El Salvador: femminicidi, licenziamenti, censure e…

… altri virus, terribili almeno quanto il COVID 19

di Maria Teresa Messidoro (*)

PROLOGO.

Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni

e la chiamiamo mondo.

Robert Pirsig

Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (pagina 85)

Avete presente una di quelle bottiglie ripiene di sabbia colorata, di moda alcuni anni fa sui banchetti dei mercatini alternativi che tutt@ noi abbiamo frequentato se non gestito? La mescolanza dei colori, in strati differenti e intersecanti, produce un bell’effetto visivo, a volte con un disegno predefinito, altre volte no.

Ecco, in questo momento complesso, condizionato nostro malgrado dal COVID 19, provo a rappresentare la situazione attuale di El Salvador con una di quelle bottiglie, senza tappo ovviamente, sapendo che ogni giorno i granelli dai molteplici colori si rimescolano e si riassettano, per creare una nuova composizione. Il disegno tridimensionale, mai appiattito, che potremo vedere da angolature diverse, sarà il risultato di puñados, pugnetti di sabbia fatta cadere nella bottiglia da esponenti della società salvadoregna, inconsapevoli artisti.

Prima però un riassunto cronologico di ciò che è successo in El Salvador ai tempi del coronavirus.

CALENDARIO DEGLI EVENTI PIU’ SIGNIFICATIVI

Il 25 febbraio, il Presidente Bukele ordinò alle autorità migratorie di proibire l’ingresso nel Paese delle persone provenienti da Corea del Sud e Italia, come misura preventiva. I salvadoregni e i diplomatici provenienti da questi Paesi saranno posti in quarantena per 15 giorni (che poi diventeranno 30)

L’11 marzo viene dichiarata in El Salvador quarantena nazionale per 21 giorni, proprio il giorno in cui l’Organizzazione Mondiale della Salute ha ufficializzato che siamo in un periodo di pandemia globale. Le frontiere vengono chiuse, mentre i salvadoregni e gli stranieri residenti nel Paese potranno rientrare sempre solo dopo aver accettato la quarantena di un mese. Contemporaneamente vengono chiuse le scuole di ogni ordine e grado in tutto El Salvador e proibite le riunioni con più di 500 persone. I supermercati vengono presi d’assalto.

Il 15 marzo l’Assemblea Legislativa approva un Estado de expeción per 15 giorni come misura eccezionale per limitare la diffusione del COVID-19. Con questo decreto vengono limitate alcune garanzie istituzionali: la libertà di transito, la riunione pacifica ed il diritto a non essere obbligato a cambiare la propria residenza.  Il decreto viene approvato a maggioranza, l’FMLN e il piccolo partito PDC votano contro.

Il 19 marzo c’è il primo caso di COVID-19, un salvadoregno proveniente dall’Italia, probabilmente entrato nel Paese in modo illegale a Metapán, alla frontiera nordoccidentale con Guatemala e Honduras, a circa 100 km dalla capitale.

Il 21 marzo, in televisione, Bukele fa un discorso in cui spiega le misure economiche da adottare; il video fa il giro del mondo. Si mette in atto la quarantena in tutto il Paese, limitando gli spostamenti, permettendo che soltanto un membro di famiglia possa uscire per fare le compere, chi esce senza giustificati motivi verrà portato in strutture adibite appositamente alla quarantena (i cosiddetti albergues). Ma nel discorso ha anche affermato che per trenta giorni saranno sospese le bollette di acqua, gas e luce, sono sospesi i costi per posti macchina e moto, gli affitti di case e locali commerciali; non si pagheranno in questo mese rate di mutui o ipoteche, si cercherà di dare un sussidio di 300 dollari alle persone più bisognose, si fissano i prezzi dei beni di prima necessità e si minaccia qualsiasi tentativo di appropriazione indebita di fondi per l’emergenza sanitaria. Ecco poi uno dei passaggi ad effetto del suo intervento: rivolgendosi ai grandi impresari, ha detto: “voi possedete dei soldi per dieci o venti vite; non avrete il tempo per spenderlo tutto; pensate dunque a vivere. Pensate che quando avrete bisogno di un letto di ospedale, credetemi l’ultima cosa che vi importerà sarà il vostro conto bancario”

Il discorso completo lo potete ascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=0ksGzJggsKc o qui https://www.youtube.com/watch?v=nGxkAx_Hklw)

Il 24 marzo, l’anniversario dell’assassinio di Monseñor Romero passa totalmente inosservato, o quasi; soltanto alcune associazioni che lavorano nel campo dei Diritti Umani ed il MUPI, Museo de la Palabra y la Imagen di San Salvador, lo ricordano.

Il 23 marzo muore di cancro Ángel Mejía, uno dei pochi sopravvissuti al massacro del Mozote, uno degli episodi simbolo della crudeltà della guerra civile che ha insanguinato El Salvador negli anni 80. Il COVID 19 non ha permesso il funerale pubblico, Ángel, però, sul letto di morte, ha lasciato le istruzioni necessarie per proteggere, come ha sempre fatto, la moglie Rosario, con la stessa tenacia e determinazione con cui ha combattuto l’impunità del Battaglione Atlacatl responsabile di quel massacro. Secondo le misure di prevenzione, alla veglia hanno potuto partecipare soltanto dieci persone per volta, con l’obbligo di lavarsi le mani all’entrata e all’uscita, come ben illustrava un cartello esposto da un poliziotto: “ojo, lavarse las manos, por favor”. Ricordarlo è un modo per non dimenticare la sua battaglia, perché Ángel ha vissuto trentasette anni prima e trentotto anni dopo il terribile massacro, che ha marcato la sua vita, una vita passata in un clima di autoritarismo e militarizzazione, quando il virus propagandato era quello del comunismo. Ángel non si è mai arreso, così devono fare gli ultimi sopravviventi all’efferato episodio e gli esponenti delle organizzazioni per i diritti umani, perché chi fu colpevole sia condannato. La sua storia e il racconto del suo funerale qui

https://elfaro.net/es/202003/el_salvador/24186/El-virus-del-tiempo-se-lleva-a-otra-v%C3%ADctima-de-El-Mozote.htm

Il 31 marzo si registra il primo morto per COVID-19 in El Salvador: è una donna con più di 60 anni, proveniente dagli Stati Uniti, che era già in quarantena e che aveva registrato un peggioramento di salute negli ultimi giorni. La maggioranza delle persone contagiate, che a quella data sono 29, provengono dall’estero: Italia, USA, Guatemala e Spagna soprattutto.

Il 6 aprile, l’impresario cinese Jack Ma, fondatore e presidente di Alibaba Group, nonché uno degli uomini più ricchi al mondo, regala a El Salvador 100.000 mascherine, 10.000 kit per testare l’eventuale contagio e 5 ventilatori. Bukele sentitamente ringrazia, con un twitter ovviamente.

Il 14 aprile viene prorogato per quattro giorni l’Estado de excepción, di nuovo a maggioranza, da parte dell’Assemblea Legislativa. A questa data si registrano 125 casi e 6 morti.

Il 16 aprile muore in El Salvador un bimbo di 4 anni, la vittima più giovane finora: Bukele esprime immediatamente con un twitter le sue condoglianze alla famiglia.

Il 17 aprile il Puerto de la Libertad, uno dei luoghi più turistici di El Salvador, viene circondato militarmente e isolato, nonostante non si siano registrati casi positivi di COVID 19 nella località marittima. Inquietanti le foto presenti nell’articolo di El faro Digital, che sta documentando giorno dopo giorno le vicissitudini e le problematiche sollevate dal regime di quarantena.

https://elfaro.net/es/202004/ef_foto/24307/Cerco-militar-a-La-Libertad.htm

Il 20 aprile, dalle 6 del mattino e per 48 ore, sará applicato un cordone sanitario al centro di San Salvador, limitando l’accesso a poche persone autorizzate. Il sabato precedente, il presidente Bukele aveva autorizzato i sindaci a introdurre misure di controllo della circolazione, purché approvate dalle commissioni locali della Protezione Civile, suscitando la reazione perplessa di alcuni deputati, tra cui Norman Quijano, di ARENA. La risposta, twittata, del Presidente, non si è fatta attendere: “Un bivio per i sindaci: o servono il popolo, o la cupola dei propri partiti. Alla fin fine, ciascuno raccoglie ciò che semina”

Il PRIMO PUGNETTO DI SABBIA: perché ancora?

Yessenia Menjyvar è stata ammazzata prima dal suo aggressore che dal virus COVID-19. Anche se in El Salvador, a partire dal 21 marzo, il governo ha decretato quarantena domiciliare obbligatoria, Yessenia è dovuta uscire di casa, come altri salvadoregni, per poter guadagnarsi i soldi sufficientii per il mantenimento della propria famiglia. Il suo compito era di accudire alcuni nipoti in un piccolo paesino della regione di Chalatenango, al nord del Paese centroamericano, da cui poi rientrava sempre a casa. Questa volta però non è rientrata.

Aveva ventiquattro anni.

Alcuni poliziotti hanno trovato il suo corpo il primo aprile, un giorno dopo la sua sparizione: era stato buttato come un sacco di immondizia in un burrone vicino al villaggio di Carasque dal suo aggressore, poi identificato come “Ernesto”- questo è il suo soprannome – abitante del comune di Nueva Trinidad. Dopo averla violentata e assassinata, Ernesto la lasciò seminuda, con il sangue sul viso e con diverse lesioni procurate da un oggetto contundente. La polizia lo catturò a casa sua, dove trovarono il telefonino della vittima, una prova schiacciante del delitto commesso.

Quando la famiglia di Yessenia, preoccupata per la sua sparizione, aveva chiesto di poter appendere dei volantini per informare la popolazione di ciò che era successo e ricevere aiuto nella ricerca, gli agenti di polizia le dissero che bisognava aspettare ventiquattro ore per poter denunciarne la scomparsa; inoltre, essendo periodo di quarantena, era molto probabile che si fosse fermata a casa di sua sorella. I familiari non si sono arresi, con alcuni amici hanno incominciato a cercarla, fino a trovarla. Anche se ormai era troppo tardi.

Era già morta da almeno sedici ore.

I dottori di Medicina Legale, chiamati per riconoscere il cadavere, non poterono giungere sul luogo immediatamente, perché arrivò un temporale, fortissimo.

Sono stati i familiari a trovare il modo di coprire con gentilezza il corpo di Yessenia, per permettere ai medici forensi, quando raggiunsero finalmente il luogo del ritrovamento, di compiere le azioni necessarie giuridicamente per il riconoscimento della ragazza assassinata.

Yessenia non era coinvolta in nessuna banda giovanile, una delle cosiddette pandillas, che seminano il terrore nelle città e nei paesini salvadoregni. Non stava camminando per la strada senza validi motivi, non era nemmeno troppo tardi; stava semplicemente ritornando a casa, in un Estado de expeción, con la quarantena domiciliare obbligatoria, durante la quale possono uscire, oltre al personale di supermercati, farmacie e negozi che consegnano il cibo a domicilio, le persone che si occupano di bambini, malati o anziani, domestiche; Yessenia rientrava perfettamente nella lista.

In questo periodo, la polizia esercita un maggior controllo nelle strade, che quindi dovrebbero essere più sicure. Dovrebbero, ma non è così: soprattutto per le donne, le strade sono ancora più insicure, perché circola meno gente e soprattutto uomini.

Tra il primo gennaio e il quindici marzo, si registrano ufficialmente undici femminicidi. Con Yessenia sono dodici.

Sempre troppe.

Dice Mirna Perla, ex magistrato della Corte Suprema de Justicia di El Salvador, attualmente assessore di genere per la Asamblea General Universitaria dell’Università pubblica di El Salvador: “l’emergenza nazionale per il COVID-19 ha posto qualsiasi altro tema in un secondo piano, ma il femminicidio, la violazione, la degradazione delle donne, tutto questo è un virus storico che colpisce El Salvador”.

Secondo le statistiche dell’Observatorio de violencia contra la mujer, nel 2019 quasi 3000 donne sono state assassinate a seguito di violenza sessuale, circa otto casi al giorno; il 75% di abusi sono stati commessi su bambine e adolescenti con meno di 17 anni e 848 sono i casi che coinvolgono bambine con meno di 11 anni. Ignorare questi dati mentre si mettono in atto misure di contenimento del COVID 19, significa che le case e gli stessi albergues creati per il confinamento e le violazioni della quarantena, saranno sempre di più luoghi insicuri per le donne.

Ed infatti, secondo gli ultimi dati del Centro Legale di ORMUSA, Organización de Mujeres Salvadoreñas por la Paz, dal 17 al 31 marzo di quest’anno si sono registrati 100 comunicazioni di violenze contro le donne, specialmente nel contesto intra-familiare, con un aumento del 150% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

 

il SECONDO PUGNETTO: gli abbracci torneranno.

MSM è il Movimiento salvadoreño de mujeres, e Isabel Lopez ne è la coordinatrice, fin dalla sua costituzione, nel 1988.

Il 28 marzo esce un loro comunicato ufficiale, in cui, dopo aver fatto riferimento alla situazione mondiale della pandemia, si introduce la situazione nazionale, analizzando i dati economici, indispensabili per comprendere l’impatto del COVID-19. Innanzitutto, occorre ricordare che su circa 2 milioni di famiglie, almeno 107 mila vivono in povertà estrema, 384 mila in povertà relativa. In secondo luogo, una delle voci più importanti del bilancio nazionale ed anche di molte famiglie è quella che si riferisce alle rimesse, provenienti dagli emigrati, la maggioranza dei quali illegali negli Stati Uniti: queste rimesse nel 2019 hanno superato gli 85 miliardi di dollari, pari al 20% di ciò che è in grado di produrre El Salvador, ma la crisi economica che sta investendo gli USA avrà una ricaduta negativa sulla forza lavoro nel colosso nordamericano e di conseguenza anche sulla possibilità dei salvadoregni residenti all’estero di sostenere i propri familiari rimasti nel paese centroamericano. Inoltre, purtroppo, il COVID 19 ha mietuto negli USA molte vittime proprio tra i ladinos: alla data dell’8aprile, il 34% dei morti per Covid 19 a New York erano di origine sudamericana, a Chicago il 15%, dimostrando ancora una volta l’esacerbata disparitá nel campo della salute statunitense.

Non solo: su 2,8 milioni di persone che lavorano in El Salvador, 692 mila vivono in condizioni di povertà, tenendo conto che il 28% di chi lavora percepisce un salario inferiore al minimo; inoltre, i dati statistici pubblicati alla fine di giugno 2019 ci dicono che nel 2018 almeno 751 mila salvadoregni lavoravano nel settore informale dell’economia, con un aumento di 25 mila persone rispetto all’anno precedente. Ovviamente, l’impiego informale è più frequente tra le donne che tra gli uomini: su 100 donne occupate nell’area urbana, 47 lavorano nel settore informale, per gli uomini soltanto 39 su 100. L’impiego informale è presente nel settore delle costruzioni, servizi, salute e trasporti, in particolare quello privato; nel momento in cui si applicano delle restrizioni, come quelle previste con il già citato Estado de expeción, è tutta la catena del lavoro informale a risentirne.  Anche coloro che possono teoricamente lavorare,  la disubbidienza al divieto della libera circolazione viene punito con l’incarcerazione in carceri temporanee, improvvisate, senza le minime garanzie igienico sanitarie, in odore di incostituzionalità, come dimostrano i numerosi ricorsi presentati da molti avvocati. Senza contare il rischio di contagio. E’ indubbio, sostiene Isabel, che le persone più colpite siano le donne, e le donne anziane, le persone più vulnerabili. Raccoglie ad esempio la testimonianza di una donna che dice: “A casa mia siamo in due, mia madre ed io; mia mamma ha 93 anni, io 80; lavoro in casa, ma a volte sono costretta ad uscire, se mi arrestano chi si occuperà di mia madre?”.

Molte sono le piccole storie come questa.

Isabel Lopez ci aiuta a comprendere alcuni aspetti tipici della società salvadoregna: innanzitutto, per legge sarebbe previsto l’implementazione di un Sistema Nacional de Protección Civil, che finora non è stato attivato, anche se funzionano localmente le sedi della Protezione civile, ma senza un vero e proprio coordinamento nazionale, indispensabile in un momento come questo.

Non si possono nemmeno dimenticare le persone private della libertà, che in queste condizioni di emergenza vedono acuirsi la precarietà in cui sono costrette a vivere: il sovraffollamento impedisce l’accesso per tutti ai kit di igiene, limita le visite familiari e soprattutto diminuisce l’attenzione medica per le malattie più diffuse nei luoghi di detenzione, come la tubercolosi.

Ma non è soltanto la salute fisica a preoccupare: da alcuni anni si è cercato di promuovere una Poltica Nacional de Salud Mental: nel 2007 74 mila persone hanno ricevuto una prima visita per disturbi mentali, nel 2015, secondo i dati ufficiali del Ministero, erano già 104 mila.

Non è difficile prevedere che in questa situazione di reclusione forzata, con lo slogan “quédate en casa”, le persone psicologicamente fragili saranno ancora più in pericolo, con un aumento quasi certo di casi di depressione e disorientamento psicologico.

Di fronte a questa situazione, le stesse Nazioni Unite, nella loro ultima dichiarazione relativa alla necessità di una risposta in America Latina alla crisi provocata dal COVD-19, sottolineano che questa risposta deve assumere una prospettiva di genere, per poter rispondere in particolare alle esigenze delle donne e delle bambine; in contesti emergenziali aumentano i rischi di violenza contro le donne, specialmente la violenza domestica, così come possono incontrare difficoltà oggettive quelle vittime di violenza che dovrebbero ricorrere a percorsi di protezione. Inoltre, si sottolinea che il carico di lavoro non riconosciuto delle donne, che già in condizioni normali può superare le sessanta ore settimanali, può diventare insostenibile per la chiusura delle scuole o altre limitazioni imposte. Il movimento MSM, nonostante le restrizioni imposte dal governo, intende continuare a lavorare prima di tutto con le donne, perché convinto che sarà possibile, al più presto, tornare ad abbracciarsi: per questo è necessario, anzi indispensabile resistere per vivere, marciare per trasformare. Anche se in questo momento camminare è un privilegio o una eccezione.

Qui il riferimento al Movimiento salvadoreño de mujeres https://mujeresmsm.org/

 

il TERZO PUGNETTO: le vene aperte delle maquilas.

Le maquilas sono considerate una fonte importante di impiego formale in El Salvador, si stima infatti che coinvolga circa 86.000 persone e che il 55% di questa popolazione di lavoratori sia composto da donne. Secondo il Banco Central de Reserva i servizi industriali delle maquilas nell’ultimo trimestre del 2019 generarono in El Salvador qualcosa come più di 16 milioni di dollari, dimostrando di avere la capacità economica di garantire ai propri lavoratori i salari, oltre ad una stabilità lavorativa. Occorre inoltre ricordare che le maquilas, che operano soprattutto nel campo tessile, come sotto imprese di alcune multinazionali come Nike, Adidas, Reebok tra le altre, sono protette dalla cosiddetta Ley de zonas francas, legge che beneficia le stesse imprese condonando le imposte dovute: il beneficio fiscale di cui godono sottrae di fatto allo stato salvadoregno 800 milioni di dollari, in termini di tasse non pagate. Queste fabbriche, disposte soprattutto nell’intorno della capitale, si caratterizzano per non garantire le condizione minime adeguate di lavoro, la non regolarità nel pagamento mensile degli stipendi, riduzioni illegali degli stessi stipendi con motivazioni inesistenti, negazione di permessi per visite mediche, alte mete di produzione, maltrattamenti, abusi e differenti forme di violenza nei confronti soprattutto delle lavoratrici, persecuzione costante nei confronti di chi vorrebbe sindacalizzarsi e uno sfruttamento continuo dei propri lavoratori.

In questo contesto non stupisce purtroppo che l’associazione Mujeres Transformando denunci pubblicamente la ditta Hermanos Textil, situata nella zona franca di San Marcos, alla periferia della capitale, per non aver corrisposto il dovuto a circa 800 lavoratrici, nascondendosi dietro il decreto governativo che prevede il sussidio di circa 300 dollari per le famiglie più povere; la scusa ufficiale è che i clienti internazionali della maquila non possono ottemperare i propri impegni finanziari, costringendo dunque la stessa ditta  a non pagare a sua volta i propri dipendenti, rimpallando le responsabilità sul governo. Tutto ciò in un momento in cui le lavoratrici delle maquilas possono essere a ragione inserite nelle categorie delle persone più soggette a pagare il prezzo della crisi. Inoltre, Mujeres transformando denuncia il Ministero del Lavoro salvadoregno per aver chiuso, nel novembre 2019, il proprio ufficio incaricato di esaminare e denunciare eventuali trattamenti discriminatori nei confronti delle donne lavoratrici; l’associazione si ritrova quindi costretta a rivolgersi alla Procuradoria para la Defensa de los Derechos, che rilancia il problema al Ministero del Lavoro, in un evidente scaricabarile, che continua a colpire le donne lavoratrici, sfruttate e ignorate dalle istituzioni pubbliche.

Ovviamente il caso della Hermana Textil non è isolato: il 31 marzo il Sindicato Salvadoreño de Industrias Textiles (SSINT) ha inscenato una protesta in strada contro l’impresa maquilera F&D S.A de C.V, accusata di non aver pagato il salario né gli straordinari che spettavano ai lavoratori. Le conseguenze sono pesanti, mettendo in rischi la sicurezza di un pasto dignitoso per le centinaia di famiglie coinvolte. “Esigo che mi paghino per dare da mangiare ai miei figli” dice una delle giovani lavoratrici, che vive nei quartieri della capitale. “E’ grave tutto questo, ho appena comprare formaggio e qualche tortilla, non ho niente altri da mangiare” afferma una donna cinquantenne, anche lei lavoratrice.

Nella maquila Varsity Pro la situazione è ancora peggiore: 500 lavoratori, in maggioranza donne, sono state invece licenziate in tronco. E questi sono soltanto i casi per ora noti, che purtroppo aumenteranno, mettendo in ginocchio l’economia familiare do molti salvadoregni.

Per chi volesse approfondire, qui si può trovare un bel lavoro di indagine sulle donne lavoratrici a domicilio, le cosiddette bordadoras, effettuato dall’organizzazione Mujeres Transformando e due ricerche realizzate da un sindacalista salvadoregno, Sergio Chavez, che conosco da tempo, da molti anni impegnato nella documentazione relativa ai lavoratori delle maquilas in tutto il Centro America.

https://www.mujerestransformando.org/haciendo-visible-lo-invisible-la-realidad-de-las-bordadoras-a-domicilio/

https://www.maquilasolidarity.org/es/las-trabajadoras-es-de-la-industria-maquiladora-en-centroamerica

https://www.maquilasolidarity.org/sites/default/files/attachment/Salarios_minimos_maquila_2019_0.pdf

 

il QUARTO PUGNETTO: gli altri virus, forse più importanti.

ARPAS, Asociación de Radiodifusión Participativa de El Salvador, è uno dei principali mezzi di comunicazione alternativi a quelli tradizionali.

In uno stringato comunicato di fine marzo ci ricorda che se in questa situazione di emergenza è sì importante prevenire la diffusione del virus e attenersi alle misure stabilite dalle autorità sanitarie e della protezione civile, è anche fondamentale impedire che si espandano altri virus, che possono infettare e recare danni molto gravi alla popolazione salvadoregna.. Ecco quali sono, secondo ARPAS, i più pericolosi per la stessa democrazia, per i diritti della popolazione e l’irrinunciabile obiettivo di costruire un paese decente, finalmente ugualitario e nel quale si abbia voglia di vivere.

Il primo è la disinformazione e la strategia di manipolazione di massa, un virus che può portare ad assumere decisioni non corrette; si espande attraverso le false notizie che circolano sulle reti sociali, ma anche tramite i discorsi del Governo e del Presidente Bukele, che utilizzano proiezioni catastrofiche e statistiche del disastro possibile per prevenire utilizzando la paura.

Il secondo può essere indicato come l’autoritarismo e la violazione dei diritti umani: un virus purtroppo molto antico, che ha colpito El Salvador durante cinquant’anni di dittatura militare o pseudo tale e che ha impressionato e spaventato molti salvadoregni il 9 febbraio di quest’anno, con il tentativo di “golpe” presidenziale contro la Asamblea Legislativa. Siccome è necessario vigilare perché l’emergenza non sia un pretesto per la realizzazione di sogni autoritari e antidemocratici, è indispensabile il rispetto dei diritti umani e le garanzie costituzionali non toccate dal Estado de expeción, in particolare la libertà di espressione, anche giornalistica, il diritto – dovere di ciascuno cittadino all’informazione ed il corrispondente diritto dovere dei funzionari di fornire le informazioni in modo trasparente.

La corruzione è un altro virus maligno che ha permeato la società salvadoregna ed i governi che si sono succeduti, anche dopo gli Accordi di Pace del 1992. Le frodi, la sottrazione di fondi dalle casse dello Stato, mal utilizzo dei soldi pubblici, conflitto di interessi, nepotismo, sono solo alcuni aspetti di questa malattia sociale. Per contro arrestarla, occorre vigilare innanzitutto sui fondi ufficialmente per l’emergenza; nessuno, nemmeno l’Asamblea Legislativa deve firmare assegni in bianco, pretendendo viceversa controlli severi. Non dimentichiamoci che rientra in questo vizio il tentativo di condurre campagne elettorali sfruttando le misure di emergenza, cosa che in parte sta già avvenendo.

Infine, il virus del neoliberismo, che nelle situazioni di panico o emergenza sanitaria, si camuffa, si adatta ma esiste ed è pronto a esplodere.  Per restituire i miliardi di dollari richiesti in prestito per affrontare l’emergenza, soprattutto al caritatevole FMI, Fondo Monetario Internazionale, potrebbero essere adottate delle misure di aggiustamento neoliberiste che colpiranno i salvadoregni, come l’aumento dell’IVA, aumento dell’età pensionabile, abbassamento del valore delle pensioni, congelamento dei salari e diminuendo le spese pubbliche. Quando invece sarebbe possibile pagare i debiti combattendo l’evasione fiscale, recuperando qualcosa dalla corruzione e approvando finalmente una riforma fiscale progressiva, che preveda di far pagare di più a chi più possiede.

La scelta di ARPAS di continuare ad informare in modo critico è molto importante, tenendo presente che il 9 aprile esce sul giornale digitale El Faro un articolo dal titolo “Il Governo ha messo in quarantena l’accesso all’informazione pubblica”. E’ successo infatti che la Presidenza della Repubblica e l’Esecutivo hanno chiuso ai primi di aprile (almeno fino al 14 dello stesso mese) i rispettivi uffici di Información y Respuesta, motivando tale scelta con l’Emergenza Nazionale. Ovviamente, per molti giornalisti, questa misura adottata viola il dovere a ricevere e divulgare informazioni provenienti dagli organi ufficiali di stato, mettendo a rischio il diritto alla libertà di espressione.

Non solo: il 13 aprile la Mesa Permanente por la Gestión de los Riesgos, formata da una ventina di associazioni ed organizzazioni popolari, condanna pubblicamente quanto espresso dal Secretario de Prensa de la Presidencia, Ernesto Sanabria, che nel solito twitter attacca ARPAS, minacciandola e cercando di censurarla. Ma l’associazione coordinatrice di radio e mezzi di comunicazione non si farà certo intimidire da chi cerca di attaccare la libertà di stampa.

il QUINTO PUGNETTO: il Presidente Caudillo.

Demetrio Macias è una voce significativa nel mondo intellettuale salvadoregno. Il 27 marzo, in un breve articolo, prova a spiegarci perché c’è il rischio in El Salvador di un uso politico della pandemia.

Una pandemia che sta colpendo indubbiamente il mondo intero, compreso il continente latinoamericano, anche se alcuni autorevoli esponenti del mondo scientifico sostengono che in paesi più caldi la trasmissione ed il contagio del virus potrebbe essere inferiore a quanto registrato da altri parti del mondo.

In ogni caso, anche in El Salvador, gli effetti catastrofici della pandemia potrebbero essere non tanto nel numero di morti, che si spera sia ridotto, quanto negli impatti sull’economia e sulle condizioni di vita della popolazione, soprattutto su quella più debole.

Comunque, è un dato di fatto che El Salvador è stato uno dei Paesi che ha adottato molto presto delle misure restrittive e, secondo Demetrio Macias, il presidente Bukele ha “utilizzato” la crisi sanitaria per imporre e promuovere la propria agenda politica.

Prima ancora che si verificassero casi di contagio, Bukele ha imposto una serie di misure restrittive radicali, apparendo in giornali e televisioni come uno specialista in malattie virali, utilizzando dati più o meno scientificamente provati per provocare panico e terrore nella popolazione e raggiungere i propri scopi politici. E’ risaputo che molti salvadoregni, soprattutto anziani, non hanno nemmeno il coraggio di attraversare le strade delle città per non correre il rischio di essere arrestati e portati nei luoghi di detenzione improvvisati. Nello stesso tempo, alcuni giornali hanno pubblicato i risultati di un’inchiesta, da cui emerge che alcune persone credono che il virus rimanga sospeso nell’aria e possa colpire come un fulmine chi si muove…

Dunque Bukele si presenta come il benefattore e il salvatore di una società minacciata, in modo da guadagnarsi il voto nelle prossime elezioni amministrative, aumentando così il proprio potere politico – ricordiamo che in questo momento Bukele non può godere della maggioranza nell’Asamblea Legislativa, ma secondo gli ultimi sondaggi si prevede una sua vittoria schiacciante nella prossima tornata elettorale prevista per il 2021. Inoltre, in una indagine condotta da un giornale colombiano, il 96% della popolazione ha fiducia in ciò che sta realizzando Bukeke per limitare l’epidemia, più di qualsiasi altro presidente latinoamericano. (https://www.eltiempo.com/contenido-comercial/presidente-de-el-salvador-lidera-efectividad-frente-al-covid-19-484272)

Curiosamente Bukele, a proposito dei deputati che ostacolano e si oppongono alle sue misure sanitarie e preventive, parla di politici disposti a sacrificare la vita dei salvadoregni per puri interessi elettorali.

Ma Bukele non ha certamente dimostrato di interessarsi alla salute dei suoi connazionali, visto che ha tagliato di 33 milioni di dollari il bilancio del Ministero di Salute, eliminato programmi sociali, chiuso alcune sedi di Ciudad Mujer, fiore all’occhiello delle precedenti amministrazioni nel campo della difesa delle donne, chiuse alcune delle strutture di attenzione medica al prima livello, le cosiddette ECOS (equipe comunitarie per la salute familiare) create dai precedenti governi del Frente, ha licenziato 8 mila lavoratori nel settore pubblico, senza nessuna reale giustificazione.

I risultati si vedono nei dati: in un anno, da marzo 2019 a marzo 2020, i casi di dengue sono aumentati del 34%, i casi di orecchioni del 42% e i casi sospetti di polmonite dell’8%, le infezioni respiratorie del 28%.

Inoltre, siccome soltanto il Governo, anzi soltanto il Presidente ritiene di possedere la bacchetta magica, gli organi legislativi dello Stato dovrebbero approvare senza mai discutere i 2 mila dollari, poi i 5 mila, magari prossimamente 10 mila, investiti nel campo della salute, senza però dichiarare o spiegare come, dove e quando saranno utilizzati. Ciò che è successo il 9 febbraio, quando Bukele ha sospeso i diritti intervenendo protetto da militari nell’Asamblea Legislativa, presentandosi come l’uomo mandato da Dio, è un pericoloso avvertimento su quale potrebbe essere l’atteggiamento del Presidente, sempre più futuro caudillo di El Salvador, unico uomo al potere, che comunica e parla ai suoi concittadini attraverso twitter.

Si spera che le centinaia di fosse fatte costruire a tempo di record dalla municipalità di San Salvador per poi seppellire le vittime del contagio da COVID 19 siano soltanto una prova in più del discorso fatalista di un Presidente ambizioso, che poi dichiarerà che queste fosse non sono state utilizzate grazie alle sue scelte oculate e alla sua attenzione alle necessità del popolo.

Ne è una prova il messaggio inviato da Bukele, rigorosamente con twitter, il 15 aprile in cui comunica una notizia che rallegrerà tutti i salvadoregni: “le proiezioni indicavano per il 14 aprile la presenza nel territorio salvadoregno 768 casi di COVD 19, in realtà se ne registrano 159, cinque volte in meno. Dunque le misure adottate hanno funzionato, si continui così”.

Resta il fatto che l’economia nazionale subirà effetti devastanti, che la qualità di vita della gente più povera peggiorerà e che il virus dell’autoritarismo sarà ancora più forte.

Una prova? Eccola: la Sala de lo Constitucional di El Salvador ha già denunciato ben due volte l’Esecutivo per abusi in questo periodo di quarantena, dando mandato alla Procuraduría Para la Defensa de los Derechos Humanos (PDDH) affinchè vigili su possibili vessazioni o comportamenti anticostituzionali da parte dell’Esercito e dei Corpi di Polizia, in particolare nei centri di “accoglienza” per chi deve osservare la quarantena o viola le prescrizioni. Ma, ancora una volta con un twitter, il Presidente si rifiuta di rispettare queste decisioni perché, afferma, “questo è un ordine che ammazzerà o lascerà morire centinaia di migliaia di salvadoregni”

Se Bukele manterrà questa linea, saremo di fronte, ancora una volta, come già successo il 9 febbraio, a una crisi istituzionale molto grave, una specie di olpe dell’Esecutivo contro il Potere Giudiziario.

José María Tojeira, direttore di IDHUCA, Instituto de Derechos Humanos de la UCA, Direttore Provinciale per il Centro America dell’Ordine dei Gesuiti quando furono barbaramente uccisi dall’esercito salvadoregno i sei gesuiti e le due collaboratrici domestiche, nel novembre del 1989, l’autoritarismo e l’appoggio militarista allo stesso possono stravolgere un processo che dovrebbe invece basarsi sulle conoscenze di una classe medica preparata e sulle capacitá organizzative dei salvadoregni. Con l’autoritarismo si possono ottenere dei trionfi politici, avverte Tojeira, però il potere di pochi ha sempre i piedi di argilla. I frutti migliori si ottengono soltanto da una partecipazione ampia e finalmente democratica.

https://noticias.uca.edu.sv/articulos/rasgos-militaroides

 

il SESTO PUGNETTO: il desiderio di acqua

Il 22 marzo è stato dichiarato dalla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, svoltosi in Brasile nel lontano 1993, la Giornata Mondiale dell’Acqua, un’occasione in più per sensibilizzare e promuovere atteggiamenti consapevoli di protezione e buon uso dei beni idrici in tutto il mondo.

In El Salvador, ma credo non soltanto in questo paese centroamericano, questa ricorrenza è passata completamente o quasi inosservata, causa l’emergenza per il COVID 19; una contraddizione, in fondo, dato che la misura sanitaria più consigliata è lavarsi le mani con acqua e sapone.

Ma proprio in uno studio recente dell’Instituto de Opinión Publica de la UCA, l’università gesuita Simeon Cañas (istituzione assolutamente rispettabile), quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che non ha accesso quotidianamente all’acqua; di questi, addirittura, il 5% la riceve solo una volta alla settimana, l’1% tre volte al mese, ancora un 1% una o due volte al mese e lo 0,5% trascorre anche più di un mese senza acqua. Ciò dimostra che uno dei principali ostacoli all’efficacia di una campagna che eviti una maggiore propagazione del virus è proprio la crisi dell’acqua. Ciononostante, almeno finora, il governo Bukele non ha mai elaborato né messo in atto un piano per risolvere questo problema, nemmeno ora in piena emergenza del virus. Né si è mai sognato di destituire l’attuale presidente di ANDA, la società che gestisce la fornitura dell’acqua su tutto il territorio salvadoregno, Federick Benite, tristemente famoso per la sua corruzione e incompetenza. Inoltre, dal canto suo, la Asamblea Legislativa non ha ancora trovato il tempo per approvare la famosa e discussa Ley General de Agua, sollecitata e richiesta a gran voce da molti anni dalla Alianza Social contra la Privatización del Agua, il Foro del Agua e altre organizzazioni sociali, che lottano per poter assicurare il diritto di accesso all’acqua sufficiente e di qualità a tutta la popolazione.

E così, migliaia di persone non hanno accesso all’acqua a Soyapango, Ilopango, San Marcos, Apopa, e altri comuni dell’area metropolitana di San Salvador; fuori dalla capitale, la situazione non è diversa, possono accedervi in modo stabile soltanto quei comuni dove funziona ancora una struttura locale di controllo della gestione dell’acqua, dove la fornitura avviene grazie a pozzi e cisterne autogestite.

il SETTIMO PUGNETTO: la quarantena ha colpito i più vulnerabili.

Nel suo famoso discorso del 21 marzo, Bukele ha promesso un bonus di 300 dollari per 1,5 milioni di famiglie, le più vulnerabili. Per la consegna del sussidio, le autorità statali stabilirono un meccanismo digitale di selezione, per poter evitare pericolosi assembramenti nelle strade in periodo di quarantena, indicando che la ripartizione sarebbe partita da sabato 28 marzo per circa 100 mila persone al giorno, fino al completamento delle risorse, corrispondenti ad un totale di 450 milioni di dollari. Ma che la macchina organizzativa, invece di essere perfetta, fosse invece improvvisata, lo si è capito quando, a partire dal lunedì successivo alla data prefissata, migliaia di salvadoregni si sono riversate per le strade, formando ingenti code davanti alle sedi dei locali del CENADE (Centro Nacional de Atención y Administración de Subsidios), rompendo qualsiasi misura precauzionale di difesa dal virus e creando situazioni di alto rischio di contagio, oltre al malessere e al disagio di fronte alla chiusura imprevista di queste strutture, dato che nelle comunicazioni ufficiali si informava la popolazione che chi non appariva nelle liste pubblicate in internet poteva chiedere informazioni e chiarimenti proprio le sedi del CENADE, da lunedí.

Inoltre, in molte situazioni, la polizia è intervenuta maltrattando e utilizzando gas lacrimogeni per disperdere le ragazze madri, gli studenti, i disoccupati, i venditori ambulanti, i lavoratori informali, gli anziani, per cui il bonus di 300 dollari è quasi indispensabile per sopravvivere.

In un articolo di El faro digital, https://www.elfaro.net/es/202003/el_salvador/24207/El-d%C3%ADa-en-que-el-Gobierno-fall%C3%B3-a-los-m%C3%A1s-vulnerables.htm, ai primi di aprile, si riportano le testimonianze di persone esasperate, nella coda del luned= 30 marzo a San Salvador

Eccone una – una tra le tante, come tante.  Cambia nome, età, sesso, città, ma non la sostanza.

Marta Menéndez ha 65 anni, è una venditrice ambulante di San Salvador, ed è arrivata molto presto il lunedì 30 marzo per chiedere il sospirato sussidio promesso dal Presidente; per Marta e per altre persone come lei, la sorpresa di trovare chiuse le sedi del CENADE, si è trasformata in indignazione; le misure adottate hanno fatto sì che lei non abbia potuto vendere niente nei primi nove giorni della quarantena, e se Marta non vende, semplicemente non mangia. Per questo, improvvisamente, con rabbia, Marta si toglie la mascherina dalla bocca, perché la paura della fame è peggiore della paura del virus, e davanti alle telecamere dei giornalisti presenti, grida: “Perché sei così Bukele? Noi siamo qui in coda dalle tre del mattino, abbiamo fame!”. Marta, dopo aver gridato con tutta l’energia che aveva in corpo, forse per l’adrenalina o la rabbia a lungo repressa, perde l’equilibrio e quasi sviene. Una autoambulanza, immediatamente avvisata, la porta via.

L’ULTIMO PUGNETTO DI SABBIA: l’ombra delle pandillas.

Da anni, purtroppo, le pandillas, le bande giovanili organizzate, nate subito dopo la fine della guerra in El Salvador con il ritorno in patria di alcuni giovani, che si erano “formati” nelle periferie violente delle città nordamericane, controllano una parte del territorio nazionale con estorsioni, furti, assassini. L’analisi della situazione e la ricerca di soluzioni che non siano soltanto misure repressive ma cerchino di affrontare e risolverne le profonde cause strutturali è un grave problema dello stato salvadoregno, che nemmeno durante i dieci anni di governo del FMLN è riuscito a compiere. Questo fenomeno assume caratteristiche nuove in tempo di emergenza da COVID 19: in alcune zone, le stesse sezioni locali delle pandillas Barrio 18 –Sureños y Revolucionarios, la cui organizzazione è molto capillare ed efficiente, hanno abbuonato per il primo periodo di quarantena il pizzo richiesto ai venditori, mentre in altre, dove il controllo è nelle mani dell’altra frazione, la Mara Salvatrucha, non è stato possibile recuperarlo, a causa del grande dispiegamento di forze militari nelle strade e alla contemporanea chiusura di molti esercizi commerciali. Inoltre, nelle comunità che vivono sotto il loro controllo, hanno imposto praticamente un coprifuoco, minacciando chi non lo rispettasse con un castigo pesante, che nessuno avrà voglia di sperimentare. L’ordine, molto esplicito, è che dopo le sei di sera, nessuno circoli liberamente per le strade dei quartieri.

Questo nuovo atteggiamento delle bande giovanili è iniziato il 30 marzo, alcuni giorni dopo l’introduzione dei decreti restrittivi del Governo, diffondendo un messaggio esplicito a chi vive con la costante minaccia delle loro azioni criminali: chi circolerà per le strade per una ragione differente alla necessità di comprare i viveri dovrà vedersela direttamente con i pandilleros. Che hanno imposto orari prestabiliti per i  negozi presenti all’interno dei quartieri sotto il loro controllo, esigendo il nominativo dell’unica persona per ciascuna famiglia autorizzata ad uscire per effettuare le compere. Tutto ciò è possibile perché, nonostante negli ultimi mesi il tasso di omicidi sia diminuito (passando dai 10,8 omicidi al giorno nel 2017, 9,2 nel 2018, al 6,6 nel 2019 e al 3,7 nel primi due mesi del 2020) le organizzazioni criminali conservano un enorme controllo territoriale e sociale sulle fasce più impoverite della popolazione salvadoregna. Le ragioni di queste istruzioni molto severe, diffuse ovunque e attuate da tutti i corredores (chi porta i messaggi) e i palabreros (una sorta di dirigenti locali delle bande) sono diverse: secondo alcuni, se l’epidemia dovesse assumere grandi dimensioni in El Salvador, nessun ospedale sarà in grado di fornire ad esempio un respiratore o le necessarie cure mediche ad un pandillero ferito; secondo altri, potrebbe aumentare la presenza della polizia nei quartieri dove la popolazione non rispetta la quarantena.

Soltanto con il passare del tempo potremo capire come si rimodelleranno le strutture criminali al tempo del COVID 19.

In questo articolo le proiezioni del tasso di omicidi in El Salvador, ma prima del diffondersi dell’epidemia https://www.contrapunto.com.sv/sociedad/violencia/fondo-en-2020-tasa-de-homicidios-bajaria-a-21-100000-habs/13009

GRANELLI DI SABBIA LEGGERI: AFA E BALENE

Il 7 aprile, alcuni abitanti della spiaggia Las Tunas, nella regione costiera della Unión, hanno trovato una balena morta; secondo gli esperti appartiene alla specie Ziphius Cravirostris, una specie che potrebbe arrivare ad una lunghezza di sette metri e a un peso di tre tonnellate e che vive nelle profondità marine dei mari tropicali ad una profondità di più di mille metri.

Non si possono ancora stabilire le cause della morte e perché il corpo della balena sia arrivato sulla spiaggia. Per un giorno almeno, l’argomento delle conversazioni degli abitanti della zona non è stato il COVID 19.

Il 10 aprile, le stazioni metereologiche hanno registrato un’ondata di calore in tutto El Salvador: in alcune città del paese la temperatura ha superato i 40°C, soprattutto nella zona occidentale, mentre nella capitale sono stati toccati i 33°C. La temperatura massima di 42,5°C è stata misurata sul ponte Cuscatlán, martedì 7 aprile: soltanto nell’aprile del 2002, diciotto anni fa, sullo stesso ponte, la temperatura era stata maggiore, toccando i 42,7°C. Queste temperature sono delle anomalie, superando la norma climatologica del periodo.

In queste località, l’approvigionamento dell’acqua è fondamentale non solo per prevenire il COVID 19, ma anche per difendersi dalla calura.

BREVE OSSERVAZIONE FINALE, ritornando alla bottiglia.

Parafrasando una frase che ho letto in un sito dedicato all’arte (https://www.artesplorando.it/2013/08/come-si-guarda-un-quadro.html),

si può concludere questo lungo articolo dicendo che ora possiamo riprendere in mano la bottiglia che rappresenta El Salvador: muoviamola da diverse prospettive, osserviamola nei particolari, studiamola con le sue luci ed ombre.

Vi garantisco che non basteranno pochi minuti.

Ma abbiamo tempo, molto tempo. All’epoca del coronavirus.

Per la cronaca, alla data del 20 aprile in El Salvador – uno stato grande come il Piemonte e con una popolazione di 6.670.000 abitanti – i casi di COVID 19 sono 218, con 7 morti; nella classifica mondiale dei Paesi colpiti dal virus è oltre il centesimo posto, vicino a Guatemala e a Honduras; il Paese che presenta più casi è il Brasile, al dodicesimo posto, con quasi quarantamila casi e circa 2500 morti; nella classifica “sorprende” il cinquantesimo posto di Panama, con 5000 casi e 126 morti.

Qui la classifica mondiale della diffusione del virus  https://www.bbc.com/mundo/amp/noticias-51705060

Nota sulla foto iniziale: lo slogan “Quedate en casa” (rimani in casa) è collegato dal quotidiano digitale Contrapunto, attraverso la frase “condividiamo la responsabilità” ad un celebre verso del poeta salvadoregno Roque Dalton, ammazzato nel 1975 da alcuni appartenenti alla sua organizzazione guerrigliera, perché accusato ingiustamente di essere una spia della CIA.

Ecco i versi:

“Coloro che fanno di tutto / che vendono di tutto /  che mangiano di tutto / i miei compatrioti / i miei fratelli” tratto da Poema de amor, che potete trovare nel bellissimo libro bilingue italiano/spagnolo dedicato al poeta di Jossa Emanuela e Campagna Irene, Il cielo per cappello, Multimedia Edizioni, 2011

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento www.lisanga.org

Teresa Messidoro

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