Energie che non si rinnovano

articoli di Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Serafini, Massimo Scalia, Angelo Tartaglia, Per il Clima – Fuori dal Fossile

Per il Clima – Fuori dal Fossile: Riportare la discussione sul giusto binario, per salvare le vite, tutelare l’ambiente e progettare il futuro.

Fino ad ora il nostro Coordinamento si è astenuto dall’emettere comunicati e fare commenti, perché di fronte alla catastrofe che si è avverata nelle nostre zone, ci è sembrato prioritario concentrare ogni sforzo nell’aiuto alle persone e alle zone più colpite, evitando di soffiare sul fuoco delle litigiosità e delle polemiche.

Ci sarà tempo per valutare se la gestione dell’emergenza in corso sia stata adeguata, e intanto inviamo un fraterno saluto e la più sentita gratitudine  a tutte e tutti coloro che – in collegamento con le Istituzioni o in forma autorganizzata – si stanno facendo in quattro per alleviare le sofferenze.

Ma non possiamo del tutto tacere, di fronte all’aggressività con la quale in questi giorni è partito all’attacco il partito trasversale della vera e propria “caccia agli ambientalisti”, che cerca di dipingere, con un misto di disinformazione e vere e proprie calunnie, un quadro quanto mai lontano dalla realtà. Si cerca il capro espiatorio a tutti i costi, probabilmente per deviare l’attenzione da una discussione seria su cause e responsabilità. E dobbiamo registrare con amarezza che a questo partito trasversale si è definitivamente iscritto anche il Sindaco di Ravenna Michele De Pascale, che nelle sue numerose apparizioni televisive e sulla stampa nazionale e locale, si è scagliato contro i movimenti ambientalisti, a suo dire  fra i principali responsabili del disastro.

Come se al governo in questi decenni ci fossero stati i movimenti ambientalisti, come se la necessità di ridurre in maniera significativa le emissioni di gas serra e contenere le conseguenze sempre più disastrose del cambiamento climatico (posizione portata avanti in maniera condivisa da tutta la comunità scientifica competente, non solo dalle associazioni e dagli attivisti) fosse una pura e semplice ipotesi, come se non fosse vero che il consumo di suolo ha impermeabilizzato vaste aree di territorio.

Secondo tutti gli studi seri a livello internazionale l’uso delle fonti fossili è fra le principali cause delle emissioni climalteranti e del conseguente riscaldamento globale,  e gli eventi estremi sono direttamente proporzionali ad esso. Si ponga l’attenzione al fatto che a livello europeo, nel decennio 1970-1980 si erano registrati quarantasei eventi estremi, che nel periodo1990-2000 erano diventati 353, e nel decennio 2010-2020 sono arrivati a diecimila. E minacciano di raggiungere la spaventosa cifra di quarantamila nel decennio 2030-2040.  Di qui a decidere di iniziare subito e con la massima decisione, in tutto il mondo (ma anche ovviamente cominciando dalle scelte locali) ad abbandonare il sistema delle fonti fossili il passo dovrebbe essere immediato, e invece si continuano a promuovere  rigassificatori (anche prevedendo ulteriori semplificazioni di procedura, come si afferma nell’ ultima deliberazione del Governo), trivellazioni, nuovi gasdotti e ogni altra struttura legata all’ estrattivismo.

Che aver cementificato in maniera scriteriata sia una delle cause del progressivo dissesto è opinione diffusa fra i geologi. Anche studiosi e tecnici non particolarmente schierati su posizioni ambientaliste, affermano che bisognerebbe dare spazio ai fiumi, allargarne le aree a disposizione delle acque, evitando di insediare in esse ulteriori attività e abitazioni. E invece oggi si propone di alzare argini e cementificare di più e si accusano gli ecologisti di aver ostacolato le scelte a tutela dei territori, quegli ambientalisti che spesso hanno organizzato anche di propria iniziativa le pulizie dei fiumi infestati da rifiuti di ogni genere.

Purtroppo dobbiamo per l’ennesima volta prendere atto che il grosso del mondo politico e delle Istituzioni stanno caparbiamente schierati dalla parte del mercato e del profitto fossile, e dato che l’ unico vero contrasto alla realizzazione dei disegni più distruttivi e anacronistici è rappresentato da quella parte della società civile che propone alternative diverse, si cerca di screditarla inventando storie che non esistono Come quella di un esercito ambientalista schierato a difesa delle tane delle nutrie e degli istrici, quando anche tecnici della Regione giudicano tale problema assolutamente marginale, perché monitorato e bonificato durante le consuete manutenzioni; o come quella della vegetazione golenale come causa delle esondazioni, quando vi è documentazione di come gli argini dove la vegetazione è stata eliminata siano stati erosi dall’ acqua anche maggiormente. Bisognerebbe invece, per esempio,  andare avanti nel completamento della costruzione delle casse di espansione per i nostri corsi d’acqua, attività che non è stata adeguatamente portata avanti da De Pascale, il quale – Sindaco da sette anni – ora accusa chi questo comune non lo ha mai amministrato.

E gli esempi possono continuare all’infinito.

Per questo noi non solo respingiamo al mittente tutte le accuse ottuse, offensive e in mala fede che vengono rivolte a chi propone una vera transizione ecologica, ma chiediamo anche alla base  delle forze politiche che governano Regione e Comune di far sentire la propria voce. Abbiamo sentito non poche  voci di dissenso verso il Governo, verso il Presidente della Regione e il Sindaco di Ravenna anche fra le persone che fanno parte dei loro partiti.

A Ravenna, il 6 maggio, come in marzo a Piombino e in aprile a Cagliari, molta gente è scesa in piazza per sbarrare la strada alle scelte dannose per tutte e tutti e per il futuro delle giovani generazioni. Dobbiamo continuare su quella strada, anche per contrastare il ripetersi sempre più frequente di eventi estremi come quelli di questo periodo.

Oggi viviamo i giorni del dolore e della solidarietà. Ma non sono mai cessati i giorni della lotta e della costruzione delle alternative dal basso.

Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”

da qui

 

L’ITALIA DEL GAS E DELLE ALLUVIONI RAGGIRA IL GREEN DEAL UE – Mario Agostinelli

 

Il governo Meloni non tiene il passo del sistema di aiuti europei, non solo sul PNRR. IL 27 Giugno scade la data di aggiornamento dei piani nazionali climatici e sull’energia che fanno riferimento agli obbiettivi del Green Deal UE, che prevede la neutralità climatica per il 2050. Quali obbiettivi raggiungerà il nostro Paese?

 

Il consiglio di 28 accademie scientifiche nazionali degli Stati membri dell’Ue (v. www.easac.eu ), ha elaborato un documento in cui spiega l’urgenza di uscire dal gas, aggiungendo che per aumentare massicciamente la produzione di energia elettrica da rinnovabili occorre sostenere le famiglie e le imprese vulnerabili per limitare la povertà energetica e gli impatti derivanti da bollette energetiche elevate. Un programma dettagliato e ragionevole, in cui si esclude che investimenti in gas naturale vengano considerati compatibili con l’obbiettivo di contenere la temperatura del Pianeta entro 1,5°C.

Eppure, il 23 maggio, il nostro Consiglio dei Ministri ha approvato, proprio nel decreto per le alluvioni in Emilia-Romagna, una norma che, all’art 6, consente di “realizzare nuova capacità di rigassificazione e di spostare, per utilizzarle altrove, se occorre, le navi che stoccano e rigassificano gas liquefatto”. La contraddizione è palese e contiene addirittura una provocazione: l’emergenza non si concentra solo sulle popolazioni colpite, ma viene in subdolo soccorso degli interessi di Big &Oil,  tra i responsabili accertati degli eventi disastrosi cui assistiamo.

E’ ormai grande la distanza dei governi dalle emergenze epocali che la scienza segnala e a cui le nuove generazioni dedicano finalmente grande attenzione. Non si tratta più soltanto di una “Greta” da isolare quando contesta gli effetti letali delle combustioni fossili, ma di un’ondata in crescita di ragazze e ragazzi che hanno consapevolezza di quanto il presente non prepari per loro un  futuro desiderabile.

Occorre rendersi conto che, con un lavoro assiduo e dietro le quinte dei comitati, dei think-tank e dei conferenzieri strapagati, ma anche dentro le commissioni istituzionali dei Parlamenti nazionali della UE e dei vari G7, sta prendendo piede la versione più recente del negazionismo climatico: le rinnovabili consumeranno troppi materiali rari, non potranno raggiungere il 100% e dovranno obbligatoriamente cedere il passo ad un pesante soccorso di gas e nucleare per “scollinare” il 2050. Risulta così ancor più brusca la distanza tra la scienza (non solo quella di fisici eccellenti come Rovelli o Parisi, ma quella dell’intero staff globale dei climatologi dell’IPCC) ed i governanti, che si alleano per andare all’attacco degli accordi internazionali sottoscritti a Parigi nel 2015 e anno dopo anno infranti.

 

Le manovre di avvicinamento tra il Ppe (destre classiche) e i sovranisti (destra estrema), nella prospettiva delle prossime elezioni europee (6-9 giugno 2024), si stanno concentrando proprio sul freno al Green New Deal UE. I contatti sono sempre più stretti e contano anche sulle convenienze di settori finanziari e industriali legati alle fonti fossili e nucleari e sulla influenza sui rispettivi governi (si veda le nomine negli enti del governo italiano) di imprese partecipate che approfittano della guerra in Europa per accumulare extraprofitti da impianti obsoleti e drammaticamente nocivi. Un recente studio pubblicato da Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace (v. https://www.recommon.org/la-strategia-sul-clima-di-eni-non-rispetta-obiettivi-accordo-di-parigi/ ) ha calcolato che meno del 20% degli investimenti previsti da Eni nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energie rinnovabili, superando del 70% la prevista riduzione delle emissioni previste dalla IEA per il 2030.

La destra europea, compresa quella italiana, punta – dopo l’invasione russa dell’Ucraina – a mantenere gas e nucleare in una funzione cruciale nella transizione verso il “tutto elettrico”. E la ragione politica sfugge tuttora agli ambientalisti e alle sinistre: c’è un tratto di liberismo che è ampiamente sostenuto nel mercato energetico. Da quando i flussi energetici statunitensi hanno contribuito a sostituire buona parte del petrolio e del gas russi, l’aspetto proprietario dello shale gas americano fornito da produttori indipendenti ed estratto su terreni di proprietà privata, viene giocato sul libero mercato. In tal guisa, il GNL diviene proprietà dell’acquirente non appena viene caricato su un’apposita nave cisterna ed il carburante è considerato franco a bordo (FOB) in quanto all’acquirente è data la flessibilità di spostarlo in qualsiasi luogo desideri. Ciò significa spesso vendere il gas liquefatto nel luogo in cui il prezzo produce il maggiore profitto. Un danno per i consumatori, ma non per Eni e per le aziende private o ex municipalizzate che hanno interesse ad avere più gas in circolazione ed a venderlo ovunque richiesto, in Italia o altrove, possibilmente sul mercato spot, perché questo massimizza i profitti.

(v. Mark Finley e Anna Mikulska in https://www.linkiesta.it/2023/05/gas-gnl-ucraina-russia-stati-uniti-europa/ ).

Quindi, mantenere turbogas e condotte e puntare a fare dell’Italia “l’hub europeo del gas” (un punto di vendita nel caso di sovrabbondanza) significa badare ad interessi molto precisi, a danno, ovviamente, della sostituzione con energie da rinnovabili (ad uso misurato delle comunità locali). Il governo Meloni non vuole “scatenare le rinnovabili”, mentre non ha problemi a dare immediata via libera ad una nave “gasiera” – una fabbrica galleggiante che arriverà a giugno a Ravenna, mentre un impianto simile è arrivato a Piombino a marzo tra mille polemiche. Intanto è in costruzione un nuovo gasdotto tra Sulmona, in Abruzzo, e Minerbio, in provincia di Bologna, per nuova capacità di rigassificazione nazionale, qualificato come “opera di pubblica utilità indifferibile e urgente.

“Ovviamente le compagnie del gas puntano ai fondi del PNRR e di RePowerEu, o, almeno, ad ottenere garanzie pubbliche per un piano di investimenti che ci legherà ancora di più al gas negli anni a venire: non importa se la domanda interna diminuisce, si venderà altrove. E il clima e gli eventi catastrofici, ovviamente, renderanno ancora più insopportabili le guerre in corso.

Velocizzare l’installazione di impianti eolici e solari, sviluppare le “comunità energetiche”, agire sull’efficienza, riconvertire i consumi richiede mobilitazione ed una coalizione sociale che sappia fare un’opposizione propositiva per giovani e lavoro. Le iniziative svolte il 27a Roma e quelle in preparazione su tutto il territorio nazionale per la prima decade di Giugno fanno bene sperare.

da qui

 

 

Il Governo, conservatore e arretrato, frena innovazione e rinnovabili e punta sui fossili – Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Serafini, Massimo Scalia

(Osservatorio sulla transizione ecologica)

 

A fronte della catastrofe emiliano-romagnola, a cui potrebbero seguirne altre, anche in ragione della posizione geografica della nostra penisola, protesa verso un’Africa surriscaldata dal cambiamento del clima e contornata da mari che richiamano precipitazioni e tempeste violente aggravate dal colpevole dissesto idrogeologico,

risulta sorprendente l’ordine di priorità che, nei fatti, i governi hanno dato alla “lotta” al cambiamento climatico: continuità del sistema energetico fossile, del consumo di suolo, del proliferare di inutili infrastrutture.

L’uso delle risorse è squilibrato e segnato anche da un disinteresse alla pace, dopo che l’UE ha messo in campo addirittura una sorta di PNRR delle armi, che acuisce gli effetti perversi della crisi climatica attuale.

Sarebbe del tutto ragionevole che, dal momento che si sta ridiscutendo della destinazione del PNRR, si attui una riconversione verso obiettivi ambientali come il governo delle acque, ormai indifferibile, affinché agricoltura e forniture idriche per uso civile e industriale abbiano certezza di fornitura.

Gli investimenti sulle rinnovabili sono sostanzialmente fermi, se si considera che solo la misura del 110 % ha per ora incrementato il fotovoltaico. Non c’è ancora lo sblocco dell’eolico off-shore, malgrado importanti progetti di investimento, ormai finanziati, come a Civitavecchia e nelle Isole. Si perde tempo prezioso, non si avviano investimenti innovativi nella produzione manifatturiera di energie rinnovabili. Nessuna nuova proposta per l’ex-Ilva e solo un progetto Enel in Sicilia per pannelli eolici, pronto a migrare dove verrà attratto da maggiori incentivi.

L’attenzione e i quattrini vanno agli investimenti fossili, in un clima di emergenza che segnerà forse decenni. In particolare, nel gas su impulso dell’Eni che ha convinto il governo a farsi dare nuovi fondi del PNRR per l’assurdo progetto di nascondere la CO2 prodotta nel sottosuolo, proprio laddove la tragedia dell’alluvione ha colpito oltre ogni immaginazione.

La strategia di ENI spinge il nostro Paese a violare gli impegni climatici assunti, in sede UE. La ‘partecipata’ dello stato continua nell’espansione di petrolio e gas e, di fatto, riserva alle rinnovabili un ruolo secondario. Meno del 20% degli investimenti previsti da Eni nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energie rinnovabili, superando del 70% l’impegno a ridurre le emissioni previste dalla IEA.

A nessuno può sfuggire che il sistema di rinnovabili, accumuli e comunità energetiche può creare posti di lavoro di qualità, nonché produzioni innovative a cui la manifattura italiana è in grado di riconvertirsi, in particolare al Sud.

Anche nel settore automotive, il governo ha svolto un ruolo di retroguardia. Anziché concordare con altri partner europei progetti innovativi si è trovato isolato su posizioni conservatrici di mantenimento dei motori endotermici.

I progetti per costruire comunità energetiche prevedono fondi a sostegno, ma gli strumenti non sono ancora funzionanti: si continua nella nebbia di provvedimenti incerti o difficilmente applicabili.

Il rinvio e il ritardo sembrano essere la regola per scelte decisive e improrogabili. Risorse senza limiti e con assoluta rapidità sembrano appannaggio solo delle fonti fossili, come nel caso dei rigassificatori e delle navi metaniere, una stabilizzazione avversa alla decarbonizzazione.

Con un gioco perverso di manipolazione, perfino il nucleare esistente, viene spacciato per nuovo, malgrado sia costoso e insicuro, come ci ricorda la decisione presa in questo mese dal governo giapponese – a 12 anni di distanza dall’incidente – di sversare in mare i serbatoti radioattivi di Fukushima, ormai al colmo di acqua irrimediabilmente contaminata. Il nucleare è come il ponte sullo stretto: la destra al governo non resiste a riproporlo, incurante delle conseguenze economiche e sociali, dei rischi, dei costi spropositi per la sicurezza e la qualità della vita

Purtroppo, la crisi climatica è collocata solo sull’onda dell’emozione dei disastri in corso e non sta al centro dell’impegno del nostro governo.

Occorre che tutte le sensibilità ambientaliste e per la giustizia sociale si uniscano in una iniziativa comune, pronti a ricorrere, se provocate, anche ad un terzo referendum popolare contro il nucleare. Esse stanno organizzando per la prima decade di Giugno manifestazioni, presidi e occupazioni in tutti i territori e di fronte ai Ministeri responsabili con lo slogan “Scatena le rinnovabili”, perché pale eoliche e pannelli solari possono spezzare le catene dello sviluppo fondato sul fossile.

da qui

 

 

Energia rinnovabile: la grande presa in giro – Angelo Tartaglia

Abbiamo già altre volte parlato, in questa sede, di Comunità dell’energia rinnovabile o più semplicemente CER (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/12/09/autoprodurre-lenergia-da-rinnovabili-locali-la-legge-ce-ma-non-la-fretta/) e non è quindi il caso di tornare su cosa siano e cosa permettano di fare. Sottolineo solo che le CER stanno sollevando un notevole interesse e ci sono gruppi, associazioni neocostituite o costituende, enti con finalità sociali, pubbliche amministrazioni e altro ancora, che si stanno attivando, già da mesi, per realizzare delle comunità. Nel farlo tutti si ispirano e si proporzionano su ciò che si ritiene ragionevole e sul dettato di una norma formalmente in vigore dal 15 dicembre 2021, in sostituzione della precedente, operativa dal 1 marzo 2020 (https://volerelaluna.it/ambiente/2023/01/19/come-scoraggiare-lautoproduzione-di-energia/). Il problema è che in ambito normativo, soprattutto quando ci sono degli interessi in gioco, la ragionevolezza non è per nulla il criterio base e anche l’operatività di norme pubblicate in Gazzetta Ufficiale non è per nulla ovvia.

Ricapitoliamo schematicamente la vicenda. Ciò di cui parliamo sono le CER e che cosa queste siano ce lo suggerisce il buon senso. Siamo un gruppo di utenti dell’energia dislocati in una stessa porzione di territorio; ci attrezziamo per recuperare energia “rinnovabile” lì dove viviamo o operiamo; quando gli impianti saranno attivi ci organizzeremo per condividere l’energia che essi riversano in rete, ovviamente condividendo anche gli eventuali costi. Per motivi pratici la condivisione avverrà per il tramite della rete di distribuzione pubblica e questo servizio, tutti insieme, dovremo pagarlo. Va da sé che se faremo così diminuirà la quantità di energia proveniente, sempre tramite la rete pubblica, da impianti remoti altrui, che ciascuno di noi dovrà acquistare. Questa energia “remota”, il cui volume intendiamo ridurre, è quella gestita da operatori commerciali, più o meno grandi, che hanno finalità diverse dalle nostre.

Lasciando da parte peculiari vicende storiche non replicabili (esistono in Italia delle comunità “storiche” alcune delle quali costituite agli inizi del ‘900), un primo stimolo a costituire delle CER viene da alcune direttive europee, in particolare la cosiddetta RED II, pubblicata l’11 dicembre 2018. Gli Stati membri dovevano recepire i contenuti della direttiva nei loro ordinamenti entro il 30 giugno 2021. L’Italia si muove (si muove?) lentamente sicché, per iniziativa parlamentare, il cosiddetto “milleproroghe” del 2019 recepisce un emendamento che diviene l’art. 42 bis della legge n. 8/2020, entrata formalmente in vigore il 1 marzo 2020. Tale articolo si presenta come una norma ponte in attesa del pieno recepimento della RED II e consente la realizzazione delle CER sia pure in un assetto transitorio. I vincoli e le connotazioni di queste CER permettono, soprattutto fuori dalle grandi aggregazioni urbane, la formazione di comunità molto piccole in cui, per forza di cose, i flussi di scambio sono molto modesti. In concreto il numero di queste comunità effettivamente costituite è estremamente ridotto. Uno dei vincoli comunque prevede che gli impianti a disposizione della comunità per lo scambio di energia al suo interno possano essere solo quelli allacciati alla rete dopo il 1 marzo 2020. Comunque sia, lo schema di comunità previsto non ricalca la comunità suggerita dal buon senso, di cui ho parlato in precedenza, in quanto si preoccupa innanzitutto di salvaguardare il tradizionale regime di mercato in cui il singolo consumatore o anche produttore/consumatore si affaccia. Semplicemente, a questo regime dato viene sovrapposto un regime di incentivi proporzionale al flusso di energia virtualmente scambiato all’interno della comunità entro ogni intervallo orario, così come rilevato dalla lettura dei contatori. In pratica ciascuno continua a pagare o incassare come se la comunità non ci fosse, ma quest’ultima si vede assegnare una tariffa incentivante proporzionale a quanto formalmente scambiato. Tariffa incentivante che è a carico di tutti gli utenti italiani dell’energia, che la pagano attraverso gli oneri di sistema presenti in bolletta. Insomma, anche i kWh che i contatori indicano come scambiati (quindi provenienti dagli impianti della comunità) vengono pagati a un soggetto commerciale esterno, salvo però a servire come base per il calcolo di un incentivo.

La norma ponte viene superata (o dovrebbe esserlo) al momento del pieno recepimento della direttiva europea, che effettivamente avviene col decreto legislativo n. 199/2021, che entra formalmente in vigore il 15 dicembre 2021, quasi sei mesi dopo il termine previsto dalla direttiva. Come avviene però sovente, il decreto legislativo n. 199 è sì in vigore, ma ahimè non è operativo, perché per esserlo richiede alcuni ulteriori provvedimenti attuativi; in particolare due, in capo rispettivamente all’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) e al ministro competente (il ministero corrispondeva dapprima all’acronimo MITE e oggi all’acronimo MASE). Il provvedimento di ARERA, in base al decreto 199, era dovuto entro 90 giorni (dal 15 dicembre 2021), quello del ministro entro 180 giorni.

ARERA ha pubblicato la sua delibera (727/2022/R/EEL) il 27 dicembre 2022 (413 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto 199); del provvedimento del ministro si sono perse le tracce. Il guaio è che anche la delibera ARERA, come sta scritto nel testo della medesima, si applica solo a partire dalla data del provvedimento ministeriale, per cui oggi ci si trova ancora nel regime transitorio dell’art. 42 bis. Nel gennaio del corrente anno, un giorno sì e l’altro anche, il ministro andava dichiarando in Parlamento, in Commissione, ai giornalisti, in riunioni del suo partito, in incontri con pubblici amministratori… che il decreto era pronto sulla sua scrivania e lui stava per firmarlo, anzi lo aveva firmato ma si stava aspettando l’ok dell’Unione Europea. Ora, l’Unione Europea ha da dire la sua sull’intricata vicenda dell’uso dei fondi PNRR (una cui voce riguarda l’erogazione ai piccoli comuni di finanziamenti finalizzati alla realizzazione di impianti al servizio di CER), ma non sul regime degli incentivi per lo scambio virtuale, che è quanto il ministro dovrebbe ridefinire. Comunque, dopo di allora, sull’atto ministeriale è calato il silenzio.

Cionondimeno in giro per l’Italia molti stanno (stiamo) lavorando per far partire comunità sulla base del decreto n. 199: riferimento alla cabina primaria (trasformatore alta/media tensione) e quindi a un ambito territoriale che consente volumi di scambio adeguati, ad esempio; ma al momento vale sempre il 42 bis (cabina secondaria). Ingenuamente poi, confidando in quanto scritto al punto a) del primo comma dell’art. 8 del citato decreto legislativo n. 199 (che ha valore di legge) si fanno (facciamo) i conti considerando come impianti al servizio della comunità quelli che sono entrati in servizio dopo l’entrata in vigore, appunto, del decreto n. 199 (15 dicembre 2021), ma, tanto per cambiare, l’interpretazione ministeriale sembrerebbe essere che gli impianti che contano sono quelli che si comincino a costruire dopo l’entrata in vigore del suo (ministro) provvedimento attuativo che chissà quando arriverà, checché ne dica il succitato art. 8.

A prescindere da tutto questo c’è, nel merito, anche dell’altro: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». Il mitico decreto legislativo n. 199 (la legge), all’art 32, comma 3, punto c) specifica che i clienti domestici (soci di comunità dell’energia) possono optare per lo scorporo in bolletta dell’energia che condividono all’interno della CER e dà ad ARERA il compito (entro i famosi 90 giorni) di stabilire come tali soggetti debbano agire per comunicare la loro scelta. Si tratta insomma dell’applicazione del buon senso cui facevo riferimento all’inizio di questo scritto: se condividiamo energia prodotta dai nostri impianti, perché dovremmo pagarla a soggetti esterni che non la producono? Ebbene l’Autorità, nella sua delibera del 27 dicembre scorso (quella stessa che per diventare operativa aspetta il provvedimento ministeriale di cui si sono perse le tracce) afferma che lo scorporo sarebbe complicatissimo (non spiega perché, visto che le informazioni necessarie ad attuarlo sono quelle stesse che servono a calcolare la tariffa incentivante e sono fornite dalla lettura dei contatori) e che pertanto non può essere attuato subito (anche nel momento in cui il ministro pubblicasse il suo atto relativo al regime degli incentivi); non dice nemmeno quando lo si attuerebbe. La domanda è “chi gli ha dato la patente?”; scusate: da quando ARERA ha potestà di sospendere o dilazionare sine die una norma dello Stato? C’è di più; sempre ARERA nella sua delibera prescrive (?) che, quando si attuerà lo scorporo, la quota parte di tariffa incentivante che corrisponde a colui o colei che ha scelto lo scorporo non venga attribuita alla CER (come dice la legge), bensì al venditore (di energia) del socio. Che bisogno c’è di Parlamenti, Governi e così via? al bene del paese provvedono le “autorità”! Tra l’altro, l’applicazione dello scorporo (l’autorità lo chiama scomputo) esteso a tutti i legittimi soci di una comunità (non solo a quelli domestici), oltre ad essere un’applicazione del buon senso, permetterebbe di fare a meno di erogare una tariffa incentivante a carico di tutte le utenze nazionali, in quanto l’energia scambiata va oggettivamente in detrazione a quella che il gruppo deve acquistare all’esterno a prezzi di mercato, permettendo quindi un risparmio diretto, facilmente comprensibile e consistente sulle bollette di tutti i soci, fermo restando che si continuerebbe a pagare il costo del trasporto attraverso la rete pubblica (solo a bassa tensione, però).

Tanto per non farci mancare niente, a tutte queste questioni giuridico-burocratico-amministrative possiamo aggiungere anche qualcosa di concreto e materiale. La rete pubblica non è al momento adatta a recepire rilevanti volumi di energia immessa in modo diffuso a bassa tensione: occorre provvedere, con adeguati investimenti, a una ristrutturazione generale. Qualcosa sta avvenendo, ma senza troppa fretta, anche se al momento ci sono porzioni del territorio nazionale in cui la rete risulta letteralmente satura riguardo all’allaccio di piccoli impianti da rinnovabili. Se ci diamo da fare con grande entusiasmo per attivare nuovi impianti al servizio di comunità dell’energia possiamo poi trovarci di fronte al fatto che l’allacciamento alla rete può tardare, rispetto al momento in cui lo chiediamo, di parecchi mesi, se non peggio. O anche, per impianti recenti già allacciati, possiamo scoprire che essi vengono per certi periodi disconnessi d’ufficio per evitare appunto scompensi sulla rete inadeguata.

In questa horror story, poi, quando facciamo riferimento alle pubbliche amministrazioni e in particolare ai comuni (che la legge dice possono essere parte, insieme ai privati, delle CER), si mettono pure di mezzo le Corti dei conti che possono avere criteri diversi da regione a regione e che, per quanto riguarda il tipo di soggetti giuridici che coinvolgano pubbliche amministrazioni, pretendono di limitare una legge recente utilizzando una legge precedente (gli ingenui pensano che una norma nuova superi quelle vecchie, ma per la burocrazia, contabile o meno, le cose sono sempre più complicate). Il legislatore intanto dorme.

In conclusione, riguardo alle Comunità dell’energia (e alla transizione energetica), siccome tutto quello che avviene non pare essere casuale (vi prego, non datemi del complottista), io ho la sensazione di trovarmi di fronte a una titanica presa in giro. L’espressione al giorno d’oggi potrebbe essere decisamente più vivace e vernacolare, ma io sono all’antica… Intanto, chi ha come bussola il fare affari qui e ora (comprese grandi aziende a partecipazione pubblica), si preoccupa di continuare a trivellare il mondo per recuperare combustibili fossili (che si vendono benissimo), di acquistare metano qua e là per rigassificarlo in Italia e poi venderlo al resto d’Europa (e fare affari, innanzi tutto), di sollecitare il ritorno al nucleare (con grandi investimenti pubblici) diffondendo stupidaggini assolute riguardo all’impossibile sua “pulizia” (https://volerelaluna.it/controcanto/2022/12/16/la-fusione-nucleare-non-ci-salvera/) e così via…

L’articolo è in corso di pubblicazione anche su Obiettivo Ambiente, notiziario di Pro Natura Torino

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Redazione
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