Essere atei – di Mark Adin

Difficile ragionare di Dio. Dio e la ragione non vanno a braccetto.

Parto, provocatoriamente ma non troppo, da questa affermazione che, nella sua graniticità, appare subito poco laica. Il laicismo, infatti, è dubbio e ricerca, e non dovrebbe prevedere affermazioni troppo assertive e categoriche, se non “fino a prova contraria”.

Esiste, in Italia, una cultura laica? Meglio non dare risposte affrettate, il terreno di discussione è cedevole e infido. Provo a parlarne, perché io le grane me le vado volentieri a cercare.

La vexata quaestio, di per sé, non pare fondamentale, ma in momenti nei quali emotività, paura, disperazione, mancata percezione di futuro, e profonda mancanza di “senso” in molti aspetti, privati e pubblici, della vita quotidiana, l’argomento è più interessante e attuale di quanto sembri: anche ad un ateo, anche ad un laico, precisando che laicità e ateismo non sono né sinonimi né  concetti contigui.

Ci ho provato, qualche volta, a mettere a fuoco il mio punto di vista in materia, nel mio dialogo interno, o con pudore  parlandone ad altri, nel rispetto per chi crede ma anche senza complessi.

Ecco, di seguito, alcune rozze, molto rozze riflessioni.

Come tutti, la mia formazione non ha potuto prescindere dalla cultura cristiana nella quale sono cresciuto, che non rinnego bensì apprezzo e valorizzo come componente fondante della mia personalità e sensibilità, ma che si integra con l’approccio materialista alle cose del mondo, che resta la base del mio essere uomo appartenente alla modernità.

Sono in contraddizione spiritualità e materialismo? Può un relativista  avvertire il senso del sacro? Come deve considerarlo, un sintomo di confusione mentale?

Mi hanno soccorso due intellettuali, di formazione, esperienza e qualità piuttosto diverse tra di loro.

Per quanto concerne il senso del sacro rimando a Pasolini, che asserisce, nella sua lunga intervista del 1969 rilasciata a Giuseppe Cardillo, tra altre cose, che “la realtà è ierofania”, cioè manifestazione del sacro, e come in questo non ci sia affatto contraddizione con l’essere profondamente “ateo e laico”.

E’ nel transito antropologico dalla società classica, contadina e rurale, a quella industriale e moderna, che il mondo del sacro – ovvero delle ierofanie che sconfinano talvolta in teofanie vere e proprie – si articola con la ragione e la morte di Dio: il nostro tempo, insomma, è anche il luogo, lo snodo di tale contaminazione. Scompaiono le lucciole, ma non il sacro. Il sacro è, dunque, qualcosa di ben più alto di un dato valoriale, è insito in noi e nel nostro DNA identitario e culturale, e non è, per forza di cose, associabile a una fede religiosa. L’essere sensibili al sacro non risiede dunque nell’attribuire valore, bensì nel prenderne atto. Il sacro è presente, più che nella attitudine a vederlo, nella sua manifesta oggettività.

Ovviamente, è nel contesto dell’intera intervista che meglio si può conoscere e approfondire il punto di vista di Pasolini.  E’ pubblicata da Archinto, ed è corredata da un CD che riporta il testo integrale della stessa e la vibrante, stridula, emozionante voce del Poeta macellato a Ostia. Da non perdere.

Voglio però richiamare l’attenzione su quanto ha pubblicato il settimanale protestante “Riforma” del 25 novembre, pag.5, titolo: “André Comte-Sponville: Sarebbe più facile se Dio esistesse”.

Che una pubblicazione religiosa riporti una tesi così profondamente, lucidamente, motivatamente atea, davvero sorprende. Non certo per il tema, piuttosto per la libertà con la quale un periodico religioso non teme di ospitare un autorevole fautore del pensiero ateo. Ma è da riconoscere, ancora una volta, che i Valdesi sono anche questo: un esempio di laicità.

L’operazione appare persino spericolata, perché l’argomentazione è talmente forte e autorevole da minare il campo di ogni anelito religioso. Bisogna togliersi il cappello di fronte a tale coraggio, che suppone una grande solidità di convinzione e fede, e una non comune libertà nell’agire il confronto.

L’inesistenza di Dio mi pare molto più verosimile della sua esistenza. L’idea che l’uomo sia stato creato da Dio a sua immagine mi pare poco credibile, poiché l’essere umano come immagine di Dio è nullo, e questa è una delle ragioni per cui sono ateo”, dice il filosofo, e ancora: “La vita umana può essere completa solo avendo una spiritualità. Ne abbiamo tutti bisogno. Questo dipende dalla libera scelta di ognuno, sia esso con o senza Dio. La spiritualità è la vita dello spirito, il potere di pensare, di volere, di amare, di ridere. Abbiamo tutti, in noi, questi poteri. Gli atei non hanno meno spirito dei credenti! Perché dunque dovrebbero avere meno spiritualità?” e prosegue: “Preferirei che Dio esistesse, questo desidero sopra ogni cosa. Sarebbe più facile e piacevole. Nessuna esistenza è più rassicurante dell’esistenza di Dio”. Lapidario nel suo argomentato ateismo, e mi ci ritrovo.

Il filosofo francese André Comte-Sponville, docente alla Sorbona di Parigi, pone questioni in modo civile e convincente, modalità lontane da quell’ateismo becero e scientista di alcuni esponenti non credenti quali, ad esempio, il supponente Odifreddi, molto ateo e battagliero ma, appunto, poco laico. Sembra quasi che certe forme bellicose e integraliste non possano che essere, per dannato paradosso, figlie e riflesso proprio della intransigenza religiosa che vorrebbero distruggere. In ultima analisi, rischiano di essere funzionali ed organiche alla peggiore ortodossia religiosa, ostaggi del contrappasso.

Preferisco, per quanto mi riguarda, ribadire dunque tutto il mio ateismo, ma aggiungendo un cautelativo “per ora”, liberamente privo di certezze.

Non mi piace né convince, infatti, una “fede atea” dogmatica, infallibile e scientifica. La scienza può andar bene per il corpo; per lo spirito, come lo intende Comte-Sponville, meglio altro: meglio il dubbio, più nutriente.

E mi sembra, questo, un ragionare laico.

 

Mark Adin

 

Redazione
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13 commenti

  • caro mark,

    posso chiedere, nel “modo civile” che lei sembra apprezzare, cosa ci sia di “becero e supponente” nel mio libro-lettera “caro papa, ti scrivo”?

    o non l’ha letto, e ripete soltanto le accuse che mi vengono rivolte dai cattolici, i quali comprensibilmente preferiscono rimuovere le critiche, magari accusandole appunto di essere “becere e supponenti”, che affrontarle?

    anche perché non solo io non ho nessun problema ad ammettere che ateismo e spiritualità possano andare d’accordo, ma nel mio libro riporto esplicitamente le dichiarazioni al proposito di einstein.

    quanto all’affermazione di comte-sponville, ripete semplicemente l’osservazione di lagrange a napoleone. quando quest’ultimo gli disse che laplace aveva dichiarato che la scienza non aveva bisogno dell’ipotesi di dio, il primo commentò appunto: “è vero, ma era una bella ipotesi, che spiegava facilmente molte cose”.

    cordialmente.

    pgo

  • Un bel ragionare e mi convince dall’inizio alla fine. E’ comunque un articolo da rileggere con calma in cerca di significati, assonanze, fioriture… Però c’è un punto (uno solo mi pare) sul quale profondamente dissento da Mark Adin. A me non pare che Odifreddi sia “supponente, molto ateo e battagliero ma, appunto, poco laico”. Per quel che ho letto io (4-5 libri, qualche articolo) mi sembra spesso pacato, sempre molto documentato, ironico pur quando è arrabbiato. Deciso a difendersi da chi lo aggredisce, questo sì: in particolare costretto a difendersi da un Ratzinger che spesso è di una violenza agghiacciante. Se è permesso giocare con i (cog)nomi mi pare che al papa starebbe bene quel cognome che parla di fredde forme di odio mentre l’autore di “Il matematico impertinente” (ecc) invece si dovrebbe chiamare all’anagrafe Affetticaldi o qualcosa del genere. E naturalmente viva i valdesi ai quali da persona che non si riconosce in nessuna delle religioni organizzate dò volentieri – da quando si può – il mio povero 8×1000 perchè sono infinitamente più seri dei baciapile che per ora hanno gestito lo Stato italiano. (db)

  • Bella riflessione, caro Mark. Bella perchè non accoglie facilmente la deformazione intellettualistica del significato della fede e dell’ateismo. la risposta dovrebbe essere assai articolata -e il tuo pezzo lo meriterebbe – ma mi basta citare un teologo protestante del secolo scorso, forse il o uno dei maggiori, cacciato da Hitler già nell’aprile del 1933 e costretto a lasciare il suo Paese (la Germania) cento giorni dopo l’ascesa del Fueher al potere (i tempi sono assai significativi).
    Tillich distingueva fra credenza e fede, laddove la credenza vuole fondarsi su prove sufficienti a dare probabilità agli eventi, mentre la fede è sempre “esistenziale”, un rischio che comporta il dubbio e il coraggio (di credere come di vivere).
    Riporto alcune frasi: “Dubbio serio è conferma di fede; esso sta ad indicare la serietà dell’interesse, il suo carattere incondizionato(…) La fede è lo stato di esperienza di un valore assoluto, è un atto di tutta la personalità…
    ” Chi è nella morsa del dubbio e della mancanza di significato non può liberarsene; ma cerca una risposta che sia valida dentro lo stato della sua disperazione, e non al di fuori. Cerca il fondamento assoluto di quello che abbiamo chiamato il ‘coraggio della disperazione’. Esiste una sola risposta possibile, se non si cerca di evitare la domanda; cioè che l’accettazione della disperazione è in se stessa fede e si trova sulla linea di confine del coraggio di esistere. In questa situazione il significato della vita si riduce alla disperazione del significato della vita. Ma finchè è un atto di vita, questa disperazione è positiva nella sua negatività. ”
    Mi dispiace per te, Mark Adin, ma credo tu sia pericolosamente a rischio rispetto alla tentazione della fede…
    gianni

  • Mha, io credo che Dio é un concetto nato dalla paura che hanno gli esseri umani del dopo, ossia del futuro che ha da venire, é un concetto costruito ad oc per giustificare il giogo dei padroni, é un concetto economico che giustifica il perché della schiavitú… e tanto piu un popolo é ignorante tanto piu crede alle fandonie che quelli piu furbi raccontano per convincerlo a lavorare duro senza fiatare, per convincerlo ad allontanarsi dall’amore, prima il dovere e poi il dovere, il piacere non deve esistere, é cosa del diavolo, (perché é ovvio che se esiste Dio é automatico pensare nel suo opposto, il povero diavolo esiste perche esiste Lui, il fratello supremo, lo diceva Pessoa in un suo racconto straordinario: L’ora del Diavolo). Io personalmente non apprezzo per nulla la formazione cristiana, sarebbe stato meglio crescere in nord Africa, preferisco la lingua musulmana, é molto piu vicina al cuore ed al filosofare delle parole che si susseguono danzando… (ovviamente non parlo e non voglio parlare dei fondamentalisti, quelli sono tutta un’altra storia, cosí come i cattolici e tutti quei ‘fedeli’ a linee grottesche…). E poi penso che a parlar di questo pensiero osceno che é Dio, si perde solo tempo inutile, parliamo invece del qui e ora, dello scempio che si perpetua nel nome di Dei che gli uomini hanno inventato, e quando dico ‘uomini’ intendo dire maschi, solamente una mente maschile poteva partorire simile idiozia… il maschio ha avuto paura della creazione, la donna partorisce, di conseguenza puo anche non voler partorire, crea-to-ra indispensabile alla continuitá della specie… gli uomini si sono spaventati e si sono piazzati su di un piedistallo ed hanno coniato la parola ‘Artista’, e sono persino arrivati a pensare all’artista supremo, Dio…. che gran cazzata, la piu grande cazzata della nostra storia, fatta di guerre e massacri, il sangue versato dei nostri figli che il concetto di Dio ci ha tolto alla forza… uomini, figli nostri, aprite gli occhi, se Dio c’é non é certo Dio, ma bensí Dea, la madre terra!

  • Ma vogliamo scherzare…
    Ci sono ben altri dubbi che andrebbero seminati e coltivati.
    Per essere sbrigativa mi associo a Schopenhauer:
    “O penso o credo”.
    Non capisco questo spreco di tempo a parlarne…e comunque siano gli altri,
    quelli che credono in Biancaneve, Cappucceto Rosso ecc…a dimostrare, ragionare, dissertare, affermare, contraddire a loro piacimento,
    l’argomento mi annoia
    e a chi mi definiva non credente, un tempo, rispondevo:
    “Sciocco integralista, tu non sai che io credo infinite cose,
    più di di quante tu non riesca a immaginarne.”
    Ora non rispondo più.
    Siamo seri!
    Sarina

  • Caro fratello Mark, la cosa si fa quasi seccante: condivido a tal punto la tua riflessione che non saprei da dove cominciare una “discussione”.
    Posso solo dare la mia testimonianza, riferendo che su questi temi (ai quali, da agnostico, attribuisco grande importanza) ho trovato estremamente “inspiring” la lettura de “Il custode di greggi” di Pessoa. Qui ne ricopio solo un brandello:

    Non credo in Dio perché non l’ho mai visto.
    Se egli volesse che io creda in lui,
    senza dubbio verrebbe a parlare con me
    ed entrerebbe dentro per la mia porta
    dicendomi, sono qui!
    (Questo è forse ridicolo alle orecchie
    di chi, per non sapere che cos’è guardar le cose,
    non comprende chi parla di esse
    con il modo di parlare che prestar loro attenzione insegna.)
    Ma se Dio è i fiori e gli alberi
    e i monti e sole e il chiaro di luna,
    allora credo in lui ad ogni ora,
    e la mia vita è tutta un’orazione e una messa,
    e una comunione con gli occhi e attraverso le orecchie.
    Ma se Dio è gli alberi e i fiori
    e i monti e il chiaro di luna e il sole,
    perché lo chiamo Dio?
    Lo chiamo fiori e alberi e monti e sole e chiaro di luna;
    poiché, se egli si fece, perché io lo veda,
    sole e chiaro di luna e fiori e alberi e monti,
    se egli mi appare come alberi e monti
    e chiaro di luna e sole e fiori,
    è perché vuole che io lo conosca
    come alberi e monti e fiori e chiaro di luna e sole.
    E per questo io gli obbedisco,
    (che cosa so io più di Dio che Dio di se stesso?),
    gli obbedisco vivendo, spontaneamente,
    come chi apre gli occhi e vede,
    e lo chiamo chiaro di luna e sole e fiori e alberi e monti,
    e lo amo senza pensare a lui,
    e lo penso vedendo e udendo,
    e vado con lui a ogni ora.

  • Gentile professor Odifreddi,
    intanto grazie per il suo intervento che mi fornisce l’occasione di tentare un veloce approfondimento.
    Come potrà rilevare leggendo il mio post, mi sono riferito, usando l’aggettivo “becero” non alla sua persona ma a una modalità di esercitare l’ateismo che non soltanto Lei, ma anche altri mi pare propugnino. L’aggettivo è da intendersi, per la precisione, nella sua accezione di “grossolano”. Infatti la critica che Lei porta alle religioni in generale, credo che a volte risenta di eccesso di assertività e per questo finisca per tendere a una certa superficialità nel prendere in esame il fenomeno religioso, e insieme quello laico, nella loro complessità.
    A titolo esemplificativo, vado al suo “Dalla Betlemme al Buddhismo”, apparso il 2/11 su “Repubblica”. Cercare aspetti di storicità nella mitologia, ad esempio, è una pretesa strumentale. La categoria della Storia non ha nulla a che fare con il Mito. Non si può invalidare il Mito dimostrando che non è “vero” storicamente. Il Mito “nasconde” tracce di Storia, ma non può essere Storia in sé.
    L’aggettivo “supponente” non posso non ammettere sia stato applicato più direttamente a un atteggiamento che penso si possa ravvisare in lei. Supponente l’ho infatti scelto tra gli aggettivi che indicano altezzosità. Faccio riferimento a intonazioni cattedratiche e perentorie che frequentemente colgo nei suoi articoli, come in quello appena citato.
    Sono, come del resto affermato nel post, per temperare ogni mia certezza con il dubbio in materia di devozione, spiritualità, ateismo, e non mi pare che lei lo faccia spesso. Del resto, forse è il metodo scientifico che lo impone. Che mal si presta, mi pare, a discutere di Dio o della sua (come anch’io ritengo) inesistenza. Tutto qui.
    Il suo libro sul Papa non c’entra. Ho letto soltanto articoli apparsi su Repubblica.
    Non credo di dover leggere la sua opera omnia per farmi una semplice opinione, ma acquisterò presto il suo ultimo lavoro e, se ritiene, potremo riparlarne. Io lo farò senz’altro, su questo stesso blog. Forse sarà l’occasione per spiegarmi meglio e più compiutamente.
    Per ciò che concerne il tono col quale mi sono rivolto a lei, non per la sostanza, accolgo invece il suo riferimento ironico ai miei “modi civili” e “me lo porto a casa”. Grazie di avermelo fatto, giustamente, notare. Lei è uomo abituato alla polemica e sono certo non penserà che volessi offenderla con le mie appassionate “attribuzioni”, poiché così non è.
    La polemica sì, le insolenze no.
    Pertanto, se mai si fosse offeso, me ne dispiaccio molto. E’ soltanto passione: per le idee.

    Con simpatia, Mark Adin

  • Bella retromarcia. In quel per “per ora” più che una scelta di ateismo vedo un atteggiamento che mi sembra molto più gesuitico, che ateo.
    Che ci sia già il germe della conversione? 😉
    Mi fa sorridere uno che si dice ateo “per ora”, così come mi farebbe sorridere uno che si dichiarasse credente “per ora”.
    Molto pasticciata la chiusura su quella improbabile visione della scienza come “fede atea” (ma quando mai? questa dove l’ha letta?), mentre il “dubbio” sarebbe appannaggio della spiritualità: è esattamente il contrario, come può verificare parlando con qualsiasi scienziato, che del dubbio fa la propria bussola quotidiana.

  • bel post, complimenti Mark! Concordo con queste tue riflessioni anche se le teorie di Pasolini sull’opposizione tra mito-natura e modernità non mi hanno mai convinto.

    La penso invece esattamente come te sugli scientisti come Odifreddi, che troppo spesso oppongono al fondamentalismo degli attuali vertici della chiesa cattolica un uguale e speculare fondamentalismo anti-clericale.

    Più che di un Uarr, l’Italia ha bisogno di una riforma della Chiesa Cattolica, o almeno della maggioranza dei fedeli,, che li spinga a recuperare il senso della responsabilità e della coscienza senza più delegarla ad un’autorità terrena.

  • Condivido, Mark. Anche quando dici “per ora”, metafora dell’incertezza della vita: nessuno conosce il futuro, neppure il mago Otelma. Quindi per ora io la penso largamente come te.
    È da parecchio che mi chiedo perché si debba credere ciecamente a “verità” che ad un esame anche non superficiale, non stanno in piedi. Se davvero un dio giusto esistesse, avrebbe già da tempo strafulminato coloro che lo amministrano, i tramiti della sua volontà che, come alcuni hanno sperimentato sulla propria pelle, tranne rari casi fanno la loro. Un dio nel cui nome sono stati perpetrati massacri, che perdona le peggiori nefandezze con una semplice e privatissima confessione, che divide l’umanità in buoni e cattivi, in redenti e dannati, che lascia prosperare congreghe che in suo nome esercitano il peggior potere assoluto, che terrorizza i poveri di spirito e blandisce i potenti, che conta i fedeli la domenica in chiesa. Questo, se anche esistesse, non sarebbe un dio per me. D’altra parte, se qualcuno trova conforto nel proiettare su un’entità astratta le sue speranze e paure, scaricandosi la coscienza di responsabilità (sia fatta la volontà di dio!), trovo giusto che lo faccia. Se riguarda solo la sua persona e la sua intimità, liberissimo. Sarei pronto anche a schierarmi in suo favore, a patto che non danneggi il prossimo. Basta che non si armi del sacro furore della fede e cerchi di riportare all’ovile la pecorella smarrita. È una violenza che non accetto, sia per chi tira la giacchetta verso la “redenzione”, sia per chi, dall’alto delle sue conoscenze scientifico-filosofiche, la tira verso l’ateismo più intransigente. Lasciatemi nel mio brodo di ateo un po’ agnostico, lasciate che pensi con quel poco di cervello che ho avuto in sorte, e non rompete. Accetto solo spunti di riflessione (come ad esempio questo blog, repliche comprese). Grazie

  • A quanto pare, dio non c’è, ma ce ne sarebbe bisogno.

    • tempo fa sentii in stazione questa frase (forse rubata ad altri… ma pure fosse che importanza ha?)
      mi son perso l’inizio ma – passeggiando in attesa del treno – ho sentito
      un tipo mal vestito dire a un altro un po’ meglio vestito di lui (ma neanche tanto)
      “non hai capito. Io credo in dio. Anzi penso che ce sono due. Il guaio è che ognuno di quei due crede che sia l’altro ad occuparsi di me”.
      mi verrebbe da approvare … se non offendo alcuno (db)

  • Credo che Sarina abbia detto tutto: ben altri sono i dubbi che andrebbero coltivati, ed anch’io mi stupisco che si sprechi tanto tempo a parlarne.
    Soprattutto trovo un po’ grottesco che la consueta, irresistibile aspirazione a saperla più lunga degli altri, a spiegare al prossimo come stare al mondo e in che verso il medesimo giri, si applichi anche ad un tema (credere/non credere) che – almeno questo, per la miseria – potrebbe essere e restare assolutamente soggettivo, personale, intimo e lasciato al sentire, al vissuto, ed alla sensibilità dell’individuo.

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