E’ Natale in casa Scrooge ovvero i proto-viaggi nel tempo

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

In periodo natalizio mi vengono in mente cose che in altri momenti non sarebbero possibili poiché le feste solleticano le corde del bambino giocoso dentro di me.
Così penso ai viaggi nel tempo, uno dei generi della fantascienza che amo di più. La mia mente corre alle opere scritte prima del romanzo «La macchina del tempo» di Herbert George Wells, in particolare a «Un canto di Natale» (“A Christmas Carol”, 1843) il bellissimo romanzo breve di Charles Dickens. E’ uno dei più noti romanzi del ciclo del Natale, una serie di storie che include anche «Le campane» (“The Chimes”, 1845), «Il grillo del focolare» (“The Cricket on the Hearth”,1845), «La battaglia della vita» (“The Battle for Life”, 1846) e «Il patto col fantasma» (“The Haunted Man”, 1848).
Dickens qui usa l’espediente del viaggio nel tempo per fare in modo che il ricco, tirchio e avido Ebenezer Scrooge riveda la propria vita, votata solo all’egoismo e all’accumulo fine a se stesso, portandolo a una redenzione morale. L’uomo nuovo Scrooge si risveglia dal “viaggio” compiuto con il fantasma dei natali passati, con una infanzia priva di affetti, tornando ai natali presenti, dove vede il proprio operato egoistico andare ai danni del suo dipendente, e fino ai natali futuri, dove si vede morto e odiato da tutti.
Una critica alla società spietata e senza mezzi termini quella che Dickens propone, miscelando sapientemente il racconto gotico con l’impegno nella lotta alla povertà e allo sfruttamento minorile, attaccando l’analfabetismo: problemi esasperati proprio dalla «Poor Law» (Legge contro la povertà) un comodo tappabuchi tanto inefficace quanto dannoso ideato dalle classi dette “abbienti” ma che si potrebbero anche definire “prendenti”.
Di diverso andazzo – pur con interventi satirici a proposito dei cambiamenti politici e sulle rivoluzioni che alla fine non cambiano nulla – ecco il racconto «
Rip Van Winkle» (1819) di Washington Irving, contenuto nella sua raccolta «Il quaderno degli schizzi di Geoffrey Crayon».
Le vicende sono ambientate poco prima (1770) e poco dopo (1790) la rivoluzione americana e hanno per protagonista una specie di pigro perdigiorno di origini olandesi, tale Rip Van Winkle, il quale per sfuggire alla moglie brontolona si rifugia in un bosco montano non molto distante da New York, dove si addormenterà addossato a un albero. Si risveglierà 20 anni dopo, trovando tutto cambiato: giunto a casa, scopre che la moglie è morta e quasi tutti i suoi amici sono partiti in guerra e mai più tornati. Si mette nei guai affermando di essere un degno suddito di re Giorgio III, non sapendo che nel frattempo le Colonie hanno ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito. La figlia ormai adulta lo ospita in casa e Rip riprende le vecchie abitudini da pigrone. Molti del villaggio, credendo fedelmente al viaggio nel tempo che Rip Van Winkle ha compiuto, si augurano di poter andare nei boschi e incontrare la stessa sorte.
Di ben altra pasta è il romanzo di proto-fantascienza utopico «
Guardando indietro, 2000-1887» (“Looking Backward: 2000-1887”) di Edward Bellamy. Venne tradotto in italiano a partire dal 1890 in varie edizioni – anche con i titoli «Nell’anno 2000. Racconto americano», «L’avvenire!? Uno sguardo dal 2000» – e osannato da molti marxisti e nientemeno da Erich Fromm come uno dei romanzi americani di maggior rilievo mai scritti, tanto che egli ebbe modo di dire: «è uno dei pochi libri mai pubblicati che hanno creato quasi subito al suo apparire un movimento politico di massa».
Julian West, un uomo sofferente d’insonnia che si faceva curare con l’ipnosi, nel 1887 cade addormentato in un profondo sonno, risvegliandosi solo dopo 113 anni nella Boston del 2000, dove tutto appare cambiato. Mentre dormiva, gli Stati Uniti si sono trasformati in un’utopia socialista. Il resto del libro descrive i pensieri di Bellamy su come migliorare il futuro. Fra i temi principali vi sono i problemi associati al capitalismo, una proposta di soluzione socialista per una nazionalizzazione di tutte le attività, l’utilizzo di un “esercito industriale” per organizzare la produzione e la distribuzione, il modo di garantire una produzione culturale libera.
Il giovane trova facilmente una guida, il dottor Leete, che gli mostra i dintorni e gli spiega tutti i progressi di questa nuova era, compresa la drastica riduzione delle ore di lavoro per le persone che svolgono lavori umili e una consegna quasi istantanea delle merci (analoga a quella oggi mediata da Internet). Ognuno va in pensione con i benefici completi a 45 anni e può mangiare in una qualsiasi delle cucine pubbliche. La capacità produttiva dell’America – nel senso degli Usa – è proprietà nazionale e i beni della società sono equamente distribuiti ai suoi cittadini. Gran parte del libro è costituita dal dialogo fra Leete e West che esprime la sua confusione su come funziona la società futura mentre l’altro per rispondergli utilizza metafore o confronti diretti con la società del XIX secolo.
Ma dov’è questo mondo? Credo di essermi svegliato nella realtà sbagliata, però non è affatto una cattiva idea la nazionalizzazione dell’industria e dei proventi equamente ripartiti fra tutta la popolazione che contribuisce con il lavoro. Come non è una brutta cosa lavorare tutti e lavorare meno per dedicarsi alle attività creative e ricreative belle e positive, creare una maggiore solidarietà; in sostanza barattando la “roba” di Mastro Don Gesualdo con qualcosa di infinitamente più positivo: la libertà dal salario e dalla schiavitù del lavoro.
Dopo questo bellissimo romanzo storico – che parla dal futuro per dare una bella svegliata al presente – ecco per concludere il libro di Mark Twain che più ho amato, «
Un americano alla corte di Re Artù» (“A Connetticut Yankee at King Arthur’s Court”, 1889) che è stato omaggiato in un doppio episodio emozionante e divertente di «Star Trek: The Next Generation» oltreché nella serie televisiva «MacGyver», anche qui con un doppio episodio titolato «MacGyver alla corte di Re Artù» (“Good Knight MacGyver”).
Il protagonista del romanzo di Twain è Hank Morgan, comune cittadino di Hartford nel Connecticut, che misteriosamente – per mezzo di una “trasmigrazione delle anime” e “trasposizione di epoche e di corpi” – si trova trasportato indietro nel tempo, fino all’Inghilterra medioevale del leggendario Re Artù (l’anno esatto è il 528). Grazie alla propria conoscenza della tecnologia del XIX secolo, Morgan viene scambiato per un mago, creando un vero e proprio scompiglio temporale e molti paradossi che porteranno a situazioni incresciose, in nome del cosiddetto progresso.
Umorismo e satira la fanno da padrone in un romanzo che ha influenzato la letteratura di genere e non solo, basti pensare al recente «
Timeline» di Michael Crichton. Anche il film di Massimo Troisi e Roberto Benigni «Non ci resta che piangere» (1985) riprende lo schema dell’opera di Twain, in questo caso ambientandolo in pieno Rinascimento, dove i due portano scompiglio incontrando un curioso ma interdetto Leonardo Da Vinci che ne uscirà traumatizzato.
Dopo venne H. G. Wells, ma questa – come si suol dire – è un’altra storia, che già ho raccontato in un precedente post e che mi riservo di completare, se mai sarà possibile vista la vastità della materia, in un’altra occasione.
PER APPROFONDIRE:
Paul Davies, “Come costruire una macchina del tempo” (“How to Build a Time Machine”), Mondadori, 2003.
David Deutsch, Franck Lockwood, “La fisica quantistica del viaggio nel tempo”, in “
Le Scienze” numero 309, maggio 1994.
Ronald Mallett, “Time Traveler: A Scientist’s Personal Mission to Make Time Travel a Reality”, Thunder’s Mouth Press, 2006.
Marcus Chown, “The Universe Next Door”, Review, London, 2003.
J. Richard Gott, “Time Travel in Einstein’s Universe: The Physical Possibilities of Travel Through Time” (“Viaggiare nel tempo: La possibilità fisica di spostarsi nel passato e nel futuro”, Mondadori, 2002.
Paul J. Nahin, “Time Machines: Time Travel in Physics, Metaphysics, and Science Fiction”.
Frank J. Tipler, “Rotating Cylinders and the Possibility of Global Causality Violation”, in
Physical Review D 9 (1974), 2003.
Renato Giovannoli, “La scienza della fantascienza”, Bompiani, 1991, cap. VI-VII.

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