Equiparare foibe e Shoah?

articoli di Claudio Vercelli e Davide Conti

La destra e quell’assurda equiparazione tra le foibe e la Shoah

Ora si vuole perseguire chi affronta ciò che è avvenuto al confine orientale associandolo ai negazionisti. Un disegno che trasfigura la Storia per trasformarla in uno strumento di ricatto giudiziario

di Claudio Vercelli (*)

Christian Boltanski, particolare dall’installazione «Storage Memory», Shanghai

Se la politica, come soggetto e, al medesimo tempo, insieme di luoghi della decisione, latita, scemando in un evanescente concentrato di tecnicismi e di pressapochismi sovranisti, subentra allora il gioco delle identità riflesse, quelle tanto esibite quanto concretamente destinate a contare, nei fatti, poco se non nulla. Gli illusionismi populistici, al pari di quelli tecnocratici, non offrono mai soluzioni reali bensì compensazioni risarcitorie. È parte di essi il campo asfissiante dei simbolismi, chiamati – in qualche modo – a surrogare ciò che di fatto è invece assente.

Certo, mai ci si dovrà dimenticare della lezione novecentesca per la quale il rapporto tra le cose (la cosiddetta «struttura») e le loro raffigurazioni (la «sovrastruttura») è elemento integrante dei rapporti di potere e, con essi, delle diseguaglianze strutturali. Le immagini di senso comune, per intenderci, servono a sancire, cristallizzandole rigidamente e quindi in qualche modo legittimandole davanti alla collettività, le disparità nell’accesso alle risorse. In un tale quadro di riflessioni, la battaglia dell’odierna destra illiberale ha un obiettivo fondamentale, che non può essere confuso con la lotta politica contro i suoi tradizionali avversari. Infatti, esso trova nella delegittimazione di tutte le istanze storiche di emancipazione, quanto meno per come sono venute affermandosi concretamente, dalla lotta di Liberazione in poi, il suo fulcro più potente.

QUELLA DESTRA, che in Italia è da sempre ben presente, non solo non ha fatto i conti con il passato ma non intende in alcun modo farli neanche per i tempi a venire. Poiché in esso, con i richiami e gli echi ai suoi aspetti più deteriori, continua invece a riconoscersi, neanche troppo sottilmente. Entriamo quindi nel merito della questione. La destra illiberale, che trova un accredito tra gli elettori italiani, raggiungendo oramai il quaranta per cento dei consensi, sta conducendo da più di trent’anni – quindi ben prima dello stesso tempo di Berlusconi – un kulturkampf contro le architravi antifasciste del sistema costituzionale italiano. L’elemento di aggregazione di soggetti e protagonisti diversi è il richiamo ad un violento anticomunismo di facciata. Le molteplici retoriche contro il «totalitarismo», che dagli anni Ottanta in poi si sono acriticamente ripetute, nel nome del trionfo di un liberalismo inteso essenzialmente non come cultura delle regole bensì in quanto individualismo proprietario, puntano a lasciare disarticolate le funzioni redistributive dello Stato. Nulla di nuovo, da questo punto di vista.

In una tale temperie, tuttavia si inseriscono gli oramai maniacali rimandi alla necessità di «parificare» le storie (e le memorie) del passato, nel nome di un’inesistente par condicio tra fronti diversi. La parificazione, per capirci, è un dispositivo in virtù del quale si azzerano le responsabilità storiche e i profili di distinzione per sancire, al loro posto, la menzognera equiparabilità tra drammi e tragedie del passato. La confusione di cose, fatti, eventi e attori distinti serve essenzialmente a due obiettivi: il primo di essi è l’affermare che, posta la colpevolezza di tutti, nessuno sia responsabile di qualcosa per davvero e fino in fondo; il secondo movente, invece, gioca con il vittimismo, dipingendo se stessi come la parte lesa. Il primo procedimento si chiama autoassoluzione; il secondo è una risorsa sempre più efficace per auto-raffigurarsi nell’arena politica e cercare il consenso.

IL TENTATIVO, l’ultimo in ordine di successione, di sancire la perseguibilità penale di chi intendesse procedere alla «negazione, minimizzazione o apologia dei massacri delle foibe», attraverso l’associazione di queste condotte a quelle contro la memoria della Shoah, si inscrive a pieno titolo dentro un disegno che deforma e trasfigura la storia per trasformarla in uno strumento di ricatto giudiziario. Anche questa non è una novità ma è ora divenuta, a pieno titolo, parte di un disegno revanscista che si adopera nella manipolazione di ciò che fu per condizionare e ipotecare quello che potrebbe essere. Che la storia, intesa come ricostruzione del passato, sia un campo dialettico di confronto lo si è sempre saputo; che ora diventi il terreno della censura a venire, deve indurre a fa riflettere sulla pericolosità di tutti quei dispositivi penali che, nel nome della «verità», rischiano di trasformarsi in strumenti di azzeramento di ogni forma di discussione.

TROPPO SPESSO ci si è cullati nell’illusione che la sanzione giuridica potesse essere un valido corredo nella formazione di un’opinione corretta e non, piuttosto, l’anticamera dell’annichilimento di ogni confronto di merito. Il rischio di un contrappasso, adesso, si sta facendo sempre più evidente.

(*) testo e foto da «il manifesto»

Foibe-Shoah, «laboratorio» per l’annullamento della storia

Intorno al negazionismo. Cosa realmente si nasconde dietro l’equazione antitotalitaria e al processo degenerativo del dibattito pubblico sul passato

di Davide Conti (**)

I senatori dell’estrema destra hanno presentato un disegno di legge che chiede di ricomprendere chiunque non si adegui alle vulgate e alla propaganda sulle foibe nell’articolo del codice penale (604 bis) che punisce i negazionisti della Shoah. Si giunge così all’ultimo stadio di un processo degenerativo del dibattito pubblico sul passato che oggi propone l’equiparazione antistorica attraverso l’applicazione del dispositivo penale.

IN ORIGINE FU L’ISTITUZIONE del giorno del ricordo nel 2004, promossa dall’estrema destra post-missina e approvata con voto bipartisan a eccezione della sinistra radicale, che dichiarò il 10 febbraio giornata in memoria delle vittime delle foibe nonostante quella data nulla c’entrasse con le uccisioni del settembre 1943 e del maggio 1945 e che anzi avrebbe dovuto ricordare la firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947 dopo la guerra mondiale scatenata dall’Italia fascista e dalla Germania di Hitler.
Quasi un decennio prima Luciano Violante insediandosi da presidente della Camera aveva invitato a comprendere «i motivi» e le ragioni dei «ragazzi di Salò» ovvero dei collaborazionisti fascisti che avevano torturato e assassinato decine di migliaia di civili e partigiani al fianco dei nazisti mentre l’Italia combatteva la sua Guerra di Liberazione 1943-45.
Con il giorno del ricordo la «storia per legge» compiva il suo passo decisivo e si avviava lungo il percorso approdato oggi al «populismo storico», ovvero all’uso politico della storia che distorce il senso degli eventi, determina la torsione della conoscenza e viene usato come regolazione e controllo selettivo della memoria per governare il presente. Il populismo storico si propone la contestazione di legittimità dell’impianto valoriale antifascista emerso dalla seconda guerra mondiale e crea le condizioni di convergenza tra estrema destra sovranista e grandi istituti finanziari come la banca d’affari JP Morgan che già nel 2013 indicò la Costituzione italiana nata dalla Resistenza come un ostacolo all’egemonia liberista.
L’approdo regressivo di oggi ha avuto una lunga gestazione passando attraverso tre fasi determinate da eventi periodizzanti e concluse con il riadattamento populista della narrazione storica.
La prima fase 1945-1989 (dal secondo dopoguerra alla caduta del muro di Berlino) fu segnata dalla centralità della Resistenza europea come radice di rifondazione democratica del continente e dalla condanna della Germania nazista come responsabile unica della guerra di sterminio (ciò permise all’Italia di eludere i conti con il fascismo e i crimini di guerra).

LA SECONDA FASE post-1989 vide la Shoah divenire perno della memoria collettiva nell’ottica dell’affermazione di un paradigma organizzato sulla centralità delle vittime. Dagli anni Duemila si assiste allo sviluppo pervasivo delle istanze del populismo storico tese all’equiparazione sia delle vittime (assimilazione Shoah-foibe) sia delle parti in lotta fascisti-antifascisti.
L’Italia è stata laboratorio sperimentale di questa involuzione, tuttavia fu il Parlamento europeo con la risoluzione del 19 settembre 2019 ad equiparare nazismo e comunismo, aggregandoli nella discussa e discutibile categoria politologica del totalitarismo, contribuendo a questa deformazione e disconoscendo la centralità e l’eccezionalità della Shoah (art. 3 e 10 della risoluzione) in cui l’unicità dell’Olocausto viene meno ed esso si trasforma in una delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale.

LA PROIEZIONE di questo dispositivo politico all’interno della retorica pubblica italiana determina un’equazione «antitotalitaria» in cui la Shoah si configura come crimine nazista e le foibe come crimine comunista. Contestualmente il populismo storico chiede l’applicazione di misure penali contro chi si opponga, con gli argomenti del sapere scientifico, a «quell’annullamento della storia» che, scrive Enzo Collotti, «consentirebbe il dilagare di comportamenti svincolati da ogni pregiudiziale ideologica o etica». Questa sarà la «politica memoriale» che l’estrema destra italiana perseguirà, come accade da anni in Polonia e Ungheria, se dovesse governare il Paese.
Un controllo del passato finalizzato al governo del presente contro la memoria dei civili di ieri, che subirono il nazifascismo e lottarono contro di esso, e contro i civili di oggi che muoiono in mare o sul lavoro; che si vedono privati dei diritti e subiscono discriminazioni o violenze. «Nell’infermeria del Lager di Buna-Monowitz – scrive Primo Levi – eravamo rimasti in ottocento. La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Erano quattro giovani soldati quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo».
La questione della libertà della storia diviene oggi questione di civiltà proprio laddove «l’ingiustizia diventa legge» e «la Resistenza diventa dovere».

(**) L’articolo è in interlocuzione con quello di Claudio Vercelli, uscito l’8 giugno: https://ilmanifesto.it/la-destra-e-quellassurda-equiparazione-tra-le-foibe-e-la-shoah/.

 

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