Eric Hobsbawm e Antonio Gramsci

di Francesco Masala

Ho ritrovato queste parole di Eric Hobsbawm su (e a) Gramsci, ogni volta mi colpiscono molto.

Le ripropongo pensando siano eternamente d’attualità, non solo per me.

«Credo che, in Gran Bretagna, siamo stati tra i primi ad accorgerci di Gramsci, principalmente a causa dei molti soldati britannici che tornarono in patria dopo aver combattuto la guerra in Italia, ove avevano sentito parlare di lui. Credo sia stato proprio tramite alcuni di loro che anch’io sentii parlare di Gramsci per la prima volta: da uomini come il poeta Hamish Henderson, ottimo scrittore, gran bevitore, scozzese, che fu tra i primi a tradurre le “Lettere dal carcere”, e da diverse altre persone, che mi sollecitarono a prendere personalmente contatto con i suoi testi. Uno di essi fu il primo a realizzare un’antologia dei testi di Gramsci in Inghilterra, negli anni Cinquanta, “The Modern Prince”, forse la prima raccolta pubblicata fuori dall’Italia.
Quando venni in Italia per la prima volta, credo nel 1951 o 1952, attraverso i contatti con alcuni amici italiani ebbi la possibilità di conoscere direttamente gli scritti di Gramsci presso l’Istituto Gramsci. Naturalmente Piero Sraffa, mio collega al Trinity College, mi aveva parlato di lui ma, come tutti sanno, Piero Sraffa parlava pochissimo di quanto stretti fossero stati i suoi rapporti con Gramsci, e fu soltanto in seguito che io ne venni a conoscenza.
Rimasi colpito quasi immediatamente non tanto dall’approccio politico di Gramsci, che peraltro all’epoca era molto originale per un marxista, ma soprattutto dal suo approccio alla storia delle classi subalterne, alla storia delle classi popolari. Sotto certi riguardi i miei primi scritti storici erano paralleli a quelli di Gramsci in questa direzione. Ad esempio, l’introduzione al lavoro che poi generò il mio primo libro sui ribelli primitivi (del 1959; tradotto in italiano da Einaudi nel 1966 col titolo “I ribelli: forme primitive di rivolta sociale”) vide la luce proprio grazie al fatto che avevo sentito parlare di Davide Lazzaretti. Allora non conoscevo, perché non l’avevo ancora letto, il passo di Gramsci nei “Quaderni” in cui egli parla di che cosa ci sia “ai margini della storia”, iniziando precisamente dalla scoperta di Lazzaretti, quale esempio della storia speciale straordinaria delle classi subalterne. L’incontro con il testo di Gramsci mi stimolò al punto che non mi limitai ad affrontare l’argomento, ma progettai e realizzai un intero libro sull’orientamento di scrivere la storia “dal basso”, la storia “dei subalterni”.
Il mio rapporto personale con Gramsci è stato, in un certo senso, fondativo: Gramsci è una delle maggiori fonti di ispirazione del mio lavoro di storico. Allo stesso tempo egli rappresenta anche una essenziale fonte di ispirazione delle mie idee sulla politica, perché Gramsci è stato uno dei pochissimi, forse l’unico tra i marxisti e i comunisti, a scoprire che l’oggetto della politica non è soltanto la questione di come prendere il potere e mantenerlo, ma che c’è invece molto altro oltre a questo. In effetti la forma governo da parte di una classe non è caratterizzata unicamente, come credono in molti, da un’imposizione dall’alto, ma consiste in un rapporto dialettico molto complesso tra chi governa e chi è governato, un rapporto che non può essere spiegato solamente in termini di potere».
(testimonianza su Gramsci raccolta da Giorgio Baratta)

da qui

qui una video lettera di Eric Hobsbawm ad Antonio Gramsci

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

  • Hobsbawm, grandissimo studioso, è stato uno dei pochi (in occidente) a dichiararsi orgogliosamente marxista fino alla fine dei suoi giorni. Condivido molto, nel mio piccolo, l’idea della dialettica (in uno stato comunista) tra governanti e governati, il Partito pianifica dall’alto l’insieme delle istanze dal basso, a Cuba si tentò un esperimento in questa direzione attraverso le organizzazioni di quartiere dei comuni, ma non so come adesso funziona (e se funziona). Condivido anche, sempre nel mio piccolo, il modo in cui ha sottolineato il rapporto esistente tra fine degli stati nazionali e avvento del cosiddetto post-modernismo, morte delle organizzazioni novecentesche.

  • Grazie Masala. Sarebbe stata perfetta per il 7 novembre, è ugualmente perfetta oggi perché permette di ricordare, con un sol colpo, due grandi marxisti. Uno dei quali è stato anche un dirigente del Movimento Operaio.

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