Estrattivismo culturale in America Latina

Teste che rotolano, ma in senso figurato ovviamente.

di Maria Teresa Messidoro (*)

 

I PERSONAGGI di questa storia sono:

Il tahiel, un canto sacro del popolo mapuche, con il quale un machi, cioè uno sciamano, durante una cerimonia, invita i presenti alla ricerca dell’unione con l’universo e con le generazioni passate e future. Ciascuna stirpe mapuche ha il proprio tahiel, che normalmente viene trasmesso oralmente da donna in donna; quale tahiel cantare in una certa occasione è una decisione della tamburellista o di una anziana comunemente apprezzata per la sua saggezza.

Eszter Salamon, una artista, danzatrice e coreografa ungherese, che vive e lavora dividendosi tra Parigi, Berlino e Bruxelles. Le sue opere sono molto centrate sulle relazioni intergenerazionali e sulle soggettività femminili. Durante il Kursten Festival des Arts, realizzatosi a Bruxelles nel maggio 2017, ha presentato un’opera di danza che si ispira proprio al tahiel. Nel video pubblicitario si vede un gruppo di giovani ballerini, dal viso dipinto con tratti multicolori, una mantellina metallizzata al posto del tradizionale poncho, che danzano in cerchio, cantando un tahiel mapuche.

https://www.youtube.com/watch?v=LePgHOx3Hw4

https://www.kfda.be/en/archive/detail/monument-06-landing-a-ritual-of-empathy

Il terzo personaggio è Moira Millán, una donna argentina, o forse è più corretto dire di origine mapuche, considerata dalla sua gente una weychafe, una guerriera. A cinquant’anni, è una riconosciuta dirigente del movimento sorto per il recupero delle terre ancestrali indigene, molte delle quali depredate dall’impresa BENETTON. Moira è membro della sezione argentina del movimento internazionale Ni una menos, oltre a coordinare il Moviminento de mujeres por el Buen VivirHa da poco pubblicato il libro “El tren del olvido”, dove, attraverso una piccola storia d’amore, si intersecano le grandi  storie di due popoli, quello argentino e quello irlandese che, agli inizi del 900, subiscono entrambi l’avanzare dell’oppressivo potere britannico (Moira Millán, El del olvido, Editorial Planeta).

L’insieme delle statue dei conquistatori del Cile, quarto personaggio, che entra in scena quasi alla fine della storia , ma non per questo meno importante.

 

LA STORIA.

Proprio il video della rappresentazione artistica di Ezster ha suscitato la reazione di Moira, come evidenzia un articolo apparso su Resumen Latinoamericano, il 24 febbraio 2020.

Perché? Perché puntando il dito contro la danza portata in scena dalla coreografa,, Moira vuole denunciare sia l’indebita appropriazione culturale sia ciò che lei definisce l’estrattivismo culturale.

L’appropriazione culturale è la cosificazine di una espressione culturale di un popolo (un oggetto artigianale o una danza, ad esempio) che la cultura dominante mette sul mercato, trasformandola appunto in merce; l’estrattivismo culturale invece è la sottrazione di un sapere, una conoscenza o un arte di un popolo, per sottometterlo e in alcuni casi anche per rifiutarlo come soggetto. Questo fenomeno non è meno grave dell’estrattivismo ambientale. Raúl Zibechi, nostro importante compagno di viaggio nella analisi della realtà latinoamericana, suggerisce che questa forma di estrattivismo porta con sé inevitabilmente la negazione dell’emancipazione, sia culturale che territoriale, delle comunità indigene.

L’estrattivismo culturale è dunque per Millán la moderna versione del pirata di altri tempi, colui che si avventurava alla ricerca di tesori perduti, nascosti in luoghi “esotici”: oggi, i novelli pirati, si appropriano di “tesori culturali,” sradicandoli e svuotandoli del proprio contenuto originale.

Un esempio emblematico è sicuramente Benetton, che saccheggia da tempo estesi territori mapuche, però contemporaneamente mascherando le proprie campagne pubblicitarie con messaggi che rivendicano la diversità razziale e l’integrazionismo, sotto l’ormai famoso slogan “United Colors of Benetton”. E così, mentre cerca di presentarsi come un innovatore nel mondo della moda con il suo pseudo antirazzismo, Benetton finanzia di fatto la repressione contro il popolo mapuche, anche attraverso un controllo della politica locale argentina nei territori usurpati. (in Bottega ne abbiamo scritto più volte).

Seppure su un altro piano, per Moira dunque anche Ezster Salamon è allo stesso modo una “pirata”, dato che ha “rubato” un canto sacro e una danza, probabilmente con la complicità di chi, con la macchina fotografica (che diventa in questo caso uno strumento estrattivista), ha filmato alcune cerimonie mapuche, per poi caricarle in you tube. Il rischio è che, approfittando dell’ospitalità e della fiducia dei popoli indigeni, non solo imprese multinazionali e governi statali o locali complici, ma anche ricercatori universitari, artisti o organizzazioni non governative saccheggino e distruggano ciò che Millán definisce l’ecosistema spirituale del popolo e del territorio mapuche.

Ma ciò che più mi ha colpito nella riflessione di Moira è l’ultimo passaggio del suo intervento, quando fa riferimento al fatto che la coreografa Eszter Salomon è solita definire le proprie opere come monumenti artistici.

Ecco allora l’ultimo personaggio della storia, l’insieme delle statue dei conquistatori europei: la statua di Pedro Valdivia, nella Plaza de Armas, al chilometro zero della città di Santiago del Cile, le statue di Garcia Hurtado de Mendoza, Francisco Aguirre e Dagoberto Godoy nelle principali città cilene, senza dimenticare Cristoforo Colombo, por supuesto.

Quando, nel novembre scorso, scoppia la ribellione in Cile, ribellione che continua tuttora, come continua la repressione statale degna della peggior dittatura latinoamericana, ed anche al tempo del COVID 19, uno dei primi gesti è stato quello di decapitare od abbattere proprio le statue degli uomini simbolo dell’invasione, celebrati come eroi dalla memoria ufficiale ma ricordati dalle popolazioni indigene come responsabili del genocidio,

Il 6 novembre 2019, la statua di Pedro Valdivia, a Santiago, è stata abbellita con la colorata bandiera mapuche, simbolo di una cultura millenaria, e quasi fatta cadere a terra. In quell’occasione, Antonia Huentecura, portavoce della Coordinación de Naciones Originarias de la Región Metropolitana, affermava che questo gesto era “tremendamente rivendicativo e politico”.

Il conteggio finale è di più di trenta statue di militari e conquistatori danneggiate da graffiti, altre definitivamente abbattute;  la statua equestre del generale Baquedano, in Plaza Italia (ribattezzata Plaza de la Dignidad) sempre a Santiago è stata dipinta e coperta parzialmente; ad Arica è stata distrutta una scultura in pietra, che stava lì da più di un secolo, di Cristoforo Colombo; a La Serena, il primo novembre, è rotolata a terra la statua del militare Francisco Aguirre, sostituita invece dalla statua di Milanka, simbolo della donna nella cultura diaguita.

Nelle parole di Carolina Herrera Rojas – meica (cioè curatrice popolare) – il perché della sostituzione: “l’immagine di Milanka ha un grande significato nella cultura matriarcale dell’antico popolo diaguita (che vive nel nord del Cile). Questa donna che allatta ci collega alla fonte della vita, ed è parte della nostra cosmo-visione”.  Purtroppo, alcuni giorni dopo, la statua di Milanka è stata bruciata da sconosciuti, ma senza poter cancellare completamente la forza di un’azione collettiva che ha superato le frontiere cilene.

Un gesto simbolico è avvenuto anche nella città di Concepción, a cinquecento chilometri a sud di Santiago: nella Plaza de la Indipendencia, la statua di Valdivia è stata abbattuta il giorno stesso in cui si commemorava il primo anniversario dell’assassinio del mapuche Camillo Catrillanca (ne abbiamo scritto in Bottega).

Se le teste delle statue dei conquistatori rotolano durante le proteste popolari, se la bandiera mapuche è quella più sventolata nelle numerose e continue manifestazioni di piazza, ciò significa che la storia cilena va riletta e reinterpretata da un altro punto di vista; la “desmonumentalización” (parola quasi intraducibile ma comprensibile credo) portata avanti con coraggio in prima persona dal popolo mapuche anche in modo ironico e satirico, vuole puntare il dito contro quei personaggi che incarnano un perpetrato genocidio, ricordando che il Cile non è un uno Stato omogeneo ma possiede molteplici identitá comunitarie, ciascuna delle quali deve essere riconosciuta in uno Stato plurinazionale, con il rispetto dei diritti, anche quelli non individuali, di tutti i popoli presenti sul territorio.

Autodeterminazione politica, recupero territoriale, diritti linguistici e smilitarizzazione del Wallmapu (territorio mapuche nella propria lingua, il mapundungun) sia nel Gulumapu (la parte occidentale, ufficialmente nello Stato cileno) che nel Puelmapu (la parte orientale, che compete formalmente all’Argentina): ecco gli obiettivi della lotta di un popolo, quello mapuche, troppo frettolosamente considerato estinto, e che conta oggi poco meno di quattro milioni di persone.

Un popolo orgoglioso che si ripropone come guardiano della vita, che si batte ogni giorno contro imprese estrattive e contaminanti, mercenari latifondisti e funzionari corrotti; dunque anche contro l’estrattivismo culturale, che dovrebbe essere denunciato e condannato.

Chissà se Eszter Salamon cambierà il nome alle proprie opere artistiche.

 

Millán Moira, Nación mapuche. El extractivismo cultural es la sustracción de un saber o arte ancestral para destruirlo, disponibile in http://www.resumenlatinoamericano.org/2020/02/24/nacion-mapuche-moira-millan-el-extractivismo-cultural-es-la-sustraccion-de-un-saber-o-arte-ancestral-para-destruirlo/

Trujillo Limones Juan, La sublevación mapuche en Chile, 24 novembre 2019, disponibile in https://desinformemonos.org/la-sublevacion-mapuche-en-chile/

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento, www.lisanga.org

 

Teresa Messidoro

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