamentali interessi economici e commerciali).

E’ evidente che l’Unione Europea – nella logica americana – deve restare rigidamente ancorata al blocco anglosassone a guida USA, e prima di esserlo dal punto di vista militare, deve esserlo anche e soprattutto dal punto di vista economico e commerciale. Le relazioni commerciali con la Russia (e possibilmente anche con la Cina) devono quindi essere impedite o comunque ostacolate con ogni mezzo. Cosa di meglio di una guerra, dunque?

Obbedendo ciecamente ai diktat americani e alla politica delle sanzioni nei confronti di Mosca l’Unione Europea si dà la zappa sui piedi e il bello (si fa per dire…) è che ne è anche consapevole. Un po’ la stessa situazione in cui si trovò l’Italia quando aderì, obtorto collo, all’aggressione alla Libia di Gheddafi, con tutte le nefaste conseguenze che questa ha procurato per il nostro paese (oltre che per il popolo libico, naturalmente…). Il governo italiano fu messo in riga allora così come i vertici europei lo sono stati ora. Non che sia stato difficile persuaderli dal momento che stiamo parlando di una classe politica di nani e ballerine, come si suol dire.

Posso sbagliarmi ma ho l’impressione che gli USA cercheranno nei prossimi anni, per quanto potrà essere possibile, una simile manovra di accerchiamento anche in Asia nei confronti della Cina, anche se in questo caso le difficoltà che incontreranno saranno ben maggiori (direi molto maggiori), ma di questo ci occuperemo a tempo debito.

Nel frattempo registriamo la solerzia dell’apparato mediatico occidentale chiamato all’ennesima crociata ideologica finalizzata ad occultare e deformare scientemente la realtà.

da qui

 

Nato e Ucraina: chi provoca chi? – Antonio Mazzeo

Agosto 2021, aeroporto di Kabul, la fuga disordinata dei militari USA ed europei dall’inferno afgano, l’ipocrita abbandono di centinaia di migliaia di rifugiati, disperati ed affamati, alla vendetta di al-Qaida.

Febbraio 2022, crisi Russia-Ucraina, il rischio di una guerra mondiale, totale, nucleare. Nessuno spazio alla mediazione tra le parti. Kiev invoca aiuti ed armi, Washington dice Ok, Roma e la UE indossano mimetiche ed elmetto, pronte a fare la loro parte. Due scenari geograficamente distanti eppure tanto vicini temporalmente. Immagini che sintetizzano bene le incorreggibili contraddizioni della Nato, alleanza militare di cui nessuno in occidente sembra poterne fare a meno nonostante a decidere alla fine è sempre il socio di maggioranza a stelle e strisce. Si fa fronte comune solo contro il nemico di turno: il “terrorismo”, l’orso russo, il dragone cinese. Ma, in verità, le divisioni sono profonde. Regno Unito, Francia e Germania che sgomitano per soffiare agli Stati Uniti un po’ più di potere e di denaro per le industrie belliche nazionali.

Le élite politiche dei paesi dell’Est, iperliberiste e reazionarie, intenzionate a riscrivere la carta del continente confezionata a Yalta dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale. Una piccola potenza regionale, la Turchia, in mano al dittatore di turno, in perenne contrasto con gli “alleati” per la leadership nelle aree di antica vocazione imperiale (la Grecia nell’Egeo, l’Italia e la Francia in Libia, ecc.). La schizofrenia dell’Unione Europea, nata per individuare una terza via alle superpotenze atomiche, ma – nelle fasi cruciali della storia –incapace ad esercitare scelte autonome dall’ingombrante pachiderma Nato.

L’Alleanza che davano per morta alla caduta del muro di Berlino, risorge da ogni umiliante sconfitta sul campo come l’Araba fenice. Dilapida sempre più ingenti risorse umane e finanziarie in nome del dio di tutte le guerre ma i governi al di qua e aldilà dell’Atlantico fanno la fila per testimoniare l’assoluta fedeltà ai “suoi” (presunti) interessi geostrategici. Un’attrazione fatale che non ha risparmiato quei paesi che nei decenni di Guerra fredda hanno interpretato attivamente la neutralità (Svezia e Finlandia), preferendo il dialogo e stemperando le tensioni. Così la Nato post-1989 si è allargata a dismisura cooptando buona parte dei paesi est-europei ex partner Urss, una “provocazione” respinta da Mosca con la militarizzazione dei suoi confini occidentali. Ma l’Alleanza dei “popoli “liberi transatlantici ha fatto di peggio: senza pudore, ha stretto diaboliche alleanze con i petroregimi del Golfo e con i governi dei paesi africani più corrotti, ha rafforzato i legami con la bellicosa Israele, ha esteso i suoi artigli all’America latina per arrestarne i processi di democratizzazione e più equa ridistribuzione delle risorse, scegliendo come gendarme armato la Colombia dell’impunità e del narcoparamilitarismo…

continua qui

 

Zelensky, il vero nemico dell’Ucraina – Alberto Capece

appare chiaramente chi è davvero Zelensky. Perché non ha negoziato con Putin quando ne ha avuto la possibilità? Perché non ha ritirato le sue 60.000 truppe da est? Perché non ha fermato le spedizioni di armi di Washington? Perché non ha attuato il Trattato di Minsk? Perché non ha rifiutato l’offerta di adesione della Nato? Non è difficile rispondere a queste domande: ha agito su ordine di Washington sin dall’inizio e sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto e quante vite avrebbe sacrificato per le mire statunitensi. Sapeva benissimo che avrebbe inflitto  ferite incalcolabili alla sua stessa gente senza alcun motivo e ancor peggio che avrebbe spianato la strada alla dissoluzione dell’Ucraina stessa.

Potremmo domandarci come fa un uomo così a vivere con se stesso.  Ma ancor più come fanno a vivere con se stessi i miserabili che adesso lo esaltano.

da qui

 

https://vimeo.com/510454167

Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il cielo
Immagina che la gente
viva al presente…

Immagina non ci siano paesi
non è difficile
Niente per cui uccidere o morire
e nessuna religione
Immagina che tutti
vivano la loro vita in pace

Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno

Immagina un mondo senza possessi
mi chiedo se ci riesci
senza necessità di avidità o rabbia
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta la gente
condividere il mondo intero

Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno.

da qui

UNA NOTA DELLA “BOTTEGA” SUI NOSTRI DOSSIER

Domenica 13 marzo Ucraina: dati causa e pretesto, le attuali conclusioni   spiegate da Manlio Dinucci

Domenica 13 marzo Morin: sul baratro, ovvero come fare guerra alla guerra una lettera aperta di Edgar Morin

Venerdì 11 marzo La Comunità Europea è una dead union walking con articoli, video, poesie, immagini di Francesco Masala, Vincenzo Costa, Gregorio Piccin, Enrico Euli, EZLN, Sergio Romano, Maurizio Acerbo, Stefano Galieni, Batko Milacic , Marcello Foa, Roberto Musacchio, Jonathan Cook, Gian Luigi Deiana, Ferruccio Brugnaro, Gianni Gatti, Michele Santoro, Bertolt Brecht, Vauro, Gianluca Cicinelli.

Mercoledì 9 marzo Grande è la guerra sotto il cielo. La situazione è pessima con testi, link e video di Lorenzo Guadagnucci, Marco Maurizi, Loris Campetti, Francesco Borgonovo, Gianni Tognoni, Gigi Proietti, Associazione Centro Documentazione Polesano, Fabrizio de Andrè, Jonathan Ng Truthout, Pepe Escobar, Domenico Gallo, Tiziano Cardosi, Wu Ming e Giuseppe Bruzzone.

Martedì 8 marzo  Un altro giorno è andato articoli, link e video di Pino Arlacchi, Francesca Borri, Pasquale Pugliese, Tonio Dell’Olio, Danilo Tosarelli, Marinella Mondaini, Linea d’Ombra, Roberto Vivaldelli, Enrico Euli, Alessandro Orsini, Gianni D’Elia, Matteo Saudino, Carlo Bellisai, Mauro Presini, Geraldina Colotti, Franco Battiato, Lucio Caracciolo, Alberto Sordi. E la petizione “Basta discriminare gli africani che scappano dall’Ucraina“. 

Lunedì 7 marzo in Le persone, gli eserciti, le sanzioni, i gasdotti e… (e quel che potremmo fare) articoli di Sergio Bellucci, Moreno Biagioni, Tonio Dell’Olio, Doriana Goracci e Bruno Vitale. Con una poesia di Marco Cinque e (in coda) alcuni link.

Domenica 6 marzo in Biden scrive a Putin, una guerra tira l’altra e… abbiamo ripreso articoli di Alessandro Ghebreigziabiher, Jonathan Cook, Lea Melandri, Sarah Babiker, Francesco Masala, Lorenzo Guadagnucci, Norma Bertullacelli, Fulvio Vassallo Paleologo e Mauro Armanino con un

Sabato 5 marzo testi di Franco Astengo, Giorgio Beretta con Tommaso Coluzzi, Tonio Dell’Olio, Enrico Semprini; una riflessione di Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci e Alex Sorokin; con un link a un testo – in inglese – di Noam Chomsky) in Ucraina-Russia: Chi lavora per la pace e… .

Venerdì 4 marzo sono apparsi in  CESSATE IL FUOCO! articoli di retepacedisarmo, Donne in Nero Reggio Emilia, Antonio Perillo, Roberto Buffagni, Ennio Remondino, Paolo Desogus, Gianni Lixi, Samed Ismail, Marinella Mondaini, Vincenzo Costa, Umberto Franchi, Michael Roberts, Thomas Mackinson, Matteo Saudino, Sara Reginella, Jeremy Corbyn, Ascanio Celestini, Ernesto Sferrazza, Marco Arturi con video e un film.

Giovedì 3 marzo Ucraina: un pezzo della guerra mondiale con interventi di Patrick Boylan, Giorgio Riolo, Gianluca Cicinelli, Olivier Turquet, Michael Brenner, Vincenzo Costa. Vale segnalare anche Censura e rete: TOR nella guerra Russia-Ucraina di Jolek78 ma anche  Nucleare e guerra: il terrore corre sui media di Giorgio Ferrari.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    A proposito dell’informazione teleguidata interessante sull’ultimo numero di Le Monde Diplomatique – dove l’ottimo db si è cimentato addirittura in due recensioni – questa mattina ho approfondito a pagina 8 e 9 l’ampio resoconto di Damien Lefauconnier ” Vittime civili in Iraq e Siria”.Le cifre, zitti, zitti, sono da far accapponare la pelle : dal 15 marzo 2011 al 14 marzo 2021 sono state stimate 594.000 persone presumibilmente uccise in territorio siriano dalla coalizione internazionale guidata dagli USA e dalla Russia.La liberazione di MOSUL è costata 9000 civili uccisi a colpi di mortaio, raid aerei, ecc..Tra il 2014 e il 2015 si sono verificate nei due paesi 75.000 incursioni aere. Per non trovarsi impreparati in un prossimo futuro, a cura di Philippe Lemaire, da non perdere l’articolo ” Il club dei cinque affronta la Cina “,che si diffonde sulla rete segreta di scambio automatico di informazioni denominata ” cinque occhi “. La rete segreta è nata nel 1943, sono solo cambiati nel tempo i nemici da combattere, per riprendere l’ ottimo articolo ” Quattro lezioni dall’Ucraina ” dello storico Ille Pappe, apparso su Il Manifesto del6 c.m .

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