E se a Colombo fischiassero le orecchie?

«La conquista dell’America – Il problema dell’altro» di Tzvetan Todorov / Un consiglio di lettura – di Giulia Abbate – per il #columbusday e oltre

Il 12 ottobre 1492, Cristoforo Colombo con le sue caravelle toccò terra sull’isola che i suoi abitanti chiamavano Guanahani, e che lui ribattezzò San Salvador, sancendone il possesso della Spagna.

E quelli allora, co’ bone maniere,
Dice: – Sa? Noi venimo da lontano,
Per cui, dice, voressimo sapere
Si lei siete o nun siete americano.

– Che dite? fece lui, de dove semo?
Semo de qui, ma come sò chiamati
‘Sti posti, fece, noi nu’ lo sapemo. –

Cesare Pascarella, “La scoperta de l’America”, XXX

Iniziava così una nuova pagina nella storia di due continenti, che avrebbe influenzato, tanto nel bene quanto nel male, lo sviluppo del genere umano.

Molti secoli dopo, una bambina del tutto insignificante, curiosa e appassionata di storia, ascoltò la maestra di quinta elementare raccontare la conquista dell’America in un modo nuovo.

Non solo il viaggio per mare, la scommessa geografica, l’avventura, la “scoperta”, ma anche quello che seguì: le atrocità che i conquistadores perpetrarono ai danni delle popolazioni.
La maestra lesse in classe una delle testimonianze di Bartolomeo De Las Casas, che si incise a fuoco nella mente della bambina: alcuni spagnoli incontrarono sul loro cammino una donna nativa incinta, la sventrarono e diedero lei e il suo povero feto in pasto ai cani.
(Ripeto, fu letta a una quinta elementare: altri tempi…)

La bambina ero io, e come tesina per l’esame di quinta (altri tempi!) decisi di preparare un elaborato sulle principali civiltà precolombiane spazzate via dalla venuta europea. Decisi anche, ma questo all’esame non lo dissi, di non fidarmi più dei libri di storia canonici e delle versioni ufficiali, ma di cercare sempre la voce di tutti, anche di chi, data in pasto ai cani, una voce non l’aveva avuta.

Oggi è il Columbus Day: e sono molto felice e sollevata di assistere, anno dopo anno, a una rimessa in discussione di una data che non può più essere considerata un trionfo della civiltà o che dir si voglia, ma è anche e soprattutto l’inizio di una brutale spoliazione, di un genocidio drammatico che oggi ha ancora e di nuovo una voce. La voce dei popoli nativi ancora sopravvissuti, ancora discriminati, che gridano la loro presenza non solo per le vittime, ma per l’intera umanità. Dunque oggi è, anche e soprattutto, il Giorno della Resistenza Indigena: #indigenousresistanceday.

Ho ripreso in mano il saggio di Todorov perché contiene molto di tutto questo: umanità, persone native, conquistadores, versioni ufficiali, testimonianze inascoltate, punti di vista e tante, tante voci.

Todorov analizza le fonti originali, i diari di Colombo, le memorie dei conquistadores, gli scritti e le testimonianze dei nativi, per darci una storia a più voci, e per portarci con sé, un passo alla volta, nel problema esistenziale ed esperienziale della scoperta dell’altro.

Risemo sempre lì… Famme er piacere:
Lui perchè la scoprì? Perché era lui.
Si invece fosse stato un forestiere
Che ce scopriva? Li mortacci sui!

Cesare Pascarella, “La scoperta de l’America“, XXX

Scoprire, conquistare, amare, conoscere: ecco le tappe prefigurate da Todorov in questa storia esemplare di contatto con l’altro.
Un processo che non è ideale, ma fattuale, e ci dà l’opportunità di riflettere su come arriviamo all’ultima meta, la conoscenza, unica che può portare a una relazione.

Prendo in considerazione la conquista del sapere, anche se lo faccio per resistere al potere.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Scoprire.

In questa sezione, Todorov racconta dei primi contatti tra Colombo e i nativi, attraverso i suoi diari e quelli dei suoi marinai, per ricavare un’ermeneutica, ovvero una modalità di conoscenza.

Colombo, spiega Todorov analizzando le sue memorie, non vede davvero i nativi, li considera oggetti, meno interessanti di piante e animali; e soprattutto trova solo ciò che già cerca, ciò che vuole vedere, molto simile in questo a un uomo del Medioevo, lui che il Medioevo l’ha idealmente chiuso.

Come può Colombo essere associato a questi due miti apparentemente contraddittorii, quello nel quale l’Altro è un “buon selvaggio” (quando è visto da lontano) e quello nel quale esso è uno “sporco cane”, uno schiavo in potenza? Il fatto è che entrambi i miti si fondano su una base comune, il disconoscimento degli indiani e il rifiuto di considerarli un soggetto che ha gli stessi nostri diritti, ma è diverso da noi. Colombo ha scoperto l’America, non gli americani.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Conquistare.

Ci addentriamo qui in territori diversi: non più l’ermeneutica dei conquistatori, ma la modalità con cui i nativi, in particolare gli aztechi, hanno integrato nei loro sistemi l’arrivo di questi esseri del tutto nuovi, apparentemente umani, fondamentalmente alieni.

La figura tragica di Moctezuma, affrontata in altra sede da Italo Calvino con una “intervista impossibile”, è messa nel suo contesto: un contesto in cui il mondo è segno di qualcosa di immutabile che va solo decodificato, e non può essere cambiato.

In questo mondo rivolto al passato, dominato dalla tradizione, sopraggiunge la conquista (…). Essa introduce un’altra concezione del tempo, antitetica a quella degli aztechi e dei maya. (…)
Poiché il tempo si ripete, la conoscenza del passato conduce a quella del futuro; o meglio, si tratta della stessa cosa. (…)
Da questo urto tra un mondo rituale e un avvenimento unico deriva l’incapacità di Moctezuma di elaborare messaggi appropriati ed efficaci.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Il terribile Cortes è tra i primi a capirlo, e Todorov ci spiega perché la sua strategia di conquista si dimostra vincente: perché è efficace, semplicemente, nel capire la mentalità degli “alieni” e nel comunicare davvero con loro.
Peccato che sfrutti tutto questo per una predazione sanguinosa.

La sua condotta, si potrebbe dire schematicamente, si organizza in due tempi. Il primo è quello di un interesse per l’altro, anche al prezzo di una certa empatia o identificazione provvisoria. (…)
Sopraggiunge allora il secondo tempo, nel corso del quale egli non si accontenta di riaffermare la propria identità (a cui non ha mai realmente rinunciato), ma procede all’assimilazione degli indiani nel proprio mondo.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Amare.

Ci sono figure, fin dall’inizio della conquista, che agiscono in modo diverso da Cortes, e inorridiscono per i crimini europei come per quelli aztechi.

Proprio Bartolomeo De Las Casas, e i suoi correliglionari che molto si batterono per i popoli nativi, sono per Todorov il punto di partenza per analizzare una nuova modalità di conoscenza, o “figura dell’aterità”: quella dell’amore, che purtroppo perde la sua battaglia contro la conquista, e anzi, finisce a fondare la mentalità colonialista dei secoli successivi.

Perché i difensori degli indigeni non riescono a conoscerli e capirli davvero, ma proiettano su di essi le proprie categorie, le proprie interpretazioni, facendone feticci da salvare, buoni selvaggi da redimere, cristiani potenziali senza alcuna autonomia di pensiero. Mai soggetti autonomi.

Il postulato di uguaglianza sbocca in un’affermazione di identità, e la seconda grande figura dell’alterità (…) ci fornisce una conoscenza dell’«altro» ancor minore di quella fornitaci dalla prima.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Conoscere.

In questa ultima, cruciale sezione, Todorov ci racconta altre due voci meno conosciute delle precedenti.

Diego Duràn è un domenicano che si trova solo tra i nativi e con loro deve vivere per molto tempo: diventa qualcosa di nuovo, ne soffre, si smarrisce, ma riesce nelle sue memorie a darci esempi di inter-cultura, di decrittazione di codici diversi, di comprensione delle nature che dopo molte traversie egli sente convivere in sé, suo malgrado.

Il francescano Bernardino de Sahagùn invece è un evangelizzatore convinto, fonda scuole, insegna ai nativi a scrivere, e registra scrupolosamente le loro credenze, le loro lingue, i loro miti… e nella convinzione che si debba eradicarli, finisce invece per registrarli ai posteri. Spesso, nelle sue righe cerca persino di spiegarli, di “tradurli” per le menti occidentali, spesso giustificandone le ragioni e rifiutandosi di considerare diabolici dei sistemi che sono, semplicemente, altri modi di rivolgersi al sacro.

Attraverso esempi così diversi si afferma una medesima proprietà: una nuova esotopia (per dirla alla Bachtin), un’affermazione dell’esteriorità dell’altro che va di pari passo con il suo riconoscimento come soggetto.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

La conquista dell’altro che si è verificata con la colonizzazione europea delle Americhe, sfociata in una distruzione dalla violenza immane, ha avuto un prezzo molto, molto alto.

(Ce ne parla un’altra filosofa, Silvia Federici, che in “Calibano e la strega” situa proprio nella colonizzazione americana una tappa fondamentale dell’accumulazione capitalista e della distruzione di molti “altri” – le donne sapienti, la civiltà dei beni comuni – nel proprio stesso continente.

Il corpo delle donne, quel corpo a cui si paragona spesso la terra, viene stuprato: metaforicamente con le guerre di conquista, materialmente con le innumerevoli violenze sulle donne native. Ma in Europa quello stesso corpo di donne viene esautorato, represso, bruciato, per permettere l’accumulazione del capitale e il consolidarsi di un nuovo sistema repressivo basato sulla proprietà e sulla produzione.)

Anche Todorov prefigura conseguenze pesanti pure sulle spalle dei carnefici, nelle ultime, intense pagine del saggio.

(E qui, altra parentesi, mi viene in mente Ursula K. Le Guin, che in una postfazione al romanzo “Il mondo della foresta” – dove racconta in chiave fantascientifica di un’altra brutale invasione, quella del Vietnam – conclude che dalla scrittura del romanzo ha imparato che potrebbe anche trovarsi nei panni di vittima, ma mai si augurerebbe di stare in quelli del carnefice.)

Scrive Todorov:

La civiltà occidentale, dimenticando l’estraneità dell’altro esteriore, si trovava un altro interiore. Dall’età classica fino alla fine del romanticismo (cioè fino ai giorni nostri) gli scrittori e i moralisti non hanno cessato di scoprire che la persona umana non è una, o che addirittura non esiste, che l’io è altro o una semplice camera a eco.
(…)
La storia esemplare della conquista dell’America ci insegna che la civiltà occidentale ha vinto, fra l’altro, grazie alla sua superiorità nella comunicazione umana; ma ci insegna anche che questa superiorità si è affermata a spese della comunicazione col mondo.
(…)
Sappiamo di non volere più la morale (immorale) del “tutto è permesso”, perché ne abbiamo sperimentato le conseguenze; ma dobbiamo trovare dei divieti nuovi o una motivazione nuova degli antichi divieti, se vogliamo percepirne il senso.

 

Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America – Il Problema dell”altro'”, Einaudi

Comunicazione umana, comunicazione con il mondo: sono due poli di un movimento dialettico anche delle nostre anime, che sotto emergenza climatica e pandemia mondiale è urgente cercare, conoscere, praticare in noi e nei nostri sistemi.

Non possiamo rimediare al male fatto, ma dobbiamo raccontarcelo in modo diverso, almeno, per prenderci cura di ciò che rimane, senza annullarlo né fisicamente, né metaforicamente.

La bambina che ero aveva bisogno di trovare “La conquista dell’America“. Lo ha letto senza fiato, fin dalle prime righe… fin dalla dedica, anch’essa finita a incidersi nel cuore, per sempre.

“Dedico questo libro
alla memoria di una donna maya divorata dai cani.”

 

Tzvetan Todorov

 

Giulia

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