Taranto: eppur si chiude

 

Alessandro Marescotti spiega “dati causa e pretesto, le attuali conclusioni” della vicenda Ilva, a seguire link ad articoli di Marina Forti, Antonia Battaglia, Gruppo di Intervento giuridico, Medicina Democratica, un documentario di Arte.tv, un articolo del quotidiano Domani, vignetta di Staino

 

Anatomia di un disastro ambientale – Alessandro Marescotti

Questa condanna è stata un terremoto. E’ importante conoscere e comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione del processo e della sentenza, in cui tutti oggi vi parleranno, ecco qui un glossario.

Ci sono sette cose importanti da sapere per comprendere le sette novità di questo processo. Leggendo le carte processuali, ho avuto la conferma di aver dato l’impulso iniziale alle indagini nel 2008 scrivendo di mio pugno, a nome di PeaceLink, l’esposto sulla diossina da cui è partito tutto. Ma la carta decisiva del processo è stata la perizia epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco. Ne parleremo nel settimo punto di questo articolo. 

Oggi il processo, lungo e tortuoso, è approdato alla sentenza di primo grado. 

Leggerete tanti commenti. E’ una vicenda scomoda perché toccava i peccati siderurgici della sinistra. Una vicenda che è stata messa a tacere e derubricata da tutti gli schieramenti a questione locale, nonostante le terribili implicazioni sanitarie, salvo poi diventare d’improvviso – di tanto in tanto – questione strategica nazionale quanto si parlava di economia.

Tuttavia una delle ragioni oggettive della scarsa attenzione è purtroppo dovuta ad una certa complessità della vicenda. Bisogna conoscere e comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione del processo, in cui tutti oggi vi parleranno, proverò a scrivere un glossario. E’ stato un processo diverso, qualitativamente diverso dai precedenti processi all’ILVA dei Riva, già condotti da Franco Sebastio, un procuratore molto determinato. Sebastio ha avviato le indagini nel 2008 e messo un paio di anni dopo sotto controllo le telefonate dell’ILVA. Ma non ha potuto seguire il processo perché, guarda caso, lo hanno mandato anticipatamente in pensione in virtù di un’apposita norma ad hoc. Da Roma confidavano in un successore meno “spigoloso”. (https://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/47674.html)  

Questo processo è sicuramente uno dei più imponenti mai celebrati fra quelli che si occupano di ambiente. Ed è quello più delicato in assoluto. 

Riassumerò pertanto la vicenda evidenziando le cose importanti da sapere con sette parole chiave, sperando di fare cosa utile a tutti i lettori.

1.      DIOSSINA. Le indagini nascono dopo un esposto sulla diossina presentato alla Procura della Repubblica nel febbraio del 2008 da PeaceLink. Nell’esposto si allegano le analisi di un pezzo di pecorino di pecore e capre che avevano pascolato attorno all’ILVA. (https://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/25341.html) Il pecorino mi era stato consegnato da Piero Mottolese, un ex operaio ILVA. Il pastore del pecorino è morto per un tumore. La diossina è cancerogena (IARC classe I) ed entra nella catena alimentare. Questo processo per la prima volta si è occupato a Taranto della contaminazione siderurgica della catena alimentare, puntando su un reato di particolare gravità: avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 del codice penale). La diossina è industrialmente connessa a un impianto che tecnicamente è definito “impianto di sinterizzazione”, anche detto di “agglomerazione”. L’ILVA di Taranto è dotata del più grande impianto di agglomerazione d’Europa, con un camino alto 212 metri (il camino E-312). La diossina è fuoriuscita, determinando una grave contaminazione dei terreni circostanti, anche dagli elettrofiltri di questo camino. Le “polveri alla diossina” degli elettrofiltri sono state trasportate dal vento sul territorio circostante, anche sui pascoli dove brucavano le capre e le pecore delle storiche masserie locali. Un dettaglio di non poco conto: la diossina fino al 2005 (anno della rivelazione fatta da PeaceLink) è stata trattata come una sorta di segreto industriale. Pensate che a Genova non ne hanno mai saputo nulla della diossina. Gli ambientalisti, i chimici e i giudici del processo genovese per inquinamento non hanno mai cercato la diossina perché neppure sospettavano che l’ILVA fosse una fonte di diossina. La diossina è stata casualmente scoperta in seguito, nel 2005, da PeaceLink curiosando sui database online INES ed EPER, sui quali era classificata come PCDD e PCDF. Google era appena nato. Quei dati non entravano nei motori di ricerca. E da quella scoperta è partita la decisione di andare a fondo, fino a verificare se la diossina fosse entrata nella catena alimentare.

2.      BENZO(A)PIRENE. Anche il benzo(a)pirene è un cancerogeno (IARC classe I) ma proviene dalla cokeria dell’ILVA. Nel 2009 e 2010, superando i limiti di legge, è stata al centro del processo, assieme alla diossina. L’ARPA Puglia, diretta da Giorgio Assennato, porta alla luce i dati dello sforamento. L’ILVA entra in un report ARPA che le addebita il 98% delle emissioni di benzo(a)pirene a Taranto. E’ il putiferio. La politica di governo si era dimenticata che per il benzo(a)pirene era scattato il limite di 1 nanogrammo a metro cubo a partire dal 1999. PeaceLink ha dovuto ingaggiare un contenzioso con la Regione Puglia per far applicare il limite. C’è un’intercettazione bollente in cui i Riva si lamentano dei comunicati di PeaceLink sul benzo(a)pirene: “Questi per tre giorni ci fanno un culo così!” (https://lists.peacelink.it/ecologia/2021/03/msg00002.html)  Anche Vendola è preoccupato. La calda estate pugliese del 2010 diventa incandescente per il benzo(a)pirene. Finché il governo Berlusconi, il 13 agosto 2010, cambia la legge. Sospende quel limite e toglie le castagne dal fuoco a tutti. L’ILVA può continuare a inquinare. Ma la magistratura riesce a intercettare telefonate molto particolari sul benzo(a)pirene e che imbarazzano il PD. (https://www.youtube.com/watch?v=oSKMJvy4UPw

3.      COZZE. Nel 2011 le associazioni Fondo Antidiossina e PeaceLink denunciano il superamento dei limiti di legge delle diossine in quello che è il simbolo e il vanto gastronomico della città di Taranto: la cozza. Scoppia la protesta dei mitilicoltori. Il sindaco di Taranto va in piazza a mangiare le cozze tarantine. (https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/247921/diossina-ilsindaco-mangia-le-cozze-non-c-e-alcun-rischio.html)  Anche Legambiente aderisce pubblicamente alle degustazioni di cozze locali. (http://web.giornalismi.info/gubi/articoli/art_9580.html)  Ma quelle cozze, nonostante i tentativi di esorcizzare pubblicamente lo spettro della diossina, risultano realmente e gravemente contaminate. Come per il pecorino, anche per le cozze i controlli della ASL – certificati da laboratori specializzati – danno ragione al Fondo Antidiossina e a PeaceLink, confermando i superamenti dei limiti di legge. Anche questo filone di indagini è entrato nel processo all’ILVA.  

4.      AIA. L’AIA è l’Autorizzazione Integrata Ambientale che avrebbe dovuto imporre prescrizioni severe all’ILVA e l’adozione delle migliori tecnologie disponibili. E invece nel 2011 l’AIA viene rilasciata dalla ministra Stefania Prestigiacomo con prescrizioni così blande che l’anno successivo, alla luce delle indagini di “Ambiente Svenduto”, viene riscritta e resa più stringente per gli impianti dell’area a caldo.

5.      AREA A CALDO. L’Ilva si compone di due parti: l’area a caldo e l’area a freddo. La prima comprende le fasi di “cottura” del minerale di ferro (impianto di sinterizzazione) e di trasformazione del carbone in carbon coke (cokeria); la successiva fase è quella della produzione della ghisa negli altoforni a cui segue con i convertitori la trasformazione in acciaio e il confezionamento delle bramme (grandi “lingotti” di acciaio). Qui finisce l’area a caldo (la più inquinante) e da qui comincia l’area a freddo che trasforma l’acciaio nei prodotti finiti (come coils e tubi). L’ILVA di Genova ha solo l’area a freddo. L’ILVA di Taranto ha l’area a caldo e l’area a freddo. L’area a caldo è stata al centro dei provvedimenti “Salva-ILVA”. La magistratura ne ha chiesto in passato il sequestro senza facoltà d’uso in quanto pericolosa. I pm ne hanno chiesto la confisca.

6.      POLITICA. La grande novità di questo processo è che ha toccato anche la politica. E in particolare la sinistra. Senza entrare nel merito delle singole situazioni, è ragionevole chiedersi come mai sia stata la magistratura a mettere sotto accusa l’ILVA e non la sinistra. La risposta è purtroppo questa: all’interno della sinistra si erano coltivati buoni rapporti, persino di stima, con Riva. 

7.      INDAGINE EPIDEMIOLOGICA. La novità qualitativa di questo processo sta nell’indagine epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco all’epidemiologo Francesco Forastiere. Tale indagine ha non solo descritto l’eccesso di malattie e di morti ma ha creato un modello per verificare se tali eventi fossero riconducibili alle emissioni dell’ILVA. E anche qui c’è da chiedersi come mai la sinistra – allora al governo di Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto – non abbia voluto commissionare una tale indagine epidemiologica, neppure quando gli è stato richiesto.

Infine va detto che questo processo è da collocare all’interno di una storia molto complessa, cominciata nel 2005 e che si continua ancora oggi. Una cronistoria di cui ho cercato di sintetizzare i tratti salienti: https://www.peacelink.it/processoilva/a/48496.html)

 

https://www.peacelink.it/processoilva/a/48513.html

 

 

Sentenza Ambiente Svenduto, confiscati gli impianti dell’area a caldo ILVA – Alessandro Marescotti

Nessuno aveva mai parlato della diossina a Taranto prima del 2005. Fummo noi a prenderci la responsabilità e i rischi di denunciarlo pubblicamente. Oggi è una grande giornata di liberazione dopo una lunga resistenza e tante vittime. Venivano chiamati “allarmisti” ma avevano ragione noi.

Era tanto attesa. Ed è arrivata.

La sentenza sull’ILVA farà parlare, farà discutere, farà arrabbiare più di qualcuno.

Quella sentenza è il frutto di una lunga lotta a cui abbiamo dato il via nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina. Il latte di quel formaggio proveniva da pecore e capre che avevano brucato nei pascoli attorno all’ILVA. Avevamo letto su un giornale che, attorno allo stabilimento, pascolava un gregge. La cosa ci incuriosì. Ci mettemmo alla ricerca del pastore. Una nostra ecosentinella, Piero Mottolese, lo incontrò. Non stava bene. Quel pastore morirà di cancro dopo non molto.

Ma facciamo un passo indietro.

Tre anni prima, nel 2005, avevamo scoperto che a Taranto c’era la diossina. Nessuno aveva mai parlato prima della diossina. La parola diossina era sconosciuta a tutti nella città dell’acciaio. Era come se un segreto venisse gelosamente custodito. I sindacati CGIL-CISL-UIL avevano partecipato a tanti tavoli tecnici e alle riunione degli atti di intesa con l’ILVA, ma la parola diossina non era mai venuta fuori fino al 2005. Fino a quel giorno di aprile in cui PeaceLink la lanciò con un comunicato stampa che venne letto come prima notizia al TG3 della Puglia. Ma quella notizia data dalla RAI con tanta evidenza probabilmente non era di interesse o di gradimento gradimento per la politica perché nessuno ne fece menzione. Eppure la diossina è un cancerogeno classificato dalla IARC il classe I, ed è un formidabile contaminante dell’ambiente e della catena alimentare. Ma come mai nessuno aveva mai pronunciato quella parola a Taranto? Non lo sappiamo, ma possiamo intuirne le ragioni. Sappiamo solo che ci imbattemmo nella diossina scandagliando i dati di un database europeo nel quale c’erano le sigle PCDD e PCDF che – a chi non sa di chimica – non dicevano nulla. Anche in quel caso l’indizio ci incuriosì. E venne fuori la terribile verità. 

Fummo noi di PeaceLink a prenderci quella grave responsabilità nel 2005. E a portare nel 2008 in laboratorio il formaggio.

Per anni e anni abbiamo incontrato persone che ci dicevano scherzando: non vi hanno ancora arrestato?

Avevamo un’etichetta addosso: “allarmisti”.

In realtà due sono le parole che hanno guidato la nostra azione: curiosità e responsabilità.

Spirito di curiosità e senso della responsabilità.

Ficcanaso impiccioni che non si facevano i fatti propri, insomma.

Di fronte a chi pensava di cambiare il mondo con le grandi teorie, noi, più modestamente, ci accontentavamo dei dettagli. E dai dettagli ricostruivamo il mosaico generale, in un processo di ricerca e ricomposizione dei nessi. Possiamo definire questa metodologia “la rivoluzione dei dettagli”, prendendo in prestito il titolo di un libro della mia amica Marinella Correggia.

Quella rivoluzione dei dettagli ha guidato ricerche sempre più vaste. E se oggi si va a vedere quanto materiale abbiamo accumulato con questa metodologia c’è solo da rimanere sbalorditi. E si rimane sbalorditi per l’immenso lavoro svolto dalla polizia giudiziaria e dai magistrati. A cui diciamo grazie per aver condotto con rigore un’azione scomoda ma necessaria e di somma importanza.

Oggi è una grande liberazione. I ficcanaso impiccioni, quelli che venivano chiamati “gli allarmisti”, avevano ragione. 

Sì. Proprio così. Avevamo ragione. 

Oggi fioccano le condanne. E gli impianti pericolosi vengono confiscati.

https://www.peacelink.it/editoriale/a/48510.html

 

 

La storia dell’ILVA dal 2005 al 2021 – Alessandro Marescotti

 

Tutto parte dalle analisi sul pecorino contaminato da diossina, consegnate da PeaceLink in Procura a Taranto nel 2008; nei tre anni precedenti erano stati acquisiti i dati delle emissioni di diossina dell’ILVA. Nel 2012 vengono consegnate alla magistratura le perizie. Si attende adesso la sentenza.

Su sollecitazione di un amico, ho buttato giù una breve storia dell’ILVA dal 2005 a oggi. Poche righe, anno per anno, con le inevitabili lacune dovute alla sintesi.

Breve storia della mobilitazione civile a Taranto contro l’inquinamento #ILVA

2005 – I cittadini di Taranto scoprono, facendo ricerche sugli archivi elettronici delle emissioni industriali, che a Taranto c’è la diossina (mai le autorità ne avevano parlato); fra la popolazione di Taranto comincia a diffondersi la voce che questo potente cancerogeno potrebbe fuoriuscire dall’ILVA.

2006 – Un anno dopo i cittadini scoprono che a Taranto non è stata mai acquistato alcuna attrezzatura per misurare la diossina: le autorità sono prive di strumentazione idonea; PeaceLink denuncia: “Taranto è la Seveso del Sud”.

2007 – Le emissioni di diossina dell’ILVA di Taranto arrivano a toccare il 90,3% del totale industriale nazionale (la denuncia, come nel 2005, è di PeaceLink); vengono denunciate le lentezze della Regione Puglia; l’Arpa fa i primi monitoraggi sulla diossina ILVA; dai dati si scopre che dall’Ilva viene emessa diossina equivalente a 10 mila inceneritori; Emilio Riva denuncia Giulio Farella, Alessandro Marescotti e Franco Sorrentino perché in una conferenza stampa diffondono i dati ufficiali delle emissioni di mercurio dallo stabilimento; l’accusa è di “procurato allarme” e “diffamazione”; la denuncia viene archiviata dalla magistratura; con i fondi raccolti per la difesa legale viene deciso di fare delle analisi ambientali.

2008 – I cittadini di Taranto commissionano analisi di diossina su sangue, latte materno e matrici alimentari; e così si scopre che a Taranto la diossina è entrata nel corpo umano e anche negli animali perché il pecorino risulta contaminato oltre i limiti di legge; dai dati di quest’ultimo parte un esposto a firma di PeaceLink; iniziano le indagini della magistratura (“avvelenamento delle sostanze alimentari”); il 29 novembre scendono in piazza 20 mila persone contro la diossina chiedendo una legge antidiossina; è la più grande manifestazione mai svolta fino ad allora a Taranto.

2009 – Il benzo(a)pirene cancerogeno supera i limiti di legge e ARPA certifica lo sforamento; nuova manifestazione di 20 mila persone a Taranto, promossa (come l’anno precedente) dal coordinamento Altamarea.

2010 – Maxisforamento di benzo(a)pirene cancerogeno, la Procura accelera le indagini ed ordina le intercettazioni telefoniche; Vendola ride al telefono con Archinà e viene intercettato. Il governo il 13 agosto, mentre la gente è in vacanza, sospende il limite per il benzo(a)pirene con una norma nascosta in un DPR.

2011 – Vendola dichiara pubblicamente la sua stima per Emilio Riva (che l’anno dopo verrà posto agli arresti con l’accusa di disastro ambientale); il Fondo Antidiossina di Fabio Matacchiera commissiona le analisi sui mitili, si scopre che la diossina è entrata nelle cozze; scatta un nuovo fronte di indagine; ancora una volta sono i cittadini a indagare e ad esporsi; nel traffempo viene approvata una pessima AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) ma il sindaco di Taranto Ippazio Stefano non fa giungere alcuna prescrizione a tutela dell’ambiente e della salute; la Regione Puglia parla di “passaggio di valenza storica”; in realtà l’AIA concede all’ILVA un +50% di capacità produttiva, salendo da 10 a 15 milioni di tonnellate annno di acciaio (una enormità, uno sproposito).

2012 – Perizie chimica ed epidemiologica ordinata dal GIP Patrizia Todisco; la magistratura con quelle perizie ravvisa un “disastro ambientale” e un eccesso di mortalità causato dall’ILVA; la magistratura sequestra gli impianti dell’area a caldo, senza facoltà d’uso; il 19 settembre Alessandro Marescotti e Angelo Bonelli rivelano i nuovi dati dello Studio Sentieri su Taranto, non diffuso per ragion di Stato; il 15 dicembre una folla di trentamila persone sfila in corteo a sostegno della magistratura; subito dopo il parlamento vota la prima legge salva ILVA in gran velocità; è la prima di una lunga serie di leggi salva-ILVA che il M5S dichiara di voler cancellare, senza poi mantenere le promesse una volta arrivato al governo.

2013 – La Corte Costituzionale non boccia la legge salva ILVA ma il consenso è condizionato all’esecuzione rapida della messa a norma degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento, entro l’anno successivo (notare bene: al 2021 non sono ancora stati completati i lavori di messa a norma).

2014 – I cittadini si rivolgono alla Commissione Europea (grande lavoro di Antonia Battaglia) che avvia una procedura di infrazione per violazione della direttiva sulle emissioni industriali; intanto emergono i dati dell’Istituto Superiore della Sanità sull’eccesso di tumori infantili a Taranto (+54% rispetto alla regione); intanto comincia il procedimento penale davanti al GUP (Giudice dell’udienza preliminare); le udienze preliminari davanti al GUP Vilma Gilli iniziano il 19 giugno 2014.

2015 – I cittadini accusano il governo di dare aiuti di Stato all’ILVA, la denuncia arriva alla Commissione Europea; l’ILVA fallisce, ha quasi tre miliardi di euro debiti, la vicenda approda al tribunale fallimentare di Milano.

2016 – Il governo avvia la messa in vendita dell’ILVA ma nessuno la vuole comprare perché gli impianti sono fuori norma e il mercato dell’acciaio non tira più come prima. Intanto nel quartiere Tamburi si verificano eccezionali ricadute di diossina.

2017 – Il governo rifà il piano ambientale ILVA in senso peggiorativo spostando al 2023 i lavori che dovevano essere completati nel 2014; gli ambientalisti si ribellano.

2018 – Il governo offre l’immunità penale e ArcelorMittal decide di prendere in fitto l’ILVA, in vista dell’acquisto. PeaceLink incontra il neo-ministro dell’Ambiente Sergio Costa (M5S) portando un dossier per chiedere la chiusura dell’area a caldo; ma il M5S cambia linea sull’ILVA e abbandona le promesse della campagna elettorale. Di Maio annuncia installazioni di nuove tecnologie (mai installate) e consistenti tagli di inquinamento (inesistenti, anzi le emissioni aumentano).

2019 – La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) condanna l’Italia per violazione dei diritti umani (grande lavoro di Daniela Spera e Lina Ambrogi Melle); l’inquinamento dello stabilimento invece di diminuire aumenta e il ministro Di Maio a Taranto su questo viene categoricamente smentito (aveva detto che l’inquinamento sarebbe diminuito); ArcelorMittal fa male i conti e comincia ad accumulare perdite che oscillano fra i 2 milioni e i 2 milioni e mezzo di euro al giorno; la perdita complessiva del 2019 arriva a 865 milioni di euro (se i lavoratori fossero rimasti a casa senza lavorare, ArcelorMittal avrebbe perso di meno).

2020 – ArcelorMittal non ce la fa più a tamponare le perdite che arrivano a superare i 100 milioni di euro al mese; la multinazionale decide di spegnere gli impianti e di andare via; il M5S trattiene per la giacca la multinazionale: non deve abbandonare Taranto.

2021 – il TAR, con una sentenza storica, dispone che gli impianti dell’area a caldo vanno fermati perché malfunzionanti e pericolosi; la questione passa al Consiglio di Stato; i cittadini si trasferiscono a Roma con le croci bianche delle vittime dell’inquinamento in attesa della sentenza del Consiglio di Stato (grande lavoro di Massimo Castellana, Cinzia Zaninelli e del Comitato Cittadino per la salute e l’ambiente a Taranto); all’iniziativa aderisce Giustizia per Taranto; il Consiglio di Stato temporeggia in attesa della sentenza del processo ILVA, che sta per arrivare a conclusione; i pubblici ministeri chiedono condanne con pene fino a 28 anni di reclusione.

https://www.peacelink.it/processoilva/a/48496.html 

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https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=12069

https://www.arte.tv/it/videos/090639-003-A/taranto-da-soli-contro-il-gigante-dell-acciaio/,

https://www.micromega.net/sentenza-ilva-le-responsabilita-di-nichi-vendola-e-il-ruolo-della-societa-civile/

https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2021/06/01/un-po-di-giustizia-per-taranto/

https://www.editorialedomani.it/fatti/tutti-i-documenti-del-processo-ilva-k1qr1h60

https://www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2021/06/03/ilva-condanne

 

 

Redazione
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