Estremismo, malattia senile del moderatismo

di Mauro Antonio Miglieruolo

Amano definirsi moderati e vorrebbero imporre a tutti di esserlo. Come però loro non sono. Non dunque moderati veri, ma moderati per finta, moderati smodati che non si vergognano di esserlo, non vergognosi della propria finzione, né dell’eccesso con cui la praticano.

Moderati per scherzo, moderati per beffa, per coglionare il prossimo, si potrebbe dire. Moderati che non si moderano sui loro propri bisogni, sempre molto al di sopra dello standard previsto e prevedibile, e che smodatamente chiedono a chi li ha eletti (e paga) di stringere la cinghia, pacati estremisti dei sacrifici per il bene comune imposti agli altri. Li chiedono a gran voce, anzi più che chiedere impongono e più si accorgono della nostra difficoltà oggettiva a esaudirli, più si accaniscono. Il problema è che siamo noi i destinatari dei sacrifici gli unici veri moderati, mentre non lo sono loro, gli oltranzisti predicatori televisivi e partitocratici che del moderatismo hanno fatto lo schermo per il loro estremistico accanimento contro la povera gente (resa povera proprio da loro, dai cosiddetti moderati). Di moderatismo si riempiono la bocca per emettere condanne contro tutto ciò che si muove, nello stesso tempo che fermi o immobili, non concepiscono altro che piani di esasperato fanatismo antioperaio. Sono inflessibili su questo aspetto. Le parole d’ordine costanti sono: tagliare il welfare; tutto quello che va ai lavoratori è spreco; i diritti sono privilegi; sacrifici oggi per benefici domani (domani lo stesso: sacrifici oggi per benefici domani); e: convincetevi con le buone, altrimenti siamo pronti a convincervi con le cattive. Inflessibili a parole sulla moderazione, nella pratica politica sono dunque disgustosamente inflessibili (l’inflessibilità dovrebbe servire le buone cause, non le pessime). A quelli che amano definirsi moderati, coloro che hanno fatto dell’ipocrisia la loro bandiera, e della dissimulazione la principale arma di lotta, piace poco chi si pronuncia sui problemi veri del paese con parole chiare, parole dirette, parole inequivocabili. Piacciono poco coloro che non ciurlano nel manico. Non avendo di che obiettare contro la realtà dei bisogni e del malgoverno iscrivono d’ufficio coloro che se ne lamentano sul libro dei reietti per estremismo. Non hanno confine nella loro spudoratezza. Persino a un mite socialdemocratico quale è Bertinotti (quale è il suo stesso allievo Vendola), il quale negli anni cinquanta avrebbe al massimo potuto aspirare a svolgere un ruolo di “destra” nel PCI dell’epoca, è stato attribuito questo titolo (per me) onorifico di rappresentante dell’estremismo politico! Già, perché chiunque non sia apertamente o nascostamente (ci sono i reazionari che si vergognano) in favore del supersfruttamento a oltranza della manodopera, d’accordo sull’oppressione universale, d’accordo sulle ruberie dei politici e loro mandanti, d’accordo sulle truffe (che continuano) ben ricompensate dallo Stato degli gnomi della finanza, d’accordo sulle miserabili condizioni in cui è costretta a vivere la maggioranza dell’umanità, nonostante si sia nel regno dell’abbondanza; questo chiunque risulta essere ai loro occhi l’irragionevole rappresentante dell’eversione, un folle, uno da cui guardarsi e da isolare o imbavagliare utilizzando ogni e qualsiasi mezzo democratico. Inclusa la calunnia, il manganello, la prigione o la sottrazione di ogni strumento atto a far conoscere le loro posizioni.
Non occorre molto a costoro per realizzare la dissimulazione. Basta qualche “cautela” di linguaggio, il dichiararsi morigerati, sebbene nella sostanza siano autentici telebani della politica al servizio di sua maestà il capitale, e il rovesciamento delle posizioni è assicurato. Basta, a esempio, definire la guerra di aggressione missione di pace! Basta attribuire alla fatalità, favorita dalla pigrizia dei locali (i quali, guai a muoversi, giù bombe!) la fame nel Terzo Mondo, fame provocata dallo scambio ineguale e da dirigenti burattini e politiche lacrime e sangue che, con la forza del danaro e se non basta quella delle armi, imponiamo. Anche inquinare il pianeta è per “i moderati”atto benemerito di civiltà, attuato “in favore del progresso”, sebbene sia solo funzionale a riempire portafogli già sontuosamente pieni.
Non è importante dunque che si colpisca e duramente per risultare quel che effettivamente si è: estremisti e terroristi, oltranzisti delle politiche contro i poveri. Importante è coprire la mano di ferro con un guanto di velluto. Importante è difendere l’ordine pubblico, ordine pubblico che per altro non si fanno scrupolo di turbare con le loro indecenti pratiche politiche, gli inciuci, la corruzione, l’allegra amministrazione e la noncuranza di tutto quello che non produce profitto, con il manganellare a tutto spiano, sostenendo che lo si fa per impedire agli estremisti di avanzare le loro estremistiche (ma ragionevolissime) rivendicazioni. Che poi sono rivendicazioni di niente: avere un salario decente, diritto a un lavoro, a non vivere una fabbrica-caserma, mandare i figli a scuola ecc. Eccolo qui l’estremismo di cui si lamentano. Ma attenti, cari moderati. Se insistete, prima o poi, i veri moderati che voi chiamate estremisti, potrebbero stufarsi e convincersi che accontentandosi del poco non si arriva da nessuna parte. Meglio prendersi tutti e mettere sulla strada anche voi a cercare un lavoro. Un lavoro vero, finalmente. Non un lavoro precario.
È la solita vecchia canzone di sempre, cantata a gran voce dagli stessi fascisti, i quali promuovevano il disordine per salvare il paese dall’ipotetico disordine di chi osava alzava la voce non facendogliela più a sopportare le violenze, lo sfruttamento, la fame; quella, a esempio, cantata di Pinochet che sosteneva di aver effettuato il suo micidiale Colpo di Stato per evitare quello delle sue vittime, Allende in testa.
L’ultima dei “moderati”, prova evidente della loro propensione all’estremismo: la dichiarata disponibilità a far ricorso all’esercito se le teste dure della Val di Susa non la pianteranno di mettere i bastoni tra le ruote (alias, piantarla di pretendere di esercitare la sovranità popolare, della quale, i moderati, sempre smodatamente, quando loro conviene, si riempiono la bocca).
Come si è arrivati a tutto questo? Il titolo sembra suggerirlo. Per senilità. Perché il vecchio paradigma teorico-politico che ha dato luogo alla grande stagione di lotte del Novecento si è esaurito e un nuovo paradigma non sembra sia pronto a guidare gli uomini. Per vecchiaia, dunque. Perché la vecchie parole sono inefficaci, non convincono più e anzi permettono che dietro di esse si nascondano furfanti di ogni genere: furfanti dignitosi e furfanti indegni. Furfanti che sanno di esserlo e furfanti ignari di sé, che non sanno quello che fanno.
Furfanti… Certo, non tutti loro lo sono. Certo, non è bello dover usare parole così forti contro altri uomini. Certo, far politica o anche semplicemente parlarne comporta un aplomb che ai “moderati” è utile per mascherare il loro sostanziale estremismo, ma che a me servirebbe solo a rendermi ridicolo. Posso, per dovere di sincerità, al massimo riconoscere che con alcuni politici contrari alle mie idee si può instaurare un dialogo onesto che se pure non produrrà frutti, almeno sul piano umano può approdare alla stima reciproca e generare una certa consolazione (è ben brutto un mondo in cui non vedi altro che gente che pensa a ingannarti, a carpirti il voto per poi toglierti dignità, potere e ruolo). Ma sono tanto pochi costoro, mosche bianche, che non mi faccio scrupolo (anche io una tantum) di far di tutta l’erba un fascio per poter dare pane al pane e vino al vino. Mi scuseranno allora quei pochi che pur non pensandola come io la penso sanno però quanto valgano le persone alle quali sono ideologicamente contigui. La scelta mia potrebbe essere di far tacere l’indignazione e assumere il tono asettico dello scienziato che asetticamente considera il mondo (ma esiste un tale genere di investigatore della oggettività?), scelta che, nel confronto con i reati che ogni giorno il mondo politico commette (tra cui primeggia l’omissione di soccorso: il soccorso di coloro che li hanno eletti), è sempre più difficile operare. Che, ribadisco, non mi sento di operare.
Di là da questa voluta impotenza, posso però azzardare la potenza di una seconda più feconda spiegazione del declino del quale soffre il Movimento Operaio. E cioè la propensione “al quieto vivere” che caratterizza molti, troppi. Noi tutti saremmo ben contenti di potercene stare placidi a farci i fatti nostri, godere delle grazie del vicino/vicina, dare il nostro contributo alla società e dalla società avere restituito quel minimo che ci permetta di continuare. Di fondo non chiediamo altro che essere lasciati in pace. Essere discretamente governati, aiutati a risolvere i nostri problemi, star bene nei nostri panni. Questa è il nostro limite. Il moderatismo di fondo che ci caratterizza. E che, a ogni sorgere dell’indignazione e senso di giustizia, viene implacabilmente definito “estremismo”. Ma anche il vantaggio decisivo di cui godono i padroni. Perché rispetto a ciò che loro fanno, le trame continue contro coloro che tutto producono e ben poco hanno, ben altro che l’indignazione occasionale occorrerebbe. Occorrerebbe la furia, invece, una furia capace di tutto travolgere e indurli al pianto e allo stridor di denti. Occorrerebbe l’urlare tanto da farsi sentire anche in Paradiso.
Purtroppo però, niente di tutto questo avviene. Moderati come siamo continuiamo a sperare, nel fondo ognuno è nel “speriamo che io me la cavo”; ognuno crede che in qualche modo non sarà costretto a fare quel che c’è da fare.
Fortuna che a lor signori questo starcene per i fatti nostri, in attesa di un domani migliore che non arriva mai, poco piace. Proprio non intendono consentircelo. Neppure questo: di godere, del tutto che produciamo, del quasi niente che resta nelle nostri mani. Insaziabili e stupidi, pur trovandosi nella condizione migliore per continuare a dominare; pur potendo indugiare nei lori vizi e vivere la loro pessima vita di parassiti, incattiviti dal loro stesso mestiere di vampiri, non riescono proprio a lasciarci un poco in pace. Per puro sadismo da una parte e per convenienza dall’altra. Ritengono probabilmente che se non ci danno in testa tutti i santi giorni, potrebbe accadere che, un attimo di sollievo dal tambureggiare continuo dell’imbonimento televisivo, quello dei manganelli e quello delle cinghie che si stringono, possa venire in mente di pretendere la restituzione di tutto ciò che è nostro. Cioè, come accennavo, tutto. Tutto quello che c’è infatti è frutto del nostro lavoro, delle nostre intelligenze, del nostro darci da fare (mentre il loro darsi da fare è posto in atto per privaci dei frutti). Per evitare che sopraggiunga questa malaugurata idea ecco allora l’illegittimo loro strafare. Il loro infierire. Il metterci i piedi sulla faccia per garantirsi preventivamente delle nostri possibili velleità di ribellione. La loro, questa sì vera, vocazione estremistica. Diciamo la verità: hanno paura di noi, ci temono. Un complesso di colpa micidiale, il complesso degli sfruttatori, li spinge su una strada che finirà con la loro perdizione. Accumulano armi e le usano contro i proletari del Terzo Mondo, ma con il retro pensiero di poterle adoperare un giorno contro di noi. Per salvarsi da noi. Nel frattempo, sicuri nei loro bunker scavati nelle montagne di danaro, si accaniscono, moltiplicano le pretese, rivendicano maggiori profitti invece di accogliere le nostre rivendicazioni. Insomma ci istigano, con nostro grande rammarico, sulla strada che porta alla ribellione.
Perché bisogna pure saper ammetterlo, dietro molte vocazioni rivoluzionarie spesso sonnecchia un moderato impedito a esserlo. Un militante stanco del tanto soffiare del vento e che, albero ricco di fronde, vorrebbe riposare. Non può. A nessuno di noi è permesso. Il vento della reazione si arresta al massimo per un minuto, e subito riprende a soffiare.
Per quel poco che chiediamo, gli stupidi estremisti che amano definirsi “moderati” rischiano di perdere tutto. Il poco che servirebbe a placare la nostra indignazione. Saremmo ben contenti infatti, in un mondo in cui la penuria non ha ragione di esistere, di veder scomparire dalle città e dai paesi la piaga della miseria. Di veder scomparire tutte le cause che l’alimentano, prima tra tutte l’infamia del lavoro precario, della licenza di trasferire all’estero il capitale nazionale, la ricchezza di tutti noi, che tutti abbiamo contribuito a creare. Di osservare l’effettuazione di qualche passo indietro sulla truffa epocale sulle pensioni (e indennità di fine lavoro); di veder restaurato il pericolante edificio della giustizia o se si desse la possibilità a chi lo vuole di studiare e a chi ne è capace di fare ricerca.
Non si tratta di tanto e neppure di poco. Il giusto. Il minimo per poter tornare a parlare di società civile. Restaurando quello che un tempo già c’era e inserendo il nuovo che in molte altre parti già c’è. Un niente quasi nel confronto con il tutto a cui potremmo aspirare.
Noi però non siamo tanto ambiziosi. A meno che voi signori padroni e sotto-signori del PD, PDL, IDV, SEL e compagnia elencando (un elenco che include disuguali ugualizzati dalla sostanziale accettazione dell’esistente), non ci costringiate a diventarlo: ambiziosi e pure estremisti. Nonostante noi, nonostante la voglia di allegria che ci contraddistingue e la tendenza a assestarci nel più o meno piccolo che la vita ci ha riservato. Nonostante l’ostinato estremismo antioperaio (persino con Marchionne avete saputo schierarvi!) che caratterizza la “sinistra” interpretata dai Fassino, D’Alema e Veltroni; e spinge noi a maturare una presa d’atto della necessità di rispondere per le rime.
Allora sì, quando questa presa d’atto coinvolgerà i più, che saranno guai. Avrete voglia allora di gridare all’estremismo (si tratterà solo di giustizia). A quel punto sarà troppo tardi per rimediare.
Non ci sarà pianto e stridor di denti, allora. Ma solo Giustizia e Libertà.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Il “centrismo” non è sinonimo di moderazione (qualsiasi possa essere il significato che si vuol dare a questa parola) ma solo di (mirare al) “centro tavola”, dove sta il “piatto ricco” (e mi ci ficco)…

    Giorgio

  • grazie Giorgio. Credo che utilizzerò in altre occasioni la tua interpretazione della definizione. Centrata.
    Mam

  • Mi chiedo se chi scrive certe cose si rilegga e, qualora si rilegga, se si renda conto del climax di – non tanto di assurdità, perchè non ci
    sarebbe niente di male in un po’ di assurdità, o di sana follia, anzi
    ce n’è un gran bisogno – ma di insensata violenza, di aggressività, di
    minaccia… Un magma ribollente dove le parole perdono ogni
    significato in una guerra totale scatenata contro qualsiasi
    rappresentanza o istituzione… a parole.
    A parole.
    Perchè è a parole che succede tutto questo, ovviamente e
    fortunatamente, solo a parole.
    E questo è l’aspetto surreale e per molti versi rinfrescante, in mezzo a tanto clangore di spade e mostrar bicipiti: che i mastini che
    abbaiano più furiosamente sono generalmente i più inoffensivi,
    ed in ogni caso la loro furia (apparentemente) devastatrice è talmente
    senza direzione, talmente cieca e inconcludente, talmente incapace di
    andare oltre all’invettiva e di formulare ipotesi di qualsiasi tipo,
    che il sistema non la riconosce nemmeno come minaccia; perchè il
    sistema sa benissimo che da lì non può venire nè un vero pericolo in
    grado di abbatterlo, nè il germe di un’idea in grado di scalzarlo. E’
    l’erba che cresce silenziosa che rompe l’asfalto, non il rombare degli
    autotreni che ci passano sopra..

  • Accetto la reprimenda e prometto che cercherò di moderare l’indignazione, la prossima volta. Si può avere ragione anche senza arrabbiarsi per i troppi torti subiti. Mantenendo comunque la calma, un linguaggio forbito e l’aplomb di coloro che non hanno problemi e che mai, probabilmente, li hanno avuto.
    So bene anche che, considerando pure l’età, sono innocuo. Lo sono sempre stato, anche da giovane. Mai fatto del male a nessuno io. Nemmeno il male che consiste nel fingere di essere per il lavoro e poi dare l’avvio alla demolizione dei diritti dei lavoratori (vedi CoCoCo); promettere di mettersi di traverso e poi limitarsi a fingere di farlo…
    Probabilmente dal fondo della mia educazione cattolica emergono ricordi seppelliti, il ricordo della durezza del linguaggio di Gesù nei confronti dei “moderati” dell’epoca e mi vien voglia di imitare. L’aveva sempre sulla bocca il Prof di religione, questa parola. Imitare Cristo. Quel tipo nato a Betlemme, quello sì picchiava duro. Altro che il piccolo Mam. Erano nerbate, le sue. Nerbate verbali e nerbate reali. Mica riusciva a contenersi il, di norma, mite Gesù contro i farisei falsi e bugiradi. Per non parlare dei mercanti del tempi, preti e politici dell’epoca. la mandavano in parnoia, lo mandavano! Ma queste sono faccende di duemila anni fa, dare pane al pane e vino al vino non s’usa più. Predicare con parole di fuoco, macché. Adesso è con il silenzio che si vincono le proprie battaglie…
    Come si vede, accetto tutto. E ringrazio che qualcuno abbia adoperato parte del suo tempo per occuparsi delle bagatelle che scrivo.
    Una però non accetto: che non si entri nel merito delle argomentazioni. Che non si prenda posizione sulle affermazioni fatte. Che non si dica basta a chi merita si dica basta: basta vessare la povera gente.
    Per il resto mi si dica il peggio che vuole e ringrazierò. Ma, per favore, PER FAVORE! non si cerchi di trastullarmi invitandomi a aspettare che l’erba cresca. Muoio di fame, nel frattempo. Oltre che di mortificazione per non aver fatto nulla per non morire di fame.
    Mam

  • Grazie per la risposta. La mia principale osservazione, se posso dire, era che mi è sembrato proprio lei il primo a non entrare nel merito… Perchè sotto questa spettacolare invettiva non vedo un’idea una (a parte il concetto del ‘verrà un giorno’… ‘ allora vedrete’…).
    Oh: detto benissimo, eh? Intendiamoci. Detto come io non saprei dirlo in cent’anni. Grandissima prosa. Però gli esercizi di retorica per quanto elaborata (e un po’ compiaciuta, ma sono sicuro di non dirle nulla di nuovo, lei sa benissimo di piacersi) mi lasciano un po’ la sensazione che le volute barocche della facciata servano a mascherare un’assenza sottostante. E non vedo come la retorica possa salvare chicchessia dal morire di fame, se era quello l’obiettivo…

  • Contravvengo alle raccomandazioni del blog e controrispondo alla sua replica. Lo merita un ulteriore chiarimento.
    Ignoro se lei si piaccia o meno. Credo però che dovrebbe. Io almeno ho apprezzato moltissimo. Sia l’abilità argomentativa che quella stilistica. Se aggiungo qualcosa non è perché le manca, lei è perfetto nel suo discorso, ma perché manca a me. Che lei sottolinea e mi costringe a aggiungere.
    Sulla genericità dell’articolo non posso che rispettare la sua opinione. Le opinioni, sulla bilancia politica, si equivalgono. Quel che conta sono i percorsi attraverso cui ci si arriva (a formarsi quelle opinioni). Quel percorso, data anche la natura dell’articolo (lo smascheramento di certe pretese dei cosiddetti partiti moderati), lo davo per scontato. Sbagliando. Evidentemente per lei non è evidente (sottolineo l’autocompicimento di giocare con le ripetizioni: lo ammetto, sì, mi piace verificare di aver in parte superato l’ignoranza della lingua italiana che mi affligge. Nonché di avere il coraggio di dire l’indicibile). Il suo percorso sicuramente non è il mio. Non ha visto, vissuto, sofferto le intemperanze dei “moderati” che ho vissuto io. Il mio percorso è non solo di esperienze “gruppettare” ma anche di militante della CGIL, dirigente e poi segretario della sede in cui lavoravo, poi nel direttivo nazionale; esperienze che mi hanno permesso d verificare, nel concreto delle esperienze concrete, l’inflessibile estremismo antioperaio dei “moderati”. Un giorno, chissà, forse entrerò nel merito delle porcherie a cui ho assistito. Le vessazioni subite. Mi è chiaro però che, per chi non le ha vissute e quindi non si è vaccinato una volta per tutte contro la retorica della stampa di regime (ma la lasci passare, la prego, questa espressione retorica), non è altrettanto evidente, non implicitamente detto, una volta per tutte detto delle malefatte dei “politici” e dei funzionari del capitale.
    Ma questo è limite mio, non suo. Ne terrò conto.
    Resta il fatto che i moderati sono quello che sono. Che insieme alla destra nei confronti del proletariato (auspico non le spiaccia questa parola desueta) costoro costituiscono un’unica massa reazionaria. Che in questa massa reazionaria bisogna includere anche l’attuale “sinistra”. Che sentirsi chiedere elementi a sostegno di questa affermazione, per quanto legittima la pretesa, è alquanto sconfortante. Segno del grando lavoro che, anche a sinistra, occorre fare per ripristinare un senso comune che una volta era di tutti (o era di molti) e che oggi è di pochissimi. Su certi argomenti ci si intendeva al volo. Tutto era già stato dimostrato attraverso un confronto, una discussione, una lavorio che non conosceva soste. La sinistra allora, fino a metà degli anni settanta, era un continuo discutere, affinare, approfondire del quale non abbiamo neppure più cognizione. Una scuola continua, basata sulle esperienze concrete. Non c’era bisogno di precisare ciò che era stato precisato le mille volte.
    Un lavoro tutto da rifare. Rifare anche me stesso, ancorato a presupposti che non sono più di tutti, che richiedono sia dimostrato ciò che i fatti (fatti scomparire dai media e dai “politici”) hanno già dimostrato.
    Ricominciare da capo, insomma. Niente più rendite di posizione. Doloroso alla mia età, ma ineludibile.
    Mi creda, non si tratta di retorica, ma il suo contributo mi è stato prezioso.
    Mam

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