due poesie di Wislawa Szymborska

1

Torture 

Nulla è cambiato.

Il corpo prova dolore,

deve mangiare e respirare e dormire,

ha la pelle sottile, e subito sotto – sangue,

ha una buona scorta di denti e di unghie,

le ossa fragili, le giunture stirabili.

Nelle torture di tutto ciò si tiene conto.

Nulla è cambiato.

Il corpo trema, come tremava prima e dopo la fondazione di Roma,

nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,

le torture c’erano e ci sono, solo la Terra è più piccola

e qualunque cosa accada, è come dietro la porta.

Nulla è cambiato.

C’è soltanto più gente,

alle vecchie colpe se ne sono aggiunte di nuove,

reali, fittizie, temporanee e inesistenti,

ma il grido con cui il corpo

ne risponde era, è

e sarà un grido di innocenza,

secondo un registro e una scala eterni.

Nulla è cambiato.

Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.

Il gesto delle mani che proteggono il capo

è rimasto però lo stesso,

il corpo si torce, si dimena e si divincola,

fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,

illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.

Nulla è cambiato.

Tranne il corso dei fiumi,

la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.

Tra questi paesaggi l’anima vaga,

sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,

a se stessa estranea, inafferrabile,

ora certa, ora incerta della propria esistenza,

mentre il corpo c’è, e c’è, e c’è

e non trova riparo.

da qui

 

La gioia di scrivere 

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi a un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola «bosco».

Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.

In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.

 

(Traduzione di Pietro Marchesani)

da “Uno spasso” (1967), Libri Scheiwiller, 2009

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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