«E’ sorprendente quanto il passato possa essere contemporaneo»
di Lella Di Marco
RILEGGENDO UN NUMERO DI «DIARIO» (LA RIVISTA CREATA DA ENRICO DE AGLIO): MEMORIA E RIFLESSIONI PERSONALI FRA PAROLE E IMMAGINI
Le parole sono dentro le pagine, le pagine dentro i libri che raccolgono testimonianze e riflessioni e i loro autori parleranno per sempre, di crudeltà torture deportazioni ma anche di lotta, disobbedienza, antagonismo, speranza, solidarietà, bisogno di libertà e di una terra come luogo che li rappresenti.
Riporterò le stesse parole usate dagli autori dei diversi articoli come bagliori di luce negli anni della Shoah . Emozioni che sono diventate Storia.
Difficile raccontare il dolore e ripercorrerlo, dolore maggiore anche per il pensiero rivolto all’attualità. Mi soffermerò soltanto sull’allora giovane romanziere Jonathan Safran Foer (e sul suo bisogno di attingere alla memoria per una maggiore consapevolezza) e sulle riflessioni di Hannah Arendt che nel suo reportage sul processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann scopriva nell’orrore una terribile normalità indicandola come «banalità del Male».
Frammenti di storia che danno il senso della complessità… Shoah: il silenzio delle Chiese, la persecuzione, le varianti dell’antisemitismo, le deportazioni e gli spettacoli pilateschi. Il racconto di una delle pagine più infamanti dell’umanità.
C’erano tre milioni e mezzo di ebrei in Polonia e trecento mila a Varsavia. Ora non ce ne sono più. Nella seconda guerra mondiale morirono anche più di due milioni di polacchi non ebrei. Oggi la Polonia è lacerata dal suo passato antisemita. Il libro di Jan Gross sul massacro di Jedwbne afferma, con attenta e comprovata documentazione, che la carneficina di ebrei compiuta in quel villaggio nel luglio 1941 non fu opera dei nazisti ma dei “vicini di casa” cattolici. La veridicità della ricerca è stata confermata dall’Istituto per la memoria nazionale che ha documentato almeno altri venti massacri realizzati in altrettanti villaggi da polacchi cristiani contro polacchi ebrei. Si è trattato di responsabilità personali e corresponsabilità di “ariani”: di un continente, delle sue religioni, delle sue culture. Si definirono non ebrei e liquidarono quelli che avevano definito ebrei.
Nuovi documenti raccontano come forse la Shoah italiana si poteva evitare. Dalla metà del 1943 gli ebrei degli Stati Uniti avevano intuito una possibile via di salvezza indicando agli ebrei italiani: la salvezza è al Sud. Il discorso diplomatico passò al Vaticano – era Papa Pio XII – ma le risposte furono lente e contraddittorie. Oltre ai silenzi e alle complicità delle gerarchie ecclesiastiche ci furono alcuni sacerdoti (pochi) che cercarono di salvare gli ebrei.
Il 7 aprile 1944 due ebrei evasero in modo rocambolesco dal sottocampo di Birkenau e raccontarono cosa avevano visto e passato.
Nel marzo 1944 ambienti della resistenza polacca riuscirono a far sapere al loro console a Istanbul che nelle camere a gas di Auschwiz erano stati uccisi 850 mila ebrei. Se gli Alleati avessero bombardato subito i forni crematori molti ebrei probabilmente si sarebbero salvati.
Nelle foto naziste si vedono lager “modello” con ebrei sorridenti (costretti a sorridere) come fossero in un parco. Nel 1941 gli architetti della soluzione finale hanno già cominciato a gettare le basi del loro criminale piano di sterminio. I primi campi di concentramento sono già attivi in Germania e Auschwitz entrerà in funzione l’anno successivo. Intanto a Theresienstadt cominciano ad affluire ebrei da gran parte dei territori occupati dall’esercito con la croce uncinata: Boemia, Moravia, Austria, Olanda, Danimarca. In seguito alle proteste del governo danese che chiede spiegazione delle deportazioni ci sarà un’ispezione di due esponenti della Croce rossa Internazionale… Non si ottiene nulla in quanto i nazisti avevano messo in scena una curatossima farsa con ebrei che lavoravano sorridenti (dietro minaccia di immediata fucilazione se non avessero ubbidito): così il lager pulito e abbellito fu spacciato come residenza degli ebrei.
Si verificano anche casi di grande coraggio e solidarietà fra i non ebrei… Accadde in Italia che uno psichiatra piemontese salvasse, con discrezione, molti ebrei dichiarandoli pazzi e ricoverandoli in clinica; o che in un paesino vicino Lecce transitassero per la Palestina numerosi ebrei salvati dall’Est europeo.
Accade pure che alcuni villaggi già liberati venissero bombardati per realizzare un film, come a Pantelleria e a Castelnuovo al Volturno. Terre risparmiate dalla guerra vera furono distrutte dagli americani in stile kolossal per realizzare documentari bellici. Ciak, si bombarda! Nella finzione bellica furono affondati sei piroscafi partiti da Gibilterra per rifornire Malta e si narra di riunioni del comando USA con i registi di Combat Film (*)… anche perché il materiale girato in Africa era stato perduto, finito per una distrazione in fondo al mare. Era molto più comodo bombardare dall’alto senza far rischiare ai soldati veri. Il bombardamento a tappeto di Pantelleria fu anche un esperimento. E si sa che sconfiggere il nemico soffocandolo di bombe dall’alto significa rischiare poco o nulla.
Si leggeva anche in «Diario-Memoria» di qualche italiano diventato “scafista” che comprò navi per trasportare ebrei in Palestina, a suo rischio e pericolo.
Luoghi in cui si combatteva e si moriva; Cassino, il passo della Futa, Anzio, Salerno… Una geografia di morte, di battaglie, di stragi a freddo, di prigionieri, di ostaggi. Per cinque anni l’Italia di Mussolini fu in guerra e per due anni poi l’Italia fu violata, attraversata, devastata dalla violenza bellica. Vennero a combattere in Italia da tutti gli angoli del mondo: statunitensi, francesi, tedeschi, inglesi, neozelandesi, indiani, polacchi, algerini, brasiliani, nepalesi… Dal luglio 1943 al maggio 1945 il fascismo che aveva inseguito i suoi deliri imperiali in terre lontane portò la guerra sull’uscio delle nostre case in un turbinio di stragi naziste (15 mila vittime civili). Gli Alleati – chiamati invasori da alcuni e liberatori da altri – guardarono all’Italia come a un Paese vinto. E si comportarono di conseguenza.
Oggi i luoghi di morte sono diventati luoghi di memoria. La loro geografia ridisegna gli sbarchi (Anzio, Gela, Salerno) poi le interminabili soste sulla «linea Gustav», il lungo inverno sui contrafforti della «linea gotica», il dilagare nella pianura padana delle armate … Oggi in quei posti restano soltanto cimiteri: unico lascito duraturo di tutte le guerre. Luoghi consacrati al dolore e al ricordo. Spesso le croci indicano odi mai sopiti, delitti mai espiati. Così per le sepolture delle vittime delle stragi tedesche. Alla fine la furia dei nazisti contro i civili italiani fece registrare 400 episodi di uccisioni collettive e un totale di 15 mila vittime. Ma dei 400 casi accertati di stragi SOLTANTO DUE DIEDERO LUOGO A PROCESSI CON CONDANNE ESEMPLARI: A HERBERT KAPPLER PER LE FOSSE ARDEATINE E A WALTER REDER PER MARZABOTTO.
Poi il dopoguerra. Subito dopo la caduta del fascismo e la sconfitta dei tedeschi i giovani, soprattutto loro, dovevano conoscere cos’era accaduto e così conoscere se stessi. Ci furono percorsi personali di ricerca ma la tendenza fondamentale condusse verso la classe operaia e contadina. Scoppiò un interesse frenetico per la sociologia, si scoprirono i modelli stilistici americani che incoraggiarono il neorealismo nella letteratura italiana; un nuovo modello umano ispirato a Hemingway, Faulkner , Caldwell conducendoci a Pratolini, Vittorini, Pavese … Nasceva il mito del proletariato e della fabbrica e con essa la letteratura in rapporto all’industria.
Personalmente ricordo la produzione letteraria di Paolo Volponi e il proporre non una ideologia ma una connotazione – un luogo – dove fare emergere non una èlite operaia ma tutto il proletariato che avrebbe dovuto continuare nel processo di liberazione. Modo forse ingenuo di pensare che nel tempo ha mostrato i suoi limiti.
La Resistenza Continua cioè AVREMMO DOVUTO LIBERARE LA VITA POLITICA ITALIANA. IL MALE E’ QUELLA LENTA INVOLUZIONE DEGLI SPIRITI PER CUI NON C’E’ PIU’ DISTINZIONE ( MORALE) TRA PARTIGIANI E BRIGATE NERE.
Come pensare il futuro … nel quale siamo tutt* chiamati in causa: gli ebrei di oggi , gli antifascisti di tutto il mondo, le giovani generazioni, i nuovi scrittori.
Mi incuriosisce il romanziere Jonathan Safram Foer, allora ventenne, che ebbe a dichiarare all’inizio del 2000: E’ SORPRENDENTE QUANTO IL PASSATO POSSA ESSERE CONTEMPORANEO. La cultura contemporanea è piena di effimero: nei suoni, nelle immagini e idee, C’è appena il tempo di riconoscere e godere quello che abbiamo di fronte che già l’abbiamo alle spalle. Il futuro – ma c’è chi (per esempio in questa “bottega”) parla invece di un «presente immobile») – sembra l’unico tempo verbale che conta. Eppure c’è una sorta di insistenza degli scrittori della mia generazione a non perdere la strada che ci ha condotto fino a questo punto. Il giovane narratore vuole conoscere, capire prima di andare avanti, scoprire analogie e differenze tra passato e presente, decifrare un passato che gli appartiene e che ha reso l’infanzia e l’adolescenza difficilissime. Spera in un mondo pacifico.
Qui e ora noi che pensieri abbiamo? Come vogliamo progettare e agire per un mondo migliore, tenendo conto in modo critico (e non soltanto emotivo) delle recrudescenze neonaziste con gruppetti armati in alcune città italiane che si ispirano alle teorie di Pino Rauti e alle orribili pratiche terroristiche che ne derivarono.
Concludo con le parole (molto sagge anche se un po’ affrettate nella forma e con le quali concordo) riprese da una discussione amichevole via mail con un amico (Dimitris Argilopoulos) docente di pedagogia speciale all’ Università di Parma . «La situazione è tragica e l’intervento pubblico inesistente … La descrizione degli eventi e il passaggio dal folclore a essere gruppi armati non sono minimamente considerati. Procedere per affrontare una realtà sempre più scivolosa all’estremo non è nella testa di nessuno. Mi ricordo un vecchio scritto di Franco Berardi (**) intitolato Come curare il nazi. Di certo occorrerebbe un’azione di contenimento tale da interrompere il percorso di adesione e scivolamento; e insieme a questa una presenza (nostra) per contrastare l’emotività che crea adesione… Anche una presenza significativa politicamente e culturalmente che si inserisce nelle ritualità istituzionali (Giornata della Memoria) potrebbe essere notevole per informare e produrre riflessioni e pensiero. E’ un male che spesso le ricorrenze istituzionali rimangano soltanto celebrazioni. La giornata della memoria poi, in questi tempi di pandemia … è al “minimo garantito”. Manca in generale una narrazione “ostinata e contraria” e le sinistre si trovano senza ethos per rincorrere soltanto una moda che attiri giovani “non considerati” appiattiti sulla dimensione di un esistente triste, senza prospettiva e speranza».
FONTI : WIKIPEDIA E RICORDI PERSONALI
(*) «Combat film» venne realizzato da cineoperatori militari durante i combattimenti; parteciparono talvolta grandi registi come John Huston e Billy Wilder. Le immagini girate durante la campagna d’Italia dagli operatori della Quinta Armata americana furono trasmesse su Rai 1 (a cura di Leonardo Valente e Roberto Olla) nel 1994 e l’anno dopo divenne un’omonima collana di VHS, edita dalla Rai e dal gruppo Bramante.
(**) Franco Berardi detto BIFO è insegnante, filosofo studioso, intellettuale, attivista.
Splendido e prezioso ! Ne diffonderò il link !!
mi scuso per un errore commesso involontariamente
la mail che cito a conclusione del mio scritto è del prof Dimitris Argiropoulos ….e non Argilopoulos .. avrei dovuto conoscere l’importanza. per i greci, di quella R-r come da EROS se addirittura il poeta greco Odiseas Elytis, premio Nobel ha scritto una poesia intitola l’ere di Eros
probabilmente è il mio inconscio di siciliana che rifiuta le ERRE consonanti pesanti e forti del dialetto della terra in cui sono nata e cresciuta.
Impegno di Madre Angela Dusi e delle Suore Orsoline
nella Resistenza (cfr Cor Unum Aprile 2020 pagina 6 – N° 1)
Testo letto il 7 marzo 2022 da Madre Cecilia Serina al Giardino dei Giusti di Brescia
Fare memoria dei GIUSTI, per la loro collaborazione alla Resistenza, è dovere di tutti, ma soprattutto di noi che abbiamo avuto l’opportunità di conoscerli e di guardarli come possibili modelli da imitare.
Ma chi sono questi “giusti”? Sono persone “comuni”. Qualcuno dice “né santi né eroi”, ma io penso che siano un po’ l’una e l’altra cosa. Infatti hanno avuto il coraggio di sfidare le leggi degli oppressori per difendere la giustizia, cioè per difendere i diritti dell’uomo, come la libertà e la sua dignità. Infatti a nessuno è permesso di opprimere l’altro. L’altro, ogni altro, è “mio fratello”, e tutti insieme siamo chiamati a costruire “la civiltà dell’amore”, come ci insegnava il nostro Santo Papa bresciano, Paolo VI.
L’altra parola su cui vorrei soffermarmi è “GIARDINO”. Chiamare questo spazio “giardino” è molto significativo e poetico insieme, perché un giardino richiama i fiori, tanti colori, bellezza. E non c’è fiore più bello di una persona che si spende per il prossimo ed è pronta a rischiare anche la vita per esso.
Le persone ricordate in questo spazio sono proprio persone “belle” in questo senso, perché persone riuscite, generose, capaci di farsi dono agli altri.
Oggi sono qui a rappresentare le mie consorelle del passato che hanno percorso in modo mirabile la strada della donazione dei “giusti”. In particolare sono qui a ricordare Madre Angela Dusi (Brescia 1904 – Brescia 1995) che per me, personalmente, è stata prima insegnante di matematica, alla scuola media, e poi consorella per lunghi anni nel mio convento.
La ricordo come una persona minuta, piccola di statura, ma di grande intelligenza, sempre attiva, capace di arrivare a tutto e a tutti, pronta nel trovare una soluzione ai problemi più diversi, ma soprattutto esperta nel consolare e nel seminare bontà.
In convento, né io né le altre sorelle con me l’abbiamo mai sentita parlare del suo operato come “donna della Resistenza o partigiana” durante la seconda guerra mondiale. Non si è mai lasciata sfuggire racconti su quegli anni difficili e rischiosi. Nemmeno quando non correva più nessun pericolo e magari avrebbe potuto regalarsi uno spicchio di gloria.
Lei e le poche sorelle rimaste a Brescia con lei, durante la guerra, sette o otto in tutto (mentre la maggior parte delle suore e le educande erano sfollate a Gussago), hanno considerato naturale e doveroso quanto hanno fatto. Nulla di eccezionale secondo loro, perché il vero “giusto” ama per amare, non certo per la gloria.
Solo più tardi, attraverso le cronache della Casa, abbiamo scoperto qualche particolare su quel periodo. Per esempio questo, che riteniamo molto illuminante.
Dicono le Cronache del 17 luglio 1944:…………………
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