Ecuador: ritirato il paquetazo. E adesso?

Gli 11 giorni di levantamiento sono stati all’insegna di una rivolta non solo contro Lenín Moreno, ma nei confronti del Fondo monetario internazionale e delle politiche escludenti ai danni delle fasce sociali più deboli del paese. L’insurrezione di ottobre potrebbe esseresolo la prima di una lunga serie.

di David Lifodi

Dal 15 ottobre scorso in Ecuador il prezzo del combustibile e quello del trasporto pubblico sono tornati ai livelli antecedenti al paquetazo di Lenín Moreno, dopo 11 giorni di mobilitazione popolare alla quale il presidente ha risposto con una durissima repressione. Conosciuto anche come decreto 883, il paquetazo era stato ratificato dal presidente in cambio di un prestito da 4.200 milioni di dollari da parte del Fondo monetario internazionale su impulso del ministro delle Finanze Richard Martínez senza alcun dibattito. Per difendere il paquetazo, il governo aveva schierato circa 25mila militari e 50mila poliziotti in uno scenario che avrebbe anticipato di pochi giorni la battaglia campale di Santiago del Cile tra studenti e movimenti sociali da un lato e carabineros dall’altro. Tra i principali responsabili del terrorismo di stato la ministra de Gobierno María Paula Romo e il ministro della Difesa Oswaldo Jarrín. La Confederación de Nacionalidades Indígenas dell’Ecuador (Conaie) chiede l’immediata rimozione di entrambi, ritenendoli tra i principali responsabili dei morti, delle centinaia di feriti e delle violenze di cui sono rimasti vittime i manifestanti.

Secondo i dati della Defensoría del Pueblo, nei tumulti susseguitisi dal 3 al 13 ottobre a Quito e nelle altre città del paese, ci sono stati 8 morti, 1.192 fermati e 1.340 feriti. La mobilitazione contro il paquetazo, nata inizialmente dalle comunità indigene, dal Frente Popular e dal Frente Unitario de Trabajadores, pian piano ha visto la partecipazione dei settori urbani e, in certi casi, anche di una parte della classe media, al grido di “Quito aguanta, el pueblo se levanta!”. Per contro, Lenín Moreno per giorni ha ripetuto che dietro ai disordini di Quito si nascondevano l’ex presidente Rafael Correa, del quale la Conaie è in realtà un’acerrima nemica a causa delle sue politiche estrattiviste, Maduro e perfino la guerriglia colombiana delle Farc.

In realtà, sottolinea il dirigente della Conaie Jaime Vargas, da quando Lenín Moreno ha vinto le elezioni non c’è stato alcun passo avanti per quanto riguarda i diritti indigeni poiché la sua unica ossessione è stata quella di perseguitare il movimento correista Compromiso Social – Revolución Ciudadana. Molti dei suoi esponenti, a partire dai membri del Congresso Gabriela Rivadeneira, Soledad Buendía e Carlos Viteri, tra gli altri, hanno chiesto asilo politico all’ambasciata messicana di Quito. Arrestata anche la prefecta della provincia di Pichincha Paola Pabón, inizialmente vicina a Moreno per poi passare al correismo a seguito della rapida svolta a destra del presidente. Si trova in Messico in qualità di esiliato politico anche l’ex cancelliere di Correa, Ricardo Patiño.

Difficile capire cosa potrebbe succedere adesso. Il paquetazo è stato ritirato, ma restano le rivendicazioni della società civile, a partire da quelle contro le privatizzazioni delle imprese pubbliche, l’ondata di licenziamenti, le politiche di austerity, la precarizzazione del lavoro. In una lunga e interessante intervista rilasciata al sito web brasiliano Correio da Cidadania, l’analista politico Decio Machado ha evidenziato che, aldilà della retorica antimperialista, Correa mai aveva messo in dubbio le gestione neoliberista del paese ereditata dai suoi predecessori, anzi, e soprattutto nello scorcio finale della sua presidenza si era spinto fino a firmare un trattato di libero commercio con l’Unione europea. Moreno, a sua volta, nel tentativo di far tornare i conti dell’economia nazionale, ha promosso allora il paquetazo, scatenando definitivamente la rabbia di vasti settori sociali urbani marginali, molti dei quali giovani, che in breve tempo si sono uniti alla lotta promosso dalla Conaie insieme agli studenti e al protagonismo del movimento femminista.

Come il Cile era definito la tigre latinoamericana per via della sua crescita economica, l’Ecuador si era guadagnato l’attributo di giaguaro sudamericano, ma in entrambi i casi a beneficiarne è stata soltanto l’oligarchia di entrambi i paesi. Per questo, l’esplosione di rabbia che si è verificata sia in Ecuador sia in Cile solo in parte è stata determinata dalle organizzazioni popolari e ben presto le manifestazioni di protesta sono state caratterizzate da episodi violenza che segnalavano il rifiuto per l’intero sistema che ha ridotto in miseria ampi strati della popolazione.

L’insurrezione di Quito, in gran parte auto-organizzata e rapidamente diffusasi in tutto il paese, aveva come consegna principale la salida del Fondo monetario internazionale dall’Ecuador. La battaglia contro Moreno, che non si è fatto alcun problema nell’applicare lo stato d’assedio e la militarizzazione del paese, tuttavia non è conclusa. Per ora il presidente è rimasto in sella, ma c’è da scommettere che l’insurrezione di ottobre potrebbe essere solo la prima di una lunga serie.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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