Due case e due misure a Roma

di Gianluca Cicinelli

Nel giro di pochi giorni a Roma due case sono state negate ai legittimi destinatari, ma con esiti assolutamente diversi.

Il primo caso, ormai arcinoto, nel quartiere Don Bosco, periferia sud. Il signor Ennio esce di casa per fare delle analisi impegnative, che richiedono di stare vicino alla struttura sanitaria, va per qualche giorno ospite del fratello in un altro quartiere e quando torna trova la casa occupata da una signora di origine Rom aiutata da altre persone. Per fortuna si mobilità l’intero quartiere, persino la magistratura accelera i tempi, in tre settimane il signor Ennio può rientrare nell’appartamento scortato dalle forze dell’ordine e, seppur con danni notevoli da affrontare, possiamo dire per una volta che il lieto fine c’è.

Cambiamo scenario, ci spostiamo al quartiere San Basilio, periferia est, dove a una famiglia Rom, i signori Zehera e Nhao, rispettivamente di 78 e 79 anni, insieme alla loro figlia disabile Miki, 62 anni, è stato legittimamente assegnato un appartamento dell’Ater. La famiglia proviene dal campo di via Salviati, tramite una sorta di autorecupero pagano di tasca loro i lavori di manutenzione della casa per poi scalare il costo dagli affitti. Anche in questo caso il quartiere si è mobilitato, ma per impedire alla famiglia di Rom di prendere possesso dell’alloggio legalmente assegnato, una casa ridotta in pessime condizioni e al limite dell’agibilità. I cosiddetti “residenti”, come vengono chiamati dai giornali, hanno cambiato la serratura di casa, esattamente come aveva fatto la signora Rom che occupava illegittimamente l’appartamento di Don Bosco con il proprietario reale, usando come pretesto che la zona già ospita troppi stranieri. A Zehera, Nhao e Mika non è rimasto altro da fare che guardare da lontano gli esagitati. Anche in questo caso sono intervenute le forze dell’ordine, ma, al contrario della situazione precedente, non sono riusciti a far rispettare la legge.

L’altra differenza con la vicenda di Don Bosco è che di Zehera, Nhao e Mika da domani non parlerà più nessuno, non ci saranno mobilitazioni dei fanatici della legalità, per i giornali non faranno più notizia, e, soprattutto, non entreranno nella casa che gli era stata legalmente assegnata.

Non occorre essere osservatori sofisticati per mettere in relazione i due fatti identici e la palese ingiustizia del secondo caso, eppure nè giornali nè politici dedicano un solo accostamento alle due vicende. Sarebbe semplice farlo ma è politicamente pericoloso e inopportuno, fa perdere voti e copie di giornale, non porta nessun beneficio schierarsi per il rispetto del diritto a difesa della famiglia Rom con la stessa giusta fermezza usata nel caso del signor Ennio.

Anzi, meglio non ricordare che già nel 2019 a Casal Bruciato, sulla direttrice che conduce a Pietralata, ci fu una sommossa popolare con barricate e cassonetti date alle fiamme sempre per impedire che un’altra famiglia Rom prendesse possesso dell’alloggio regolarmente assegnato. E subito dopo a Torre Maura, periferia sud est, a causa di un centro d’accoglienza non voluto dai residenti, con scontri, una roulotte incendiata e i panini portati da un’organizzazione umanitaria ai Rom calpestati dai solerti cittadini in favore di telecamera.

Non è un problema di ordine pubblico, è un problema politico a tutto tondo, dove non c’è chi è a favore e chi è contro qualcosa, ma esiste un’unica posizione che fa comodo a tutti: non se ne deve parlare. E’ la veltroniana cultura di mettere sotto il tappeto i cocci di una città con un tessuto sociale ormai decomposto. Come quando venne ripulita in una notte la sponda del Tevere sulla Magliana dove sarebbero passati gli ospiti internazionali del Festival del cinema, un centinaio di persone sgombrate, rinchiuse illegalmente in un deposito Ama, identificate e buttate per strada. Così è stato affrontato il sociale a Roma negli ultimi venti anni. Così continuerà a essere affrontato, a meno che il sindaco Gualtieri si dimostri diverso dai suoi predecessori.

ciuoti

2 commenti

  • A Roma, da anni vige un regime di Apartheid per Rom e Sinti rinchiusi nei cosiddetti “villaggi della solidarietà” ovvero “campi nomadi” sempre più degradati e sempre più somiglianti a lager con tanto di ingressi sorvegliati dalle forse dell’ordine che spesso controllano i sacchetti della spesa delle donne di ritorno dal supermercato dove si recano di sera dopo aver raggranellato un po’ di euro durante il giorno. Il caso segnalato da Cicinelli non è l’unico se ne sono verificati tanti: è roba di ordinaria amministrazione. Vi sono sentenze del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione, del tribunale civile di Roma che dichiarano illegali ei campi nomadi e luoghi di discriminazione etnica . Ma non hanno avuto alcun effetto. I rom e i Sinti continuano ad essere segreati, discriminati e sgamberati. Molti vivono sotto i ponti e all’addiaccio, E’ una vergogna che non fa scandalo.
    Nino

  • Il pezzo di Gianluca Cicinelli riporta l’ultimo episodio di discriminazione razziale a carico di Rom venuto all’onore delle cronache. Ve ne potremmo raccontare molti altri, noti solo agli “addetti ai lavori” perché ignorati dai mezzi di informazione. Ne basti uno, quello accaduto a M.A. Dopo aver già tentato altre volte di ottenere una visita pediatrica che attesti la buona salute del figlio – in mancanza del quale il bambino continua a non poter frequentare la scuola – sabato scorso si è presentata alle 10, come le era stato detto il giorno prima, all’apposito sportello di una ASL Le è stato detto di ripresentarsi più tardi perché c’era troppa gente e c’è il Covid. Si è trattenuta nei pressi e si è ripresentata più tardi ma di rinvio in rinvio, venuta l’ora di chiusura, le è stato detto che era ormai troppo tardi ed avrebbe dovuto prendere un appartamento.

    E’ accettabile che ciò accada a Roma, Capitale della Repubblica Italiana, nell’anno di grazia 2021?

    Ed è accettabile che né le forze dell’ordine intervenute, né l’Apter, né il competente ufficio di Roma Capitale si diano carico di porre fine al sopruso raccontato da Cicinelli di cui è vittima una famiglia Rom? Poiché si tratta di una delle tante seguite da Marco Brazzoduro presidente di Cittadinanza e Minoranze – che per altro era presente all’accaduto – sono in grado di informarvi che la famiglia Rom, spaventatissima, non ha alcuna intenzione di entrare nell’appartamento assegnatole, come sarebbe suo buon diritto, perché non in grada per l’età e le condizioni di salute di effettuare una prova di forza.

    Secondo voi è esagerato dire che a Roma nel 2021 Rom e Sinti vivono sotto un un regime di aparheid? Che dura almeno dal 2008 quando un Governo di questa Repubblica dichiarò l’esistenza di un’.

    A nulla è valso che Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, rispettivamente nel 2011 e nel 213 ne abbiano dichiarato l’inesistenza. Tutto è continuato come prima.

    Ma si capisce: sono zingari

    Nino

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