Ecuador: la sfida degli indigeni al presidente Rafael Correa

di David Lifodi

È partita il 2 agosto la marcia “Per la vita, la dignità e la libertà”, promossa dalla Confederazione nazionale degli indigeni dell’Ecuador (Conaie): non si tratta di una semplice manifestazione di protesta nei confronti dell’esecutivo Correa, ma potrebbe sfociare in un vero e proprio levantamiento. L’arrivo dei marciatori indigeni a Quito è previsto per il 13 agosto, giornata prescelta dalle centrali sindacali per lo sciopero generale.

Il governo del presidente Rafael Correa è considerato erroneamente di sinistra, ma, nel corso degli anni, sono state molteplici le fratture tra i movimenti indigeni, le organizzazioni sociali e ambientaliste e Palacio de Carondelet: stavolta pare che il vaso sia davvero colmo. La stessa convocazione della marcia non è casuale, ma la sua proclamazione è stata decisa per ricordare la prima sollevazione indigena avvenuta nel 1990. Allora la mobilitazione indigena si batteva per il riconoscimento di uno stato plurinazionale, ma oggi, nonostante la Costituzione riconosca la plurinazionalità, in realtà molti dei diritti che in teoria dovrebbero tutelare le stesse comunità indigene sono solo sulla carta. Se venticinque anni fa la lotta era condotta dalle organizzazioni indigene quasi in solitudine, adesso buona parte dei movimenti sociali chiedono che il presidente Rafael Correa lasci l’incarico, pur coscienti che, alle prossime elezioni presidenziali del 2017, la destra potrebbe approfittarne e riportare il paese nell’orbita liberista, anche se, a voler essere precisi, il paese già sta pian piano scivolando verso questa deriva. Sono in molti a notare che questo governo, aldilà dell’attuale crisi politica che sta vivendo Alianza País, il partito del presidente Correa, non è stato espressione delle lotte sociali, ma, grazie ad un abile discorso comunicativo, ne ha intercettato i bisogni per poi smarcarsi sempre di più dalle rivendicazioni popolari. Da un lato, Correa e i suoi collaboratori hanno accettato di varare una Costituzione che, tra le altre cose, riconoscesse lo Stato plurinazionale e il Sumak Kawsay (il buen vivir dei popoli indigeni), ma dall’altro, trascorsa la luna di miele con i movimenti sociali, si sono immediatamente alleati con l’oligarchia terrateniente e con le transnazionali. È in questo contesto che, mentre da un lato si sbandierava, a parole, la tutela dei diritti indigeni e della biodiversità, dall’altro si promuoveva lo sfruttamento petrolifero intensivo dello Yasuní e da Palacio de Carondelet partiva una vera e propria campagna di criminalizzazione dei movimenti sociali. E ancora, le stesse Ley de tierras e Ley de agua, ufficialmente approvate per venire incontro alle richieste indigene, in realtà suonavano come molto ambigue, per non parlare del recente Trattato di libero commercio firmato con l’Unione Europea, che in pratica apre le porte all’invasione del paese da parte delle imprese specializzate nell’estrazione mineraria e petrolifera. Correa ha seguito il triste e stantio schema dei suoi predecessori: ha accusato le comunità indigene di essere manovrate da agenti esterni e di fare il gioco della destra, ma in realtà il presidente non ha mai inteso riflettere davvero su un  cambio radicale che coinvolgesse lo sviluppo agrario, solo per fare un esempio. Le possibilità che la marcia “Per la vita, la dignità e la libertà” si trasformi in una sollevazione popolare sono concrete, considerando che già nel 2014 la marcia indigena “Per l’acqua e la vita” era stata definita un avvertimento al presidente. La Conaie ha proclamato il diritto alla resistenza e le centrali sindacali hanno già preannunciato un’occupazione pacifica delle strade di Quito per il 13 agosto. Difficilmente i presidenti che hanno sfidato la Conaie ad una prova di forza sono riusciti a sopravvivere dal punto di vista politico. Nel 1997 il presidente Bucaram fu costretto a dimettersi a seguito dello sciopero nazionale sulla cui riuscita ebbe un ruolo determinante la stessa Conaie che, nel 2000, riuscì a far cadere un altro presidente fantoccio manovrato dagli Stati Uniti, Jamil Mahuad. Correa non è una semplice pedina manovrata dagli Usa, però è altrettanto evidente come il suo progetto di sviluppo del paese non sia andato nella direzione immaginata dai movimenti sociali, che pure all’inizio della sua avventura presidenziale riponevano in lui una grande speranza. Le accuse di Ecuarunari, la Confederazione degli indigeni kichwa, una delle tre che costituiscono la Conaie, sono pesanti. In particolare, il governo autodefinitosi della Revolución Ciudadana, è stato accusato di tradimento, a partire dalla militarizzazione del paese, dalla riduzione dei diritti conquistati dagli indigeni in decenni di lotte e, per finire dall’aver abdicato alla difesa della sovranità nazionale aprendo alle grandi corporations impegnate nel promuovere l’agrobusiness, costruire centrali idroelettriche e miniere a cielo aperto. Inoltre, la Conaie non intende limitarsi ad una lunga lista di critiche nei confronti di Correa, ma intende promuovere una raccolta firme per l’indizione di un referendum popolare allo scopo di far revocare l’incarico al presidente. Non solo. La Conaie si rivolge a tutti i movimenti sociali, alle organizzazioni di sinistra e “a tutti i settori storicamente sfruttati” per dar vita ad una nuova Assemblea Costituente e ad un vero stato plurinazionale, sconfessando in pratica quanto fatto finora dal presidente Correa.

Per Rafael Correa (rieletto due anni fa con un ottimo 58%) e Alianza País si preannuncia un verano caliente.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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