Ecuador: gli schiavi della fibra abacá

L’impresa giapponese Furukawa tiene i lavoratori in una condizione di vera e propria schiavitù senza alcun diritto

di David Lifodi

  Foto di un campamento tratta da La barra espaciadora

La fibra di abacá, conosciuta anche come canapa di Manila, è una tra le fibre tessili più durevoli. Utilizzata nell’industria tessile, per la fabbricazione delle reti da pesca, come materiale per le funi delle navi ed assai resistente, rappresenta una enorme fonte di guadagno per l’impresa giapponese Furukawa, stabilitasi da oltre 50 anni in Ecuador. Il paese latinoamericano è il secondo produttore mondiale, dopo le Filippine, nella produzione di abacá, ma quella che potrebbe essere considerata come una fonte di reddito e di guadagno rappresenta anche una maledizione per centinaia di lavoratori. Donne, uomini e perfino bambini lavorano senza alcuna condizione di sicurezza poiché Furukawa Plantaciones non solo non se ne fa carico, ma ha costruito delle vere e proprie maquiladoras dove i lavoratori vivono e lavorano in una situazione di vera e propria schiavitù.

La storia di sfruttamento dei lavoratori di abacá è stata raccontata nel dettaglio sul sito web La barra espaciadora. Sul corpo di molti abacaleros sono ben visibili i segni di mutilazioni dovute a incidenti provocati dall’essere costretti a lavorare senza protezione adeguata per un lavoro così ad alto rischio. In Ecuador Furukawa conta su 32 haciendas distribuite soprattutto nelle province di Esmeraldas e Los Ríos. Il suo amministratore delegato, Marcelo Almeida Zuñiga, giura di avere alle sue dipendenze poco meno di 200 lavoratori, ma in realtà sono molti di più. Già console onorario della Norvegia in Ecuador, Almeida si è sforzato di garantire che i lavoratori godono di tutto l’occorrente per l’estrazione di abacá, guanti, indumenti e maschere protettive, ma la realtà è un’altra. La maggior parte degli incidenti accade quando gli abacaleros utilizzano la macchina che serve per togliere le fibre superflue all’abacá. Spesso succede che i lavoratori perdano un braccio o una gamba, anche se l’impresa garantisce che gli incidenti non sono molto frequenti.

Definita dalla Fao come la “fibra del futuro”, l’abacá serve a Furukawa perché l’impresa fa affari d’oro, ma negli accampamenti dove vivono i lavoratori la vita è molto difficile. Gli abacaleros e le loro famiglie abitano in piccole e precarie costruzioni dove mancano i servizi minimi essenziali: gran parte delle abitazioni non hanno né i servizi igienici né l’acqua. Manca anche la luce elettrica e, come testimonia il reportage de La barra espaciadora, c’è un solo generatore elettrico esterno che funziona per sole tre ore, alla fine della giornata, in ogni singolo accampamento. L’acquisto del combustibile, come è facile immaginare, non è a carico dell’impresa, ma dei lavoratori. Gli abacaleros guadagnano tra i 200 e i 300 dollari al mese, la maggior parte delle famiglie non riesce a mandare i figli a scuola e coloro che sono nati negli accampamenti sanno a stento scrivere il proprio nome. Inoltre, gran parte degli abacaleros non hanno nemmeno il documento di identità perché nati all’interno degli accampamenti e spesso le famiglie, nel tentativo di migliorare leggermente la loro disastrosa situazione economica, sono costrette e far lavorare nell’impresa anche i figli più piccoli.

I campamentos sono costruzioni fatte da blocchi di cemento dove vivono abacaleros, in gran parte analfabeti, costretti a vendere l’abacá raccolta soltanto a Furukawa, nonostante non ci sia alcun contratto che sancisce la loro dipendenza dall’impresa. Coloro che affittano i campamentos sono soltanto dei lavoratori che fanno da intermediari tra gli abacaleros alle loro dipendenze e l’impresa e, grazie a questo sistema, Furukawa si libera facilmente di ogni obbligo nei loro confronti e può sostenere che non si tratta di loro dipendenti. Addirittura, se accade un incidente all’interno di un campamento, cosa assai frequente, spetta all’affittuario portare il lavoratore infortunato presso un centro sanitario pubblico o privato e pagare per le sue cure con la cifra che l’impresa gli consegna ogni quindici giorni e che deve essere ripartita tra tutti i suoi lavoratori subordinati. In pratica, l’impresa subaffitta i lavoratori ai capi dei campamentos, in modo tale da non figurare come datrice di lavoro.

L’abacá è di origine filippina, ma è stata importata in Ecuador dalla famiglia giapponese dei Furukawa. La direttrice generale dell’impresa è la filippina Orpha M. Noveno. Tra i clienti principali di Furukawa Ahlstrom Chirnside, una ditta inglese specializzata nella produzione di materiali a base di fibra, ma anche la giapponese Toyota Tsusho Corporation, del gruppo Toyota.

L’impresa Furukawa è ritenuta il peggior caso di violazione dei diritti umani e sindacali in Ecuador. Invisibili, nascoste nei campamentos, intere generazioni sono nate e cresciute in condizioni subumane, vittime dell’impresa. Attualmente, secondo la Defensoría del Pueblo, pur non essendoci alcuna forma di censo interna a Furukawa, ci sono almeno 400 bambini che abitano con le famiglie in una situazione precaria assieme alle loro famiglie. Aquí nacimos y aquí nos criamos y seguimos aquí, dicono sconsolati gli abacaleros. La Defensoría ha visitato per tre volte, negli ultimi tempi, gli stabilimenti di Furukawa, riscontrando tutte le volte una situazione tipica di una schiavitù moderna che le istituzioni ancora non sono riuscite ad estirpare.

Il reportage completo, sul sito web de La barra espaciadora, è leggibile qui in spagnolo: Los esclavos invisibles del abacá 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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