«Droit au but»: libro-fotografico di Nino Romeo

   La recensione di Farid Adly; a seguire la prefazione di Daniele Barbieri

Il cattivismo disumano – in voga in questi tempi bui dell’Italia e dell’Europa dei nazionalismi, miopi e smemorati – non cancella la nostra umanità. Non rendono cieche le nostre coscienze di uomini liberi. Tutti sanno che l’emigrazione è insita nella storia di tutte le civiltà umane del passato e che in questa epoca è drammaticamente strutturale e non potrà mai essere fermata con leggi e ordinanze.

Lo sguardo appunto. E’ ciò che ha messo in campo Nino Romeo con la sua macchina fotografica e il suo senso di non rimanere alla superficie delle cose. Di naufragi e di guerre è piena la cronaca dei giornali e delle emittenti radio e tv, ma della rotta Nord Africa Sardegna si sa poco. Eppure è frequentata, con motovedette che partono dalla Tunisia, dall’Algeria o dal Marocco e arrivano nell’arco di una notte nelle vicinanza delle coste sarde dove scaricano, con piccole barche sgangherate a qualche centiniao di metri dalla spiaggia, il loro carico umano e poi fanno velocemente ritorno. E quell’ultimo miglio di acque, molte volte, è stato fatale per i cercatori di speranze.

Fa bene Daniele Barbieri a ricordare nella prefazione la storia delle migrazioni e del colonialismo. L’Italia ha occupato con la forza delle armi terre africane (Libia, Eritrea, Somalia, Etiopia) e per almeno un secolo le popolazioni italiane, non solo dal Sud, ma anche dal Veneto, sono emigrate verso nuovi mondi; e aggiungo verso la Tunisia, anche prima del fascismo, quando quell’emigrazione aveva assunto la connotazione politica.

La memoria collettiva è corta e annulla nell’oblio le faccende negative del passato, se non viene stuzzicata da impulsi di conoscenza, come ho trovato in questo libro-catalogo fotografico “Droit au but”. Le 18 foto a colori che ci presenta non catturano corpi o situazioni drammatiche di naufragi ma ci mostrano le tracce del passaggio fatale di uomini e donne che forse non sono più fra noi. In mezzo a una natura sarda mozzafiato, l’obiettivo di Nino Romeo non sceglie il bello ma si adagia su una scarpa rotta, su pezzi di legno di una barca in frantumi, su reti di pesca stappate, vestiti stracciati e valigie vuote. Nel suo cuore si muove la bontà e di riflesso commuove noi lettori-osservatori.

L’emigrazione è il risultato di secoli di sfruttamento coloniale dell’emisfero sud e dell’attuale economia capitalistica dominante. Lo scambio ineguale ha portato alla povertà, alle dittature e alle guerre. Allo stesso tempo, l’immigrazione è ricchezza per le società ospitanti. Sottoscrivo le parole di Giuseppe Deiana: «… la grande isola del Mediterraneo (la Sardegna) ha bisogno di nuove braccia per lavorare e di nuove intelligenze per progettare un futuro liberato dalle servitù militari…». Queste parole ci portano dritto al cuore delle ragioni strutturali dell’immigrazione: l’esportazione di armi dai Paesi industrializzati verso i Paesi del sud del mondo, per poter pareggiare le bilance commerciali e pagare le risorse energetiche e minerarie quotidianamente rapinate. Il caso della Rwm è soltanto un esempio. L’Italia ha continuato infatti a esportare armi all’Arabia Saudita, malgrado la legge 185 del 1990 che vieta le esportazioni di armi verso Paesi belligeranti.

La guerra è morte del corpo e dell’anima. A testimonianza è la sorte toccata al mio Paese, la Libia, che a causa della guerra ha subìto trasformazioni inimmaginabili fino a pochi anni fa: da Paese accogliente e ospitale a un inferno spietato per i fratelli migranti.

Questo libro ha un altro pregio, oltre all’eccellente veste grafica curata da Marco Costa e illustrato da Tiziano Perotto: è quello di essere dedicato al sostegno economico per un progetto di sanità di base rivolto a chi non ha la copertura del sistema sanitario nazionale, l’AMP (Ambulatorio Medico Popolare) di Milano.

Sono tasselli di bellezza che nell’insieme formano un quadro promettente: l’umanità è viva e lotta insieme a noi.

PER SAPERNE DI PIU’ (ma anche per ordinare copie del libro o per organizzare presentazioni):

abnormaledizioni@gmail.com

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Fra Occidente e Mondo di Sotto

di Daniele Barbieri

Sono nato il 3 ottobre. Dunque per me quel giorno è stato sempre di festa soprattutto quando riuscivo a stare con persone care. Fino al 3 ottobre del 2013 quando, a poche miglia dal porto di Lampedusa, un naufragio provocò 368 morti (più 20 “dispersi” che quasi certamente vuol dire morti anche loro) di fronte a 194 tratti in salvo. “I salvati e i sommersi” come il titolo di un libro di Primo Levi che parlava d’altro o forse no perché sempre di fascismi si tratta.

Migranti

Quei 368 (più 20) morti erano migranti. Come lo furono – e tornano a essere – molti italiani e italiane.

Quasi tutti i sommersi e/o salvati del 3 ottobre a Lampedusa venivano dall’Eritrea;. qualcuno dall’Etiopia che per i nostri padri/nonni significò intonare “Faccetta nera”: strofe stupide e sessiste ma non abbastanza razziste da piacere al fascismo che ordinò di riscrivere il testo (vietare la canzone sarebbe stato controproducente, ormai era sulle bocche).

Dal 2014 quando settembre sta per finire non penso più “fra pochi giorni è il mio compleanno” ma mi si stringe il cuore ricordando che è passato un (altro) anno dalla strage di Lampedusa… e nel Mediterraneo ancora si muore.

Clan-Destini

Visto che non c’è un modo legale – se non sei ricco – per arrivare in Occidente si prendono i barconi, da clandestini. O si fanno lunghi viaggi di terra che a confronto le imprese di Ulisse-Odisseo fanno quasi ridere. Se sono immigrati, extracomunitari, sans papiers (senza documenti) è meglio per il ricco Occidente. Sarà più facile ricattarli: sul lavoro, per gli affitti o nel costringere donne e ragazzi a subire stupri e/o a prestazioni sessuali “omaggio”. E se i media (quasi tutti, di certo i più importanti) quando parlano di migranti e profughi usano sempre l’espressione «noi e loro» quel martellamento quotidiano induce a credere che questi “extra” in fondo hanno poco a spartire con chi sta nella “bella Italia, amate sponde”. Il giochetto «noi e loro» serve a non sentirsi in colpa pagando i lavoratori (o le badanti) da schiavi, sbattendoli in carcere anche se non commettono reati ecc e facilita lo sport di zombi che in nome della “difesa della razza” (che non esiste e dunque è ignoranza: “razza di ignoranti” che sono, ignorazza) picchiano 10 contro 1 e si sentono pure eroi.

Siamo tutti Eritrei

A proposito di razze (che non esistono, è scientificamente dimostrato) in qualche manifestazione solidale ho sentito intonare – e ho convintamente ripreso – lo slogan “siamo tutti eritrei”. Chi lo scandisce dice il vero per tre ragioni: siamo solidali (e dunque obbligati ad agire di conseguenza) con chi è nata/o dalla parte sbagliata del mondo; come italiani ci vergogniamo di padri e nonni che invasero l’Eritrea, l’Etiopia la Libia e la Somalia massacrando anche con i gas: infine siamo davvero tutti africani… alla lontana perché lì è nata la specie umana. Forse non tutti ricordano che quando Albert Einstein, in fuga dalla Germania razzista, arrivò negli Usa gli chiesero di riempire una “carta d’ingresso” dove fra l’altro doveva specificare «la razza». E lui dette l’unica risposta corretta: “razza umana”.

Enea non fa rima solo con assemblea

Qui in Italia non solo dimentichiamo di essere un popolo di emigrati (e purtroppo di colonizzatori) ma persino quello che malamente si studia a scuola. Anni fa il gruppo Assalti Frontali rappò di un’assemblea scolastica dove a Enea viene un’idea… se non la conoscete ascoltatela qui: Assalti frontali-Enea super rap (original) – YouTube . Ma un altro Enea è nei libri di testo: venne qui da migrante, in fuga da una guerra. Siamo nipoti di profughi. Essere una penisola in mezzo al mare vuol dire: migranti anche noi; discendiamo dai profughi; crocevia di esodi e di invasioni. Cos’altro significano i cognomi Morelli, Mori, Morini, Moro… se non che da sempre siamo “bastardi” (in senso buono) cioè ibridi, meticci?

Io lo chiamo Uccidente

Sono nato e vivo in quella parte del mondo che di solito viene definita Occidente ma io credo giusto chiamarla Uccidente. Dal verbo uccidere. La storia dell’Uccidente si è nutrita di ideali e affari, di stragi e bellezze, di armi e conquiste sociali, di solidarietà e roghi. A volte insegnavamo qualcosa al resto del mondo (concetto vago)… più spesso rubavamo, a volte imparavamo. Dentro ogni storia – personale o collettiva – ci sono infinite possibilità. Non era scritto che l’Occidente diventasse Uccidente come non obbligatoriamente i fascismi o gli stalinismi dovevano trionfare. Neppure è scritto che una difficile democrazia si trasformi in democra-tura (cioè in parte dittatura). Tanto meno è scritto che gli italiani ingannati dai potenti caschino nella trappola di far la guerra ai migranti invece che capire chi davvero sfrutta e inganna noi come loro. Se scriveremo la storia futura potremo/potremmo non essere più Uccidente, rifiutare il mondo di sopra che opprime chi sta sotto.

Sar-Degna

Questa prefazione nasce perché Marco mi scrisse di «guardare e fotografie di un caro amico, Nino Romeo. Sono immagini di una regione alla quale credo tu sia particolarmente affezionato (la Sardegna)… segni/tracce dei migranti che approdano sull’isola». Ho vissuto e lavorato 5 anni in Sardegna, lì mi sono sposato (per combinazione con una veneta) e lì è nato nostro figlio. Dell’Isola non amo solo i luoghi ma anche la gente. Mi pare che mediamente – spero di non fare razzismo a rovescio – la gente sarda sia più capace di solidarietà dell’italiana/o “tipo” (se pure esiste). Mi piace quell’aggettivo che chiude il nome dell’Isola: (Sar-)degna.

Nino Romeo

Bellissima – e necessaria – la ricerca di “segni-tracce” fatta da Nino Romeo. Per me è un piacere fare una piccola prefazione al suo lavoro. Non sono uno studioso (o appassionato) di fotografia come è uno dei miei omonimi. Ma credo che gli “indizi” visivi ci aiutino nella ricerca della verità (che scrivo rigorosamente minuscolo).

(San) Sperate

Migranti e profughi in Sardegna ne arrivano pochi (relativamente) ma i loro segni sono importanti. Altri vogliono, come Nino Romeo, cercare e evidenziare le tracce, fare memoria. Come per il viaggio di 20 maghrebini che nell’agosto 2006 arrivano in quest’Isola dei “quattro mori”: la loro barca oggi è nel paese di San Sperate, grazie a un’idea di Antas Teatro: restaurata dai volontari, simbolo di un viaggio di paura e speranza. Speranza (san) Sperate, speriamo e agiamo: voci del verbo irregolare (e decisivo) “restare umani”.

Redazione
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2 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    Giustamente Sandro Veronesi, uno degli intellettuali più impegnati contro la barbarie razzista,segnala in uno dei suoi ultimi interventi che “I morti in mare sono il risultato della crudeltà del sistema capitalistico “.

  • lo sapevate? Diceva corrado Guzzanti quando interpretava Vulvia di rieducational channel ….
    Ebbene i nord africani sbarcano in Sardegna da migliaia di anni sempre nello stesso posto, e cioè intorno a Capo Teulada che in tempi moderni è territorio militare. Da sempre gli abitanti di quel territorio vengono chiamati Maureddini. Chissà perchè?
    Davvero siamo orgogliosamente Ariani?

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