Emilio

di Livio Pepino (*)

Conoscevo alcuni passaggi della vita di Emilio, soprattutto degli ultimi anni, ma leggerne la storia nella sua interezza, seppur descritta per flash, è stato tutt’altro: una sorpresa, un pugno nello stomaco, una boccata di aria fresca, un’occasione per riflettere. Sembra un romanzo, complicato e avvincente.
Un lungo viaggio in cui – insieme a personaggi di grande intensità emotiva, come Mariarosa, Sonia, Marinella, don Dolino, Raul che si alternano con matti e disperati ‒ entrano, da protagonisti o da comparse, elementi fondamentali della storia degli ultimi cinquant’anni e della realtà quotidiana.
Ci sono la Sicilia profonda, la mafia del Sud e del Nord, l’immigrazione degli ultimi decenni del Novecento, il lavoro, la violenza, la droga drammaticamente attraversata, il carcere sfiorato, quel buco assurdo in una montagna per far passare un treno inutile e dannoso, le speranze e le delusioni della politica, il Movimento No Tav e i tanti movimenti in giro per l’Italia (e non solo), l’amore, una nuova immigrazione più complicata della precedente… E c’è, soprattutto, la vita: una vita fuori dagli schemi, dura, intensa, appassionata, vissuta.

Difficile introdurre alla lettura di un libro come questo, complesso pur nella sua brevità. Ma soccorre il fatto che i libri – quando sono buoni libri – sono un modo per parlarsi, per capirsi, per comunicare idee ed emozioni.
E allora, per sollecitare le riflessioni e le emozioni di altri, provo a comunicare alcuni dei pensieri che il libro mi ha suscitato.

Comincio dal principio, dalla scelta di Emilio di vivere del suo lavoro, evitando le scorciatoie devianti o delinquenziali imboccate e percorse dai suoi fratelli, di essere – per usare le sue parole ‒ «un sambernardo anziché un lupo».
Ho fatto il magistrato per oltre quarant’anni occupandomi prevalentemente di delitti e dei loro autori. Di barbari, marginali, ribelli. Ho detto e scritto altre volte che da loro ho imparato molto. Ma c’è una cosa che non ho capito, pur avendo cercato di farlo, scegliendo anche di lavorare, per una parte della mia vita professionale, in un tribunale per i minorenni (dove si toccano con mano i percorsi di formazione delle persone).
La domanda, inquietante, è: perché si ruba, si rapina, si uccide, si trafficano sostanze e persone? perché qualcuno delinque e altri no, pur partendo da condizioni simili? Ancora non ho trovato risposte appaganti.
Ho sempre pensato – e penso tuttora – che l’ambiente, il contesto di vita giochino un ruolo fondamentale. Ma non basta. Non c’è, non può esserci solo questo.
Così come non bastano le inclinazioni caratteriali ché, come diceva un mio raffinato presidente «se sei aggressivo e spregiudicato puoi diventare tante cose: non ultimo, con le stesse probabilità, un signore della droga, il capo di un partito politico o il manager di una multinazionale: dipende dalle condizioni di partenza e dalla fortuna».
Una cosa però ho capito: che il confine, il discrimine tra un campo e quello opposto è spesso sottile, esile, quasi impercettibile. Ebbene, con tutto questo ha molto a che fare la storia di Emilio, unico “salvato” fra i fratelli “sommersi”, con una diversità orgogliosamente rivendicata ma senza tagliare i ponti («Faccio difficoltà a ricordare tutte le carceri dove sono stato per trovare i miei fratelli con mia madre, in mezza Italia.
Andavo a trovarli perché avevano bisogno») e, anzi, rimproverando al padre di aver «buttato fuori casa» i figli, «invece di tenerseli vicini», una volta scoperto che avevano intrapreso strade sbagliate. Al mosaico delle risposte alla domanda sempre aperta la storia di Emilio aggiunge – o meglio conferma – una tessera: il peso rilevante della scelta e, con essa, delle motivazioni che la sostengano e delle persone che danno fiducia (nel caso, tra gli altri, un allenatore di calcio, un padrone paternalista ma attento e, soprattutto, una compagna insperata).

A ciò si affianca la questione della coerenza tra idee e comportamenti. Anche qui ad essere protagonista è l’esperienza.
E il viaggio, pur appena tratteggiato, del macellaio provetto, poi pescivendolo ai mercati che, abituato da piccolo a bere, per rafforzarsi, il sangue degli animali, si trasforma fino a diventare vegetariano ha un’efficacia che va oltre il caso individuale e dice della necessità e della possibilità di una riconciliazione dell’uomo con la natura e i suoi abitanti come unica strada per avere un futuro.
Struggente, in questo senso, è l’epilogo della storia, la liberazione nel Gran Bosco dei caproni che Emilio avrebbe dovuto uccidere, cosa diventata impossibile dopo averne guardato uno negli occhi: «Li abbiamo liberati, subito si sono dati alla macchia. Ho sentito i lucciconi, mi sono nascosto perché mi vergognavo di questa commozione. Ero conosciuto come un duro, uno deciso e ora di fronte a questi caproni che correvano lontano mi sentivo sopraffatto dalle emozioni. Avevo preso la decisione giusta, rispettare la vita e la libertà».

La seconda parte del libro porta in Val Susa ovvero – per Emilio è tutt’uno – nel Movimento No Tav. E, qui, i capitoli che si aprono sono infiniti.

Il primo riguarda l’essenza di quel Movimento che è diventato, per Emilio come per tanti militanti, oggetto di immedesimazione totale, ragione di vita, fino a fargli rivendicare come un onore le denunce riportate e i provvedimenti cautelari subiti per fatti connessi con la difesa della valle: «La mia – dice al fratello Pino – non è una carcerazione come la tua.
Tu eri un gigante tra i delinquenti. Io sono una montagna tra gli onesti». Spiega Emilio: «Credo di aver dato molto al Movimento, ma ho ricevuto molto di più, mille volte di più. Non solo ascoltando e studiando durante le assemblee, i convegni che si fanno, ma soprattutto andando in giro per il mondo. Incontrando persone e situazioni ti si apre la mente. Per il mio modo un po’ guascone di pormi divento amico di tutti, soprattutto dei ragazzi che si stupiscono di vedere un anziano gagliardo. Con loro non puoi bluffare».
C’è, in queste parole, tutto il Movimento: una grande occasione di presa di coscienza, un contenitore di socialità, di amicizia, di condivisione, di crescita, di accoglienza.
Un veicolo di trasformazione quasi antropologica (come scrive Marco Aime in Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi, 2016) delle persone e di una intera comunità. E si aggiunge la consapevolezza che il Movimento – come dice, del resto, la parola – non è una cosa statica ma un percorso, un processo in cui importa il traguardo ma, in maniera altrettanto decisiva, il modo in cui ci si arriva.

C’è, nel libro, un passaggio illuminante: quando descrive la mobilitazione della Valle dopo i fatti di Venaus della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005 (momento che segna la sua scelta definitiva) Emilio annota:

«L’8 dicembre sono stato emozionato nel vedere quella massa di persone che si è trovata a Venaus e cercava in tutti i modi di arrivare ai terreni. Ho capito che era davvero una lotta di popolo. Ho visto così tanta energia che ho pensato: questi hanno già vinto». Sono le stesse parole che mi è capitato di sentire nell’estate del 2012 dalla mitica Marisa in un incontro nel campeggio allestito alla Maddalena, nei pressi del ponte dove inizia la strada dell’Avanà.
Eravamo andati, Marco Revelli ed io, a presentare il libro Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa (appena pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele) e un’affermazione di Marco secondo cui la lotta contro il treno «si poteva vincere» venne corretta da Marisa con la precisazione: «abbiamo già vinto, perché abbiamo cambiato i rapporti tra di noi, abbiamo costruito una comunità, siamo qui, insieme, persone che non avrebbero mai pensato di trovarsi e di parlarsi».

Connessa con le dinamiche e la storia del Movimento c’è, evidentemente, la politica, oggi lontana e in crisi perché incapace di parlare alla vita delle persone. «Cos’è la politica?» ci chiediamo tutti, almeno tutti quelli che vorrebbero un mondo diverso e più uguale. Anche qui ho trovato nella storia di Emilio due abbozzi di risposta. Il primo è, ancora una volta, una scelta. Era il giungo 2010, il momento della costruzione della “Libera Repubblica della Maddalena”: «Sentivo che bisognava partecipare. Avevo un orologio bello, importante, placcato d’oro, prezioso, lo portai in uno di questi compra oro, mi diedero 900,00 euro. Di prezioso non c’è un orologio, c’è solo il tempo e come lo usi. Andai da un commerciante e caricai il furgone di ogni ben di Dio, cassette e cassette di frutta verdura, pasta. Quando arrivai alla Maddalena lanciai un urlo: chi viene ad aiutarmi? Riempimmo la cambusa. Ogni giorno passavano da lì centinaia di persone che bisognava sfamare». Il secondo è il coraggio, quello la cui mancanza Emilio rimprovera al Movimento5Stelle, inizialmente schierato contro il Tav in una lotta presto dimenticata e archiviata, con una sentenza sintetica e senza appello: «Sapevo che sarebbe stata dura, ma voi vi siete arresi alla prima occasione».

La natura del Movimento – contenitore, anche, di solidarietà e di accoglienza, come si è detto – porta, non poteva non portare, a incrociare le migrazioni di questo inizio di millennio: i molti giovani (e meno giovani) in transito, attraverso la Valle, verso la Francia. Respinti sempre: quando cercano di uscire dal nostro Paese come quando ci sono entrati…
E per i quali nasce, tra le montagne, una rete di soccorso variegata ed eterogenea composta da valligiani qualunque, anarchici italiani e francesi, pezzi di istituzioni locali, medici volontari, giovani e vecchi No Tav, spesso con diversità di impostazioni ma che, alla fine, concorrono ad accompagnare in Francia (a piedi o nascosti in auto) i migranti o comunque a muoversi per cercare di salvare chi rischia di morire nella neve.
Emilio non ha bisogno di pensare da che parte stare.
E mi torna alla mente una intensa pagina dell’inchiesta che a questa epopea ha dedicato Maurizio Pagliassoti (Ancora dodici chilometri. Migranti un fuga sulla rotta alpina, Bollati Boringhieri, 2019): «Ho visto con i miei occhi gli stessi uomini e donne tagliare con le tronchesine delle protezioni di ferro e tenersi in casa, per mesi, sconosciuti che poi un giorno se ne sono andati senza un saluto, lasciandoli in lacrime aggrappati a un cellulare che amaramente taceva per giorni e mesi. […] Per costoro pesano chilometriche fedine penali, piene di resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento, manifestazione non autorizzata, invasione di proprietà ecc. Il loro agire nel vasto mondo dell’illegalità relativa alla terribile vicenda della Tav ha allenato un’intera generazione al prezzo da pagare in nome di un qualcosa che si reputa giusto. Così, quando è giunto il tempo di raccattare clandestini, dargli da mangiare, disinfettargli le piaghe nauseanti, e poi portarli dall’altra parte nascosti da qualche parte, l’abitudine al confronto con lo Stato è tornata utile. In quel momento il parterre di reati si allargava inesorabilmente a favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione a delinquere. Le stesse mani che hanno gettato sassi contro lo Stato hanno salvato lo Stato dalla vergogna di avere una distesa di cadaveri ripugnanti tra i suoi boschi».

«Cercavi giustizia, trovasti la legge», canta Francesco De Gregori ne Il bandito e il campione. Ci sono molte assonanze con il vissuto di Emilio che si trova, oggi, agli arresti domiciliari «per aver fatto – per usare le sue parole – la cosa giusta». Ancora una volta risuona in una valle alpina il mito di Antigone e della sua ribellione in nome di princìpi contrapposti a interessi. Mentre lo Stato, con la sua ottusità e la sua repressione cieca, crea nuovi ribelli.

Questo e molto altro c’è in una storia che merita conoscere, in questo libro che merita leggere.

(*) Tratto da Comune-info.net. E’ la prefazione al libro “A testa alta. Emilio Scalzo” di Chiara  Sasso (con la postfazione di Nicoletta Dosio) edizioni Intra Moenia. Per sapere in quali librerie è possibile acquistare il libro scrivere a emilio.atestaalta@gmail.com

alexik

Un commento

  • LA TORINO-LIONE È COERENTE CON LA STRATEGIA CLIMATICA DELL’UNIONE EUROPEA?

    LETTERA APERTA di Luca Mercalli, Angelo Tartaglia, Ugo Bardi, Sergio Ulgiati, Gianni Silvestrini, Pietro Salizzoni
    AI LEADER DELL’UNIONE EUROPEA

    La Commissione Europea ha indicato per tutta l’Unione Europea l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera di almeno il 55% entro il 2030, rispetto al livello del 1990.
    Inoltre, la Commissione Europea ha ribadito l’intenzione di raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
    Rivolgendosi al Consiglio europeo e al Parlamento europeo sul Green Deal europeo, la Commissione ha sottolineato la necessità di valutare sistematicamente la coerenza tra la legislazione attuale e le nuove priorità. Al fine di garantire che tutte le iniziative del Green Deal raggiungano i loro obiettivi, la Commissione prescrive che tutte le proposte legislative e gli atti delegati includano un memorandum contenente una sezione specifica che spieghi come ogni iniziativa sia conforme al principio “non nuocere”.
    Considerando progetti come lo scavo di un tunnel internazionale tra Italia e Francia a servizio della nuova ferrovia Torino-Lione, è accertato che la fase di costruzione comporterebbe un aumento netto delle emissioni di gas serra: gli stessi proponenti stimano un’emissione complessiva di 10 milioni di tonnellate, anche se la loro valutazione non è certificata da alcuna autorità indipendente.
    La Corte dei conti europea, nel suo Rapporto Speciale n. 10/2020, osserva che il progetto Torino-Lione è costantemente in ritardo rispetto al calendario ufficiale e che il suo completamento non può avvenire entro il 2030. Ciò significa che l’aumento netto della fase di emissione non terminerà probabilmente prima degli anni ’40 del secolo.
    Le emissioni e i relativi danni climatici sono certi, mentre il sequestro del carbonio è altamente incerto e sicuramente tardivo, dato che dobbiamo raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette. Come quando il “Il medico arriva al letto del paziente dopo la sua morte”.
    Nello stesso rapporto, la Corte dei conti europea osserva anche che c’è un forte rischio che gli effetti positivi (in termini di riduzione dell’impatto) di molti progetti come quello della Torino-Lione siano sopravvalutati. In generale, tali effetti dipendono dai livelli di traffico e dal trasferimento modale ed entrambi tendono ad essere sistematicamente sopravvalutati. In pratica, per la Torino- Lione, una compensazione delle emissioni iniziali in eccesso potrebbe difficilmente avvenire prima del 2050 o anche molto più tardi, se le previsioni di traffico e di trasferimento modale non sono confermate.
    Alla luce di quanto sopra, il sostegno dato dall’UE alla Torino-Lione (e a progetti simili) è coerente e compatibile con gli obiettivi ambientali fissati dall’UE?
    In che modo?
    Gli investimenti ad alta intensità di capitale producono più posti di lavoro degli investimenti finalizzati al perseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica e della resilienza diffusa?
    Firmatari
    Luca Mercalli, President of the Società Meteorologica Italiana
    Angelo Tartaglia, Politecnico di Torino
    Ugo Bardi, Università di Firenze
    Sergio Ulgiati, Università degli Studi di Napoli Parthenope
    Gianni Silvestrini, President of the scientific committee, Kyoto Club
    Pietro Salizzoni, Ecole Centrale, Lyon
    Destinatari
    Mrs. Ursula von der Leyen, President of the European Commission
    Mr. Charles Michel, President of the European Council
    Mr. David Sassoli, President of the European Parliament
    Mr. Frans Timmermans, Executive EC vice-president: European Green Deal
    Mrs. Adina Vălean, EU Transport Commissioner
    Mr. Virginius Sinkevičius, EU Commissioner for the Environment
    Cc Presidents of the European Parliament groups
    Cc Italian Ministry of Environment
    Cc Italian Ministry of Infrastructures
    Cc French Ministry of Ecological Transition, Transport and Infrastructures

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