Esistono ancora i servizi segreti italiani?

di Pietro Garbarino

C’è stato un periodo della storia dell’Italia repubblicana (dalla fine degli anni ’60 ai primi anni dell’ultimo decennio dello scorso secolo) in cui i Servizi Segreti hanno avuto gli onori della cronaca, l’attenzione della politica e un ruolo da protagonisti nella saggistica e in certa letteratura.

Chi ha – come me – diverse decine d’anni di anzianità sa bene che dalla strage del 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana, sino alla cosiddetta trattativa Stato-mafia (per quel che se ne sa) i “servizi” sono stati oggetto di attenzione, per lo più critica, da parte dell’opinione pubblica, che ha molto spesso dubitato, stante la ridda di notizie – sulla stampa di ogni tendenza – che regolarmente li sospettava come “deviati” e dunque infedeli allo Stato italiano.

Così i servizi segreti nel nostro Paese non hanno avuto la fama degli 007 o di altre mitiche spie internazionali, mentre le indagini giudiziarie relative a reati contro lo Stato – che avrebbero dovuto essere illuminate e guidate dal loro lavoro – spesso non approdarono a nulla, anche perché non agevolate (quand’anche non ostacolate) dalle reticenze e dalle informazioni fuorvianti degli agenti e dirigenti interpellati o addirittura inquisiti.

Tutto ciò ha continuato a creare per i nostri servizi segreti nomea e considerazione non certo paragonabile a quella che abbiamo, per merito di certa letteratura, delle analoghe strutture estere: meno alta e carica di gravi sospetti.

Come un po’ dappertutto, i servizi sono differenziati fra quelli militari, funzionali alle attività di difesa e belliche (anche se: «L’Italia ripudia la guerra……») e quelli civili, che dovrebbero vigilare sulla sicurezza interna dello Stato e delle sue istituzioni civili e politiche.

Fra questi due settori dei servizi di sicurezza però non è mai corso buon sangue e in particolare dalla prima metà degli anni ’60 si sono verificate divergenze, sia negli obiettivi perseguiti, sia nelle modalità di azione, sia nei riferimenti di vertice.

Per la verità, un obiettivo comune esisteva, ed era dato dalla posizione geografica e politica dell’Italia e dalla sua appartenenza al cosiddetto “blocco occidentale”. Dal punto di vista geografico, l’Italia aveva infatti un confine in comune con un Paese del campo “comunista” (la Jugoslavia); dal punto di vista politico si era schierata con gli USA e aveva aderito alla NATO, un’alleanza politico-militare in funzione di contrasto all’Unione Sovietica e ai Paesi a regime socialista.

Dunque una posizione da “prima linea” e di confine; e nei Paesi di confine l’attività spionistica e di sicurezza è particolarmente intensa, e spesso spregiudicata.

Tutto ciò non può che portare alla considerazione che, negli anni della cosiddetta “guerra fredda” e cioè della competizione diretta USA-URSS, l’Italia fosse un luogo prediletto per le scorribande di servizi segreti, occidentali e orientali.

L’equilibrio politico interno all’Italia e le sue relazioni internazionali dovevano preoccupare ed essere sotto controllo del blocco occidentale, dato che nel Paese operavano forti partiti di orientamento marxista e di sinistra, nonché organizzazioni sindacali molto attive.

In tale quadro internazionale si collocavano i servizi segreti italiani, sempre ossessionati da una temuta invasione (i cosacchi in piazza San Pietro!) e da modificazioni del quadro politico interno orientate a sinistra, e perciò saldamente orientati in senso anti-comunista, non disdegnando la collaborazione, e perfino la colleganza, con personaggi di estrema destra.

Però, dal punto di vista politico interno, la strategia dei due servizi, in particolare dagli anni ’60, si differenzia assai.

Mentre i servizi “militari”, spaventati dall’entrata dei socialisti al governo (il cosiddetto centro-sinistra) erano all’erta insieme ai ceti industriali e auspicavano una radicale svolta di governo in senso autoritario – perfino trasformando il regime parlamentare in presidenziale – i servizi civili miravano a garantire la stabilità di un governo imperniato sulla Democrazia Cristiana, partito di riferimento dei governi dal 1948 in poi.

Tutto ciò non poteva che portare situazioni di attrito, che talvolta si manifestavano in sovrapposizioni operative, e altre volte in fughe di notizie che tendevano a mettere in imbarazzo il servizio concorrente.

Ma tali ruoli con la metà degli anni ’70 non furono più considerati funzionali agli interessi interni per motivi di ordine politico, mentre i servizi militari subirono ulteriori e feroci critiche dei giornali e dell’opinione pubblica, scegliendo di cessare un ruolo particolarmente attivo.

Inoltre, nella seconda metà degli anni ’70, l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno e il SID (Servizio Informazioni Difesa) vennero sciolti e/o soppressi, venendo sostituiti dal SISMI (militare) e dal SISDE (civile).

Nonostante ciò attività poco cristalline di tali servizi si ebbero con il sequestro Moro e con le vicende legate ai sanguinosi delitti compiuti dai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) cioè neofascisti che intrattennero rapporti con la criminalità organizzata e con quegli ambienti eversivi della massoneria chiaramente orientati verso soluzioni politiche autoritarie e ispirate al neo-fascismo.

Gli attentati di Bologna (1980) e del treno 904 (1982) costituiscono i fatti più sanguinosi di tale ripresa dell’attività, caratterizzata dal connubio fra eversione di destra e interessi mafiosi, che potevano sempre contare sulla compiacente copertura dei servizi segreti, ancora timorosi di essere coinvolti per la connivenza con l’estrema destra fascista posta in essere dal 1969 in poi.

Ma nel 1989 il muro di Berlino crolla e con esso l’intero blocco di Stati e regimi che ruotavano intorno all’Unione sovietica.

Quella “guerra” fu vinta dal blocco occidentale e perciò, caduto il nemico, doveva cambiare l’oggetto dell’attenzione, come dovevano cambiare gli interessi perseguiti e i referenti per i quali operare.

Fu così che i cosiddetti “servizi deviati” (non furono l’eccezione, bensì la regola) sembrano inabissarsi, anche nel tentativo di fare dimenticare la poco lusinghiera nomea dei decenni precedenti.

Per tutti gli anni ’80 la musica sembrò non cambiare, perché venivano disinvoltamente utilizzati i residui dei gruppi terroristici di destra, in contatto con ambienti mafiosi, ma anche, a quanto pare, con le stesse Brigate Rosse, in particolare nell’ancora oscura vicenda del rapimento di Aldo Moro e nell’altrettanto misteriosa vicenda del sequestro dell’assessore campano Ciro Cirillo.

Tutto ciò portò, da una parte, alla definitiva emarginazione della destra più eversiva (MPON, AN, NAR) ma anche alla liquidazione della sinistra extraparlamentare più radicale, i cui gruppi dirigenti furono totalmente smantellati.

Si liquidarono anche i residui più significativi tra i movimenti attivi nella prima metà degli anni ’70 (come Lotta Continua) con il processo ad Adriano Sofri, per la presunta uccisione del commissario Luigi Calabresi. Tale inchiesta, come si ricorda, fu avviata a seguito di un misterioso incontro fra un ex militante di LC – in difficoltà economica e nei guai con la legge – e l’arma dei Carabinieri.

Dopo di che le interlocuzioni dei servizi segreti rimasero con gli ambienti massonici (P2 e finanza nera) e con i sempre più frequenti rapporti con le mafie (banda della Magliana); con qualche supporto dei neo fascisti ancora in libertà e meno noti all’opinione pubblica (gli attentati ai “beni culturali” del 1993 e la trattativa Stato-Mafia).

La caduta del muro di Berlino aveva infatti causato il repentino cambiamento degli scenari internazionali ma anche degli assetti politici interni a molti Stati europei.

In Italia, con l’avvento al potere di Berlusconi e del centro-destra, che operò l’accreditamento della destra ex MSI, non si rese più necessario “orientare” con atti violenti il quadro politico per legittimare svolte a destra della politica e la pur sempre traballante stabilità governativa.

Si tratta, da quel momento in poi, di consolidare un nuovo assetto istituzionale, in cui i soggetti politici (partiti) hanno un ruolo gregario e di mantenimento della situazione, declinando le decisioni principali al potere economico (“il mercato”).

Tutto ciò con una sorta di armistizio con le mafie, che vengono elevate al rango di soggetti imprenditori. Queste ultime cessano dunque le azioni armate di rilevanza nazionale (al massimo si compiono azioni criminali per conflitti locali). Perciò il campo di azione dei servizi segreti si sposta a oriente; sia verso il fronte russo, che verso il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Cioè ovunque vi siano da aprire nuovi mercati e opportunità economiche.

Ma il panorama internazionale è complesso e molti sono i nuovi attori che si presentano sulla scena. Oltre ai colossi Cina ed India, si considerino anche gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita, la sempre attiva Israele, la Turchia, e perfino l’Iran.

In altri termini, consolidato il blocco NATO occidentale, assicurata la fedeltà europea al medesimo, non vi è più “guerra fredda”, per la quale l’Italia era in prima linea, confinando ad est con un paese di area socialista, ma subentrano altri interessi, legati alla globalizzazione finanziaria e industriale.

Il livello dello scontro internazionale non necessita più di un “controllo atlantistico” sugli orientamenti del nostro Paese; caso mai necessita l’avere accesso al controllo delle risorse energetiche.

Ecco perché ritroviamo i nostri funzionari dei servizi così presenti e attivi in Nordafrica e nel Vicino Oriente dove sono concentrate le maggiori – e più disponibili ai capitali occidentali – risorse petrolifere.

Tutt’al più i servizi nostrani possono avere funzioni di controllo interno a gruppi alternativi di opposizione, nonostante l’odierna oggettiva debolezza, in generale, dei movimenti che si ispirano al marxismo e alla critica sociale.

In questo quadro non siamo a conoscenza diretta delle attività di tali servizi (che «servizi segreti» sarebbero, infatti?) ma possiamo – alla luce della nostra storia e dell’esperienza maturata, nella seconda metà dello scorso secolo e fino ai giorni nostri – comprendere che quando accadono fatti di notevole rilevanza politica ed economica, però non immediatamente e ragionevolmente spiegabili, o quando scoppiano conflitti bellici apparentemente irrazionali, possiamo con buona approssimazione supporre che sia lecito “pensare male” (anche secondo una celebre massima che ci ha lasciato Giulio Andreotti) e attribuire qualche responsabilità ai nostri “benemeriti” servizi segreti.

LA VIGNETTA – SCELTA DALLA “BOTTEGA” – è di Mauro Biani.

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