Europa, cinismo, Sarajevo e anniversari

Le iniziative per commemorare il centenario dell’attentato a Francesco Ferdinando e la situazione in Bosnia Erzegovina oggi. Intervista a Zlatko Dizdarević di Andrea Rossini (*)

In giugno l’Europa ricorderà i 100 anni dall’inizio della Prima guerra mondiale con un fitto programma di iniziative qui a Sarajevo. Cosa pensa di queste celebrazioni?
«Si tratta di un’espressione di cinismo. Sono iniziative che certamente non vanno a vantaggio di Sarajevo, né dei sarajevesi, e hanno riaperto una battaglia fra di noi, su Gavrilo Princip. Adesso per una metà dei bosniaci Princip è un terrorista, per l’altra metà è un eroe. Che bisogno avevamo ora di discutere di queste cose? Abbiamo un Paese, la Bosnia Erzegovina, completamente distrutto. Non funziona, non esiste. E i politici europei verranno qui per una settimana sorridenti, con i palloncini colorati, grandi dichiarazioni, “Mai più”, a ricordare l’amore dell’Europa per Sarajevo, i princìpi europei. Si tratta di un incredibile cinismo. Se c’è un luogo dove i princìpi europei vengono abbandonati, questo è Sarajevo».
Allora perché queste celebrazioni?
«È un’occasione meravigliosa per lavarsi la coscienza, per organizzare qualcosa di positivo, una grande festa, in un momento in cui la situazione europea e mondiale è drammatica, con la guerra sempre più presente, l’estrema destra sempre più forte, il progressivo abbandono degli ideali di libertà e cosmopolitismo».
Eppure la morte di Francesco Ferdinando ha segnato la fine di un’epoca e l’inizio della grande guerra civile europea. Non è importante riflettere su quegli eventi?
«Anzitutto io non penso che quella guerra sia iniziata a Sarajevo, le grandi potenze erano già preparate per la guerra. Sarajevo non è responsabile per la guerra».
L’attentato è stato solo un pretesto?
«Sarajevo è stata una vittima delle relazioni internazionali esistenti. Anche nell’ultima guerra il suo destino è stato questo. La colpa non era di Sarajevo. Nel 1992, quando la guerra è iniziata, nessuno di noi pensava che fosse possibile. L’atmosfera, le relazioni fra le persone, non consentivano di pensarlo. Dopo il primo sangue, naturalmente, la situazione è cambiata».
Dunque non era necessario riaprire il dibattito su questi temi?
«Non penso fosse necessario adesso, né tanto meno a Sarajevo. Il nazionalismo, la storia degli ultimi 20 anni, tutti i problemi ancora irrisolti… Sarajevo non è il posto dove fare queste celebrazioni. Nelle nostre scuole elementari abbiamo manuali di storia che presentano tre versioni diverse dello stesso episodio, come possiamo discutere di queste cose? Perché queste celebrazioni non le hanno fatte a Parigi, a Londra, a New York? Io non sarei contrario a una piccola manifestazione, a una commemorazione, una mostra, è ovvio, non si possono chiudere gli occhi di fronte a questo anniversario. Ma quanto sta accadendo è semplicemente isterico».
Cioè?
«Tutte le espressioni della vita culturale, dal cinema al teatro, alla letteratura, alle manifestazioni sportive, avverranno nel quadro del centenario della Prima guerra mondiale. L’Ambasciata francese ha proposto che il Tour de France inizi a Sarajevo, nel nome del centenario. Tutto questo è cinico. Viene fatto per dimenticare quella che è la realtà della Bosnia Erzegovina oggi, una realtà che nessuno vuole affrontare. C’è una grande retorica e falsità in queste celebrazioni. Alla gente di Sarajevo non interessano, questa non è la nostra festa».
Il tema del 28 giugno ha quindi già prodotto divisioni?
«In realtà i cittadini sono semplicemente stanchi di questi dibattiti, pensano a come trovare qualcosa da mangiare, un posto di lavoro. Sarajevo è stanca di queste promesse europee, che qui vengono regolarmente disattese. Venti anni fa ho scritto un libro con l’amico Gigi Riva dal titolo “L’Onu è morta a Sarajevo”. Oggi, venti anni dopo, penso che sia l’Europa ad essere morta a Sarajevo».
Perché le istituzioni culturali e politiche locali non hanno impedito questa operazione, se gli effetti sono così negativi?
«Perché sono sottoposti alle pressioni delle diverse istituzioni internazionali e dei diversi uffici europei, delle organizzazioni non governative… Sono tutti esaltati per questo evento, sono in estasi. La realtà però è che anche oggi l’Europa è divisa, in Est e Ovest, nell’Europa slava e quella degli austro ungarici».
Quindi la situazione non è molto diversa da quella di 100 anni fa?
«Assolutamente no. Guardate all’Ucraina, alla Siria. Sono il risultato di sogni imperiali, di ambizioni neocoloniali».
E la Bosnia Erzegovina?
«Se non vengono presentati segnali assolutamente chiari sul futuro europeo della Bosnia, lo spazio vuoto verrà occupato da altri, dalla Turchia, dalla Russia o dai Paesi arabi del Golfo».
(*) Ripreso da «Osservatorio Balcani e Caucaso» del 14 maggio 2014. Zlatko Dizdarević, giornalista e scrittore sarajevese, è stato ambasciatore della Bosnia Erzegovina in Croazia e Medio Oriente.

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