El Salvador: finalmente giustizia per Evelyn

Bambine violate e donne in lotta: storie e riflessioni raccolte da Maria Teresa Messidoro (*)

 

El Salvador nasce da una madre violata

L’11 maggio Carmen Valeria Escobar scrive sulla rivista digitale Gatoencerrado: “El Salvador nasce da una madre giovane, povera, spaventata. Noi salvadoregni nasciamo da bambine, madri che sono bambine. Il vero El Salvador, quello che vive lontano dai centri commercial e più vicino alle viscere della terra, è partorito da madri violate. Un anno fa, ho avuto l’opportunità di entrare, come giornalista, nella sala ostetrica di un ospedale pubblico nella regione orientale del paese.

Entrare in uno di questi ospedali è vedere da vicino la disuguaglianza. Però entrare nell’aera dei neonati è diverso: è entrare in un altro mondo. L’atmosfera è più leggera e tra grida di dolore, boccate d’aria e spinte, ci sono anche sorrisi, pianti e parole genuine di amore.

Appena entrata, mi scontrai con una fila di letti, a poca distanza l’uno dall’altro, che ospitavano le donne in attesa di partorire. Qui, in ogni turno, secondo il personale medico, c’è almeno una ragazza con meno di 16 anni in attesa di dare alla luce il figlio. Queste minorenni in gravidanza, l’anno passato, erano 543, recitano i dati ufficiali del Ministero di Salute.

Nell’ospedale ho conosciuto Maria, una delle 543. Aveva 12 anni, molto magra e altrettanto graziosa. Due occhi verdi impossibili da dimenticare. Già da lontano, si notava il suo non sentirsi a suo agio, la sua espressione era  grigia come la stanza in cui si trovava. Al suo fianco riposava una bebè, che alcune ore prima era nata dal suo corpo magro e debole. Vicino a Maria c’era sua madre, una signora con il fazzoletto in testa, che non smetteva di piangere. Questa esperienza contrastava con quella delle altre donne dei letti accanto, che viceversa ridevano e celebravano l’arrivo di un piccolo nuovo essere in famiglia. Maria e sua madre, invece, avrebbero preferito uscire dall’ospedale senza niente.

Nove mesi prima, Maria era andata in un negozio. Mentre ritornava a casa, uno dei tanti ragazzi la intercettò. La prese, la toccò, la baciò e la violò. Una delle cose che lei ricorda di tutta quella vicenda sconvolgente è che lui si avvicinò al suo orecchio per dirle che era molto bella e ormai grande. Ma Maria era, ed è, una bambina.

Quando tutto finì, Maria si sistemò la gonna e decise di continuare la sua vita. Cosa le rimaneva? Non aveva intenzione di raccontarlo a qualcuno, però la divisa della scuola incominciò a starle stretta e la pancia incominciò a crescere.

Quando si resero conto della violenza subita, i suoi genitori la trasportarono in ospedale. Lì, i responsabili del Consejo Nacional de la Niñez y la Adolescencia (Conna) decisero che era meglio tenere sotto osservazione la bambina. La cosa più sicura non era chiamare la polizia, tantomeno presentare una denuncia alla Procuradoria para la Defensa de los Derechos Humanos (PDDH). La cosa più sicura non era procurare giustizia, bensì nasconderla. Ci sono zone in El Salvador dove la giustizia nemmeno si affaccia.

In ospedale, Maria non parlava più come una bambina. “A me piaceva andare a scuola”, diceva piangendo, mentre sistemava una pila di pannolini in uno zaino.

Se la rassegnazione ha un volto, è quello di Maria, piegando i vestitini della sua neonata, per iniziare una nuova vita che non aveva mai cercato. Se la disperazione ha un volto è quello di sua madre che reclama giustizia. E se la frustrazione ne ha uno, quello era il mio.

Maria è una delle vittime di uno Stato che storicamente ha deciso di ignorare le bambine. Di uno Stato che davanti a tutti permette violazioni di bambine, che le lascia partorire e dopo dice loro che si rallegrino perché essere madre è una benedizione.

Cosa possiamo aspettarci da un paese che nasce da una bambina spaventata? Cosa possiamo aspettarci da un paese che nasce da una bambina rassegnata a diventare madre?

Ci spaventa la violenza. Ci spaventano gli omicidi di un fine settimana, come lo scorso aprile, quando ci fu un’impennata e si arrivò a 80 omicidi. Alcuni politici usano persino questi morti per creare discorsi a proprio favore. Ci da fastidio la violenza, ma non la mettiamo in discussione. Parliamo della violenza come se nascesse dal niente.

Non parliamo di questa bebè di Maria che è nata dalla violenza. Quando questa bambina è nata, non ci è importato. Era uno in più di quei bambini che nascono in queste stanze d’ospedale strapiene. Ci sembra naturale. Ci siamo ormai abituati a qualcosa di orribile: a convivere con la vessazione e la violazione di bambine. Come questo testo: lo leggeremo, ci terrorizzerà tanto come un film … e dopo niente. Tutto continuerà uguale. In realtà non ci fa suonare un campanello d’allarme il fatto che una bambina metta alla luce un’altra bimba.

Un anno fa Maria uscì da questo ospedale con la piccola tra le braccia. Rassegnata.” 1

Giustizia per Evelyn Hernández, simbolo di una lotta femminista.

Dopo che ho letto questo articolo, ho provato tristezza, rabbia, stupore no, perché purtroppo conosco cosa succede in El Salvador, da quando insieme ad altr@ compagn@ di strada cerchiamo di costruire relazioni solidali e di scambio con uomini e donne salvadoregne. Fortunatamente, un’altra notizia, negli stessi giorni, mi ha colpito, questa volta favorevolmente.

Foto/Agrupación Ciudadana

Il movimento femminista salvadoregno ha avuto il merito in tutti questi anni di rendere visibili le conseguenze della penalizzazione assoluta dell’aborto in El Salvador, legge in vigore dal 1998. 2

Ha infatti sempre denunciato le condanne fino a 30 e 40 anni di prigione per le donne che hanno dovuto affrontare emergenze ostetriche e/o parti extraospedalieri, subendo l’accusa di aborto e procurato omicidio. Questa è stata la storia di Evelyn, di cui oggi una istanza superiore del Sistema Giuridico di El Salvador conferma l’innocenza, dopo una lunga battaglia condotta nelle aule dei tribunali, ma anche con  manifestazioni e appelli internazionali. Si ribadisce dunque il giudizio emesso con la prima sentenza del Tribunale di Cojutepeque nell’agosto 2019.

Nell’aprile del 2016, Evelyn ha sofferto un’emergenza ostetrica e la sua famiglia la portò all’ospedale più vicino in cerca di aiuto; invece Evelyn fu denunciata, arrestata e ammanettata alla barella del centro di salute. Nel 2017 venne giudicata e rinchiusa in prigione con una sentenza di 30 anni per omicidio aggravato, senza nessuna prova; nel 2018 la sentenza venne annullata, ordinando un nuovo giudizio, in cui Evelyn fu assolta. L’accusa si appellò, rifiutando il nuovo verdetto, ed ora, finalmente, Evelyn viene completamente assolta.

Morena Herrera, portavoce della Agrupación Ciudadana por la despenalización del aborto, ha manifestato la propria soddisfazione  per la risoluzione adottata, ringraziando il lavoro di persone ed organizzazioni che hanno lottato in tutto il mondo per la libertà di Evelyn. “Il verdetto conferma che la giustizia è una strada da percorrere per la libertà delle donne” ha affermato.

E’ stata una vittoria per il movimento femminista salvadoregno, ma le battaglie non si fermano qui. Negli stessi giorni in cui è stata assolta Evelyn, organizzazioni di donne e dei diritti umani di El Salvador hanno emesso un comunicato in cui si chiede che vengano rimesse in libertà tutte le donne incarcerate con la colpa di una emergenza ostetrica.

Foto/Agrupación Ciudadana

La petizione si basa sulle raccomandazioni di organismi internazionali che chiedono di decongestionare le carceri, liberando prima di tutto le persone più vulnerabili, per evitare contagi di massa.

In El Salvador la popolazione carceraria fino a dicembre 2018 era di 39.000 persone, di cui quasi 28.000 condannati e gli altri 12.000 in attesa di processo. Secondo i dati del World Prison Brief, in El Salvador ci sono 597 prigionieri ogni 100.000 abitanti, collocandolo tra i primi paesi al mondo per affollamento carcerario. Quasi il 10% dei reclusi sono donne.

A causa della pandemia, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos ha chiesto agli stati di concedere libertà anticipata per le persone con maggior rischio, tra cu si collocano le donne incinta o con bambini, in particolare coloro che hanno già espiato un terzo delle condanne che, come molte donne salvadoregne,  comunque non avrebbero dovuto subire.

Il comunicato sottolinea inoltre che molte delle donne incarcerate ingiustamente hanno figli minori di 12 anni che le stanno aspettando a casa e inoltre ricorda che il Grupo de Trabajo sobre Detención arbitraria delle Nazioni Unite, in un documento di marzo, ha denunciato  El Salvador proprio per le detenzioni arbitrarie di donne che hanno subito emergenze ostetriche.

“Il contesto normativo salvadoregno è discriminatorio, in quanto restringe i diritti umani e la dignità delle donne, criminalizzando i loro diritti riproduttivi e quei comportamenti che sono il risultato diretto della mancanza cronica di accesso alla salute; tale situazione si aggrava ancora di più con la pandemia COVID 19.” Così si conclude il comunicato, ricordando prima di tutto allo stato salvadoregno che giustizia deve esserci, anche se è già tardi per quelle donne che hanno trascorso in prigione la propria giovinezza. 3

Ma che almeno non sia troppo tardi.

Foto/ Agrupación Ciudadana

 

  1. L’articolo originale qui https://gatoencerrado.news/2020/05/11/el-salvador-nace-de-una-madre-violada/
  2. Vedere l’articolo in Bottega https://www.labottegadelbarbieri.org/el-salvador-storie-di-donne-al-di-la/     e https://revistalabrujula.com/2020/06/08/se-confirma-resolucion-absolutoria-para-evelyn-hernandez-una-lucha-juridica-y-feminista/
  3. In questo articolo si presenta la legislazione sull’aborto in altri paesi latinoamericani https://revistalabrujula.com/2020/06/10/solicitan-que-las-mujeres-encarceladas-por-emergencias-obstetricas-sean-liberadas-ante-pandemia-covid-19/

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento, www.lisanga.org

Teresa Messidoro

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