Fabbricanti di guerre sempre all’opera. E noi?

Articoli di John Scales Avery, Tommaso Di Francesco, Antonio Mazzeo, Gregorio Piccin e due appelli sulla crisi ucraina

foto di Paddy O Sullivan

Ucraina: diamo una possibilità alla pace!

di Gerardo Femina

Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Federazione Russa evolvono in maniera preoccupante. La Russia dispiega le sue truppe mentre l’espansione della NATO minaccia equilibri già instabili. E l’Ucraina, già dilaniata dalla guerra civile, si trova al centro di questo vortice pericoloso.

Dal canto suo l’Europa si allinea alla politica degli Stati Uniti andando contro i propri stessi interessi. La Russia non solo è importante per il gas ma è un mercato essenziale per l’Europa. Una vera collaborazione all’interno di una regione euroasiatica porterebbe benessere e un grande avanzamento non solo economico. Ma è proprio questo che gli Stati Uniti non vogliono e quindi favoriscono le divisioni in Europa, non solo tra Est e Ovest, ma anche all’interno degli stessi paesi occidentali. Non vogliono accettare che il mondo sia diventato multi-polare e alimentano un’atmosfera da guerra fredda.

L’Europa può avere un ruolo decisivo, volto al progresso e alla pace, ma deve avere una politica estera unitaria e indipendente, come auspicato nella dichiarazione Europa per la Pace.

Oggi l’Europa deve fare tutti gli sforzi necessari per una soluzione diplomatica del conflitto opponendosi a qualsiasi intervento armato. La Russia deve ritirare le sue truppe dal confine ma si deve garantire la non espansione della NATO in Ucraina.

I politici europei, persi tra sondaggi elettorali e interessi di parte, sono all’altezza della missione che la storia chiede loro? Hanno chiare le conseguenze catastrofiche di una guerra tra potenze nucleari? Si rendono conto che qui è in gioco il futuro dell’umanità?
E il popolo ucraino vuole davvero una guerra disastrosa sul proprio territorio per fare gli interessi di una potenza straniera?

E’ il momento di rispondere al clamore che viene dal futuro! E’ il momento che i popoli, le persone comuni, gli Invisibili, quelli che non partecipano ai negoziati e non appaiono nei talk show, facciano ascoltare la loro voce contro la guerra e a favore della pace. E’ il momento di risvegliarsi dall’ipnosi mediatica! E’ il momento di scendere in piazza, è il momento di agire ! Anche piccoli gesti in questa direzione sono importanti per dare a noi stessi e ai nostri figli un futuro, un futuro umano dove finalmente si riderà delle sventure che oggi siamo costretti a vivere.

Riprendiamoci il futuro.
Diamo una possibilità alla Pace!
Europa per la Pace
#UmanistiperlaPace

La dichiarazione Europa della Pace fu redatta nel 2007 da alcuni membri del «Movimento umanista». Aderirono alla dichiarazione Noam Chomsky e Michail Gorbaciov, in Italia Giulietto Chiesa, Dario Fo, Angelo Baracca, Margherita Hack, Alex Zanotelli e numerosi altri.
La campagna si diffuse in tutto il mondo aiutando tra l’altro a fermare l’installazione di una base militare che gli Stati Uniti volevano realizzare nella Repubblica Ceca contro la volontà della grande maggioranza della popolazione. Questa dichiarazione può essere un momento di riflessione per una campagna pacifista e nonviolenta a favore della pace in Ucraina.
www.europeforpeace.eu

(*) ripreso da www.pressenza.com/it/

 

Impedire il ritorno della guerra in Europa

L’appello. «È assolutamente urgente mobilitarsi per impedire il ritorno della guerra in Europa. Un conflitto potrebbe avere conseguenze inimmaginabili»

Nel secolo scorso l’Europa è stata dilaniata per ben due volte, nel corso di una generazione, dal flagello della guerra che ha causato sofferenze indicibili ai suoi popoli e una degradazione inconcepibile dell’umanità fino al male assoluto della Shoah.

La profonda aspirazione alla pace, a rendere impossibile di nuovo la guerra fra le nazioni europee è stata a fondamento della nascita della Comunità europea e del percorso che l’ha portata a trasformarsi in Unione Europea.

La caduta del muro di Berlino e lo scioglimento del Patto di Varsavia hanno fatto venire meno le ultime conseguenze della guerra fredda in Europa e creato la possibilità della convivenza pacifica di tutti i suoi popoli, dall’Atlantico agli Urali.

Purtroppo la distensione resa possibile dalla fine della guerra fredda non è stata coltivata; non è bastata la dissoluzione dell’Unione Sovietica per far venir meno lo spirito di contrapposizione dei due blocchi militari, come poteva fare prevedere l’allargamento del G7 alla Russia, capitolo che è stato frettolosamente chiuso.

L’allargamento ad est della NATO, che ha inglobato paesi che facevano parte della ex Unione Sovietica, ha comportato il dispiegamento di un dispositivo militare ostile ai confini della Russia; ciò costituisce obiettivamente una minaccia e come tale è stata percepita.

Questa situazione ha generato una nuova corsa agli armamenti, compreso il riarmo nucleare.

Si sono create, così, le condizioni per un nuovo tipo di guerra fredda molto più pericolosa della precedente, perché non più fondata su una contrapposizione ideologica ma su pulsioni nazionalistiche ancora meno controllabili.

L’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo ucraino è stato fortemente condizionato dal tentativo della Russia, da un lato, e del blocco occidentale a guida USA, dall’altro, di trascinare questo Paese ognuno nel proprio campo di influenza.

Se la Russia ha occupato la Crimea e in seguito alimentato il conflitto del Donbass, la NATO ha assunto una posizione vissuta come provocazione politica e militare dalla Russia quando si è dichiarata disponibile ad accogliere Ucraina e Georgia nell’alleanza atlantica.

Adesso la tensione politica e militare fra i due schieramenti è arrivata a livelli insostenibili.

Una provocazione può arrivare da qualunque parte sul terreno e fare da detonatore ad un conflitto armato non più controllabile.

E’ assolutamente urgente mobilitarsi per impedire il ritorno della guerra in Europa.

Un conflitto potrebbe avere conseguenze inimmaginabili.

Si deve operare immediatamente per un raffreddamento della tensione politico-militare e l’unica strada percorribile è quella del blocco immediato di ogni escalation militare.

L’Unione Europea non deve farsi trascinare dalla NATO in una insensata corsa all’incremento delle minacce sul campo e ad un rilancio delle spese militari. L’Italia deve dissociarsi da questa politica e deve mandare un segnale chiaro a favore della distensione, che non ha alternative, opponendosi – com’è in suo potere – all’estensione nel territorio dell’Ucraina del dispositivo militare della NATO e al dispiegamento in Europa di nuovi missili e armi nucleari americane. E’ interesse dell’Italia e dell’Unione Europea avviare una trattativa per arrivare a condizioni che garantiscano la Russia dalla preoccupazione di un accerchiamento e consentano all’Ucraina di sviluppare la propria autonomia nazionale, in condizioni di indipendenza dai due blocchi, com’è avvenuto per la Finlandia durante la guerra fredda. Partendo dall’attuazione dell’accordo di Minsk, occorre negoziare una posizione di neutralità per l’Ucraina, non più avamposto militare della NATO ma terra d’incontro fra la civiltà russa e quella occidentale

Occorre agire adesso prima che sia troppo tardi.

Per aderire coord.dem.costituzionale@gmail.com

 

PRIMI FIRMATARI

Domenico Gallo, Pietro Adami, Mario Agostinelli, Paola Altrui, Cesare Antetomaso, Pietro Antonuccio, Franco Argada, Franco Astengo, Gaetano Azzariti, Donata Bacci, Vittorio Bardi, Fausto Bertinotti, Mauro Beschi, Maria Luisa Boccia, Sergio Caserta, Enrico Calamai, Duccio Campagnoli, Giuseppe Cassini, Aurora D’Agostino, Roberto De Angelis, Claudio De Fiores, Tommaso Di Francesco, Piero Di Siena, Anna Falcone, Luigi Ferrajoli, Chiara Gabrielli,  Fausto Gianelli, Alfonso Gianni, Rossella Guadagnini, Elisabetta Grande, Alfiero Grandi, Roberto Lamacchia, Sergio Labate, Raniero La Valle, Alberto Leiss, Lidia Lo Schiavo, Federico Losurdo, Silvia Manderino, Antonio Mazzeo, Alberta Milone, Rossella Muroni, Gian Giacomo Migone, Tomaso Montanari, Alberto Negri, Daniela Padoan, Francesco Pallante, Pierluigi Panici, Valentina Pazè, Claudia Pedrotti, Livio Pepino, Giancarlo Piccinni, Carmelo Picciotto, Antonio Pileggi, Bianca Pomeranzi, Jacopo Ricci, Rodolfo Ricci, Marco Romani, Giovanni Russo Spena, Giuseppe Salmè, Lucia Salto, Gianluca Schiavon, Massimo Serafini, Paolo Solimeno, Gianni Tognoni, Fabrizio Tonello, Enrico Tonolo, Aldo Tortorella, Giulio Toscano, Stefania Tuzi, Nadia Urbinati, Angelo Viglianisi Ferraro, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Gianluca Vitale, Mauro Volpi

Un militare ucraino nella regione del Donetsk © AP Photo/Vadim Ghirda

La crisi Ucraina non è una fiction

Tensioni a est. Che nessuno pensi di risolvere questa crisi con una iniziativa «umanitaria» di bombardamenti aerei come sull’ex Jugoslavia nel 1999: dall’altra parte stavolta c’è una potenza atomica. Ma tutto è possibile, finché ci sarà, a surrogare l’inesistente politica estera dell’Unione europea la Nato, ora nel cul-de-sac

di Tommaso Di Francesco (**)

A che puntata eravamo rimasti della «serie ucraina» che è tutto meno che una fiction? Di sicuro è disattesa dalla politica italiana e dal «governo di tutti». Draghi, convocato dalla Nato ha dato, nei giorni quirinalizi, la «disponibilità dell’Italia» e ieri il ministro Guerrini si è detto «pronto a tutto». A che cosa ancora non è chiaro. L’Italia dovrebbe svolgere la sua «neutralità attiva» come chiede l’articolo 11 della Costituzione, invece finora siamo navi militari nel Mar Nero e la difesa aerea del fianco est della Nato nel Baltico. Insomma «disponibili» alla guerra.

Siamo vicini al precipizio. Anche se l’annunciata invasione russa non c’è. Dalla Casa bianca la davano sicura per dicembre, poi hanno precisato che sarebbe accaduta a gennaio, ora l’ultima versione è «per metà febbraio»…L’Europa appare divisa. Un parte – Germania e Francia – azzarda una mediazione per rilanciare gli accordi di Minsk del 2015. Che vennero siglati di fronte ad una guerra civile nata dopo l’oscura rivolta di piazza Maidan, dove un ruolo centrale venne assunto dall’estrema destra ucraina, che fomentò un clima antirusso contro una parte russa e russofona della stessa popolazione ucraina – purtroppo anche dai molti leader americani accorsero su quella piazza a fare comizi antirussi, compreso lo stesso Biden. Ora il Paese è spaccato in due con tre regioni che hanno dichiarato l’indipendenza.

Ma negli accordi di Minsk emerge con chiarezza che la Russia vuole una autonomia amministrativa di quei territori all’interno della nazione Ucraina, e che non considera il Donbass russo, come la Crimea che «per sua scelta con referendum popolare» – scrisse Rossana Rossanda in un saggio sulla crisi di Maidan, ora in un prezioso e-book edito da Sbilanciamoci che lo pubblicò già nel 2014 – decise di tornare alla storica appartenenza alla Russia. Ma la guerra civile è continuata con 14mila vittime e due milioni di profughi. Un’altra parte d’Europa, i Paesi baltici e la Polonia sostenuti dalla Gran Bretagna di uno spregiudicato Boris Johnson alle prese con il Partygate, soffia sul fuoco, con invio di armi e consiglieri militari – come si rifiuta di fare la Germania – alimentando con gli Stati uniti un vero e proprio clima di guerra con false notizie. A denunciarlo è lo stesso governo ucraino e il presidente Zelensky ripetutamente: «Basta creare panico» «non è amichevole quello che fate», «l’intelligence americana fa propaganda», dicono le autorità di Kiev.

E ora siamo all’assurdo che, di fronte all’invasione che non c’è, per salvare la credibilità transatlantica siamo passati da un Biden che dichiara il 20 gennaio: «Con una incursione limitata la risposta degli Stati uniti sarebbe minore», al segretario della Nato Stoltenberg che ora ammette: «Se la Russia invade l’Ucraina la Nato non interverrà…perché non è un Paese Alleato». Siamo ad una autorizzazione all’invasione, o alla messa in chiaro delle regole del Patto atlantico inapplicabili per ora per Kiev, e quindi un implicito invito all’Ucraina ad entrare al più presto in questo gioco di guerra? «Create solo panico», insiste Zelensky, preoccupato del fronte russo ma anche di quello interno, dove i settori dell’estrema destra sono entrati con le loro milizie nella Guardia nazionale e nell’esercito e pesano nel governo – l’ex presidente Poroshenko, eroe dell’Occidente fino a poco fa, è ora accusato di alto tradimento, e arrivano rumors su arresti di un «gruppo» non meglio specificato che preparava proteste.

Biden è in difficoltà, al punto che in chiave «nixoniana» ha chiesto una pressione su Putin nientemeno che della Cina, l’avversario vero dell’America. Siamo alla farsa, perché magari avrebbe potuto chiedere a Putin di mettere una buona parola per la crisi di Taywan che a ben vedere è speculare, se non simile, a quella ucraina. E Putin che mosse farà ora? In realtà Putin non si è mai mosso. Lo ricorda lo stesso presidente ucraino Zelensky e lo stato maggiore di Kiev: le cose alla frontiera stanno così dal 2014, le truppe russe ammassate – che «non accerchiano la Nato ma è il contrario», dice il generale Leonardo Tricarico in una intervista Rai – non sono pronte a nessuna invasione. Partecipa a manovre in Bielorussia, e perfino a pattugliamenti nel Mediterraneo, ma le truppe russe minacciose alla frontiera ucraina sono una pressione, rischiosa certo, per ribadire che l’ingresso del Paese nella Nato sarebbe inaccettabile.

Perché dal Baltico al Mar Nero, dopo che è stato favorito l’ingresso nella Nato di tutti gli ex Paesi del Patto di Varsavia, si trova un minaccioso schieramento armato alle proprie frontiere, fatto di basi militari, rampe di missili anti-missile, truppe, stormi di aerei che insidiano la propria sicurezza. La Russia in fondo ha reagito – ha scritto Franco Venturini in un editoriale sul Corriere della Sera – come fece Kennedy di fronte all’installazione di missili a Cuba nella famosa crisi del 1962.

E come non vedere poi che l’accerchiamento atlantico serve indirettamente a sostenere proprio la tanto giustamente deprecabile autocrazia di Putin? E ora? Che nessuno pensi di risolvere questa crisi con una iniziativa «umanitaria» di bombardamenti aerei come sull’ex Jugoslavia nel 1999: dall’altra parte stavolta c’è una potenza atomica. Ma tutto è possibile, finché ci sarà, a surrogare l’inesistente politica estera dell’Unione europea la Nato, ora nel cul-de-sac. Un vecchio arnese della guerra fredda, ma riarmato fino ai denti e in cerca di nemici, mentre ora dall’altra parte ci sono competitor economici: vuol dire che ogni sanzione è un boomerang, come dimostra il caso Nord Stream: non è americano ma Biden vuole bloccarlo per vendere all’ Europa il suo Gpl. Tutto è possibile.

(*) uscito ieri come editoriale sul quotidiano «il manifesto»

Ostaggi del militarismo

di John Scales Avery (***)

I nostri «Ministeri della Difesa» ci difendono davvero? Assolutamente no! Il lor stesso nome è una bugia. Il complesso militar-industriale si accredita con la pretesa di difendere i civili. Giustifica così bilanci enormi e gravemente condizionanti; ma è una frode: per sé l’unico obiettivo è denaro e potere. I civili come noi non sono che ostaggi del militarismo; siamo spendibili, pedine nella partita del potere, del denaro.

Le nazioni in possesso di armi nucleari si minacciano reciprocamente con la «Distruzione reciprocamente assicurata» – MAD (pazzo), acronimo davvero appropriato. Che cosa vuol dire? Forse che si stanno proteggendo i civili? Niente affatto, bensì che vengono minacciati di completa distruzione. I civili hanno qui appunto il ruolo di ostaggi nei giochi di potere dei propri capi.

Una guerra termonucleare oggi sarebbe non solo genocida ma anche omnicida, ucciderebbe persone di ogni età, poppanti, bambini, giovani madri, padri e nonni, senza alcun riguardo per colpa o innocenza. Una tale guerra sarebbe la catastrofe ecologica definitiva, distruggendo non solo la civiltà umana ma anche gran parte della biosfera.

Attualmente c’è gran preoccupazione per il cambiamento climatico, ma una catastrofe ecologica di grandezza uguale o maggiore potrebbe prodursi per una guerra nucleare. Ci si può fare una pallida idea di come sarebbe pensando alla contaminazione radioattiva che ha reso permanentemente inabitabile un’area grande quanto mezza attorno a Chernobyl. Anche il disastro di Fukushima ci rammenta i pericolosi effetti a lungo termine della radioattività.

I test di bombe all’idrogeno nel Pacifico mezzo secolo fa continuano tuttora a causare cancro e difetti natali alle Isole Marshall. Anch’essi possono darci un’ideuccia degli effetti ambientali di una guerra nucleare. Ma la radioattività prodotta da una guerra nucleare sarebbe enormemnete maggiore.

Nel 1954 gli Stati Uniti provarono una bomba all’idrogeno a Bikini, 1.300 volte più potente che le bombe che distrussero Hiroshima e Nagasaki. La ricaduta di particelle della bomba contaminò l’isola di Rongelap, una delle Marshall a 120 kilometri da Bikini. Gli isolani provarono il male da radiazioni, e molti morirono di cancro. Ancora oggi, ben oltre mezzo secolo dopo, umani e animali a Rongelap e altre isole circonvicine soffrono di difetti natali; i più comuni fra i quali sono stati i “bebé medusa”, generati senz’ossa e con pelle trasparente, per cui si vedono cervello e cuore palpitante. Di solito vivono un giorno o due prima di cessare di respirare.

Gli effetti ambientali di una guerra nucleare sarebbero catastrofici. Una guerra combattuta con bombe all’idrogenp produrrebbe una contaminazione radioattiva del genere già sperimentato nelle aree attorno a Chernobyl e Fukushima e nelle Isole Marshall ma su scala enormemente aumentata. Dobbiamo ricordarci che il potere esplosivo totale delle armi nucleari al mondo oggi è 500.000 volte quello delle bombe che distrussero Hiroshima e Nagasaki. Una guerra nucleare odierna minaccia lo sfracello completo della civiltà umana.  Oltre a diffondere una radioattività letale per il mondo, infliggerebbe un danno catastrofico all’agricoltura globale.

Le tempeste di fuoco nelle città incendiate produrrebbero molti milioni di tonnellate di denso fumo nero radioattivo, che salirebbe alla stratosfera dove si diffonderebbe attorno alla Terra per restarci un decennio. Il freddo prolungato, la minore luce solare e minori piogge, e gli aumenti massicci di nociva luce ultravioletta accorcerebbero o eliminerebbero le stagioni vegetative, producendo una carestia nucleare. Anche solo una piccola guerra nucleare potrebbe compromettere la vita di miliardi di persone oggi già cronicamente denutrite. Una guerra a piena scala combattuta con bombe all’idrogeno vorrebbe dire la morte per fame di quasi tutti gli umani, e molte specie animali e vegetali sarebbero altresì minacciate di estinzione.

Capitano costantemente incidenti in cui si evita per un capello un disastro globale. Per esempio, la notte del 26 settembre 1983, il tenente colonnello Stanislav Petrov, giovane softwarista, era di servizio in un centro di sorveglianza vicino a Mosca. D’improvviso lo schermo di fronte a lui avvampò di rosso e un potente stridulo segnale d’allarme riempì la stanza, cui ne seguì un secondo, e poi un terzo, un quarto e un quinto, assordanti. Il computer mostrava che gli americani avevano lanciato un attacco alla Russia. Gli ordini di Petrov erano di passare l’informazione su per la catena di comando fino al Segretario Generale Yuri Andropov. Entro pochi minuti si poteva lanciare un contrattacco nucleare.

Tuttavia, per via di certe incoerenze dell’allarme, Petrov disobbedì agli ordini e lo riferì come errore del computer, ciò che era in realtà. La gran parte di noi probabilmente deve la vita alla sua decisione coraggiosa e lucida e alla sua conoscenza dei sistemi di software. Quanto arrischiato fu quel salvataggio sta per di più nel fatto che Petrov era di servizio solo per malattia di un altro ufficiale meno esperto del software, che avrebbe preso l’allarme per buono.

Schivate a un pelo come questa mostrano chiaramente che alla lunga combinazione di scienza dell’era spaziale e di politica dell’età della pietra ci distruggerà. Abbiamo urgente bisogno di nuove strutture politiche e di una nuova etica per pareggiare la nostra tecnologia avanzata.

Recentemente gli Stati Uniti hanno fatto mosse provocatorie che rischiano seriamente d’innescare una guerra con la Russia che potrebbe evolvere in guerra nucleare, come mandare armamenti e consiglieri militari all’Ukraina, e svolgere esercitazioni NATO sul confine russo.  Al tempo stesso, gli Stati Uniti stanno facendo mosse aggressive nel tentativo di “contenere la Cina”.  Così i detentori del potere a Washington stanno minacciando guerra sia alla Russia sia alla Cina.

L’effetto di queste madornali azioni maldestre USA è stato di unire saldamente Cina e Russia. Nei fatti, i paesi BRICS, con le loro grandi risorse, stanno sfilandosi dall’uso del dollaro come valuta di riserva per il commercio internazionale. Il probabile effetto sarà il collasso dell’economia USA già in affanno, e di conseguenza la caduta dell’Impero USA.

Quale può essere la ragione per queste azioni, che paiono al limite della follia? Una ragione si può trovare nel pensiero ebbro di potere del “Progetto per un Nuovo Secolo Americano”, uno dei cui elaboratori è stato il Sottosegretario alla Difesa USA per la Politica, Paul Wolfowitz. La cui dottrina afferma che “Nostro primo obiettivo è prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sul territorio dell’ex-Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia all’ordine in precedenza minacciato dall’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante la sottostante nuova strategia regionale di difesa e richiede che facciamo assolutamente in modo di prevenire a qualunque potere ostile di dominare una regione le cui risorse, sotto controllo consolidato, sarebbero sufficienti a generare un potere globale”.   https://en.wikipedia.org/wiki/Wolfowitz_Doctrine

In altre parole, la Dottrina Wolfowitz è una dichiarazione che gli Stati Uniti intendono controllare il mondo intero mediante il potere militare. Non si bada per nulla alla protezione della popolazione civile, che dia negli Stati Uniti o altrove. I civili sono meri ostaggi nella partita di potere.

È importante anche la partita del denaro. Una gran forza propulsive dietro al militarismo è il quasi inimmaginabile enorme fiume di denaro che compra i voti dei politici e la propaganda dei media mainstream. Inebetiti dalla propaganda, i cittadini permettono ai politici di votare per  bilanci militari oscenamente gonfiati, che arricchiscono vieppiù gli oligarchi delle megaziende (omologate), sicché il flusso circolare continua.

I giganteschi fabbricanti d’armi, immensamente ricchi e politicamente potenti, del complesso militar-industriale non vogliono davvero la guerra, bensì la minaccia di guerra. Fintanto che si mantengono tensioni; fintanto che c’è minaccia di guerra, il complesso militar-industriale ottiene il denaro bramato, e i politici e giornalisti il loro lurido compenso. La sicurezza dei civili non gioca alcun ruolo nella partita finanziaria. Siamo solo ostaggi del militarismo.

C’è pericolo che il nostro mondo, con tutta la sua bellezza e la preziosità che contiene, venga distrutto da questo cinico gioco per il potere e il denaro in cui i civili sono ostaggi del militarismo. Lasceremo che succeda?

(***) ripreso da serenoregis.org

L’EPIDEMIA DA URANIO IMPOVERITO SCATENATA DALLA NATO.

di Gregorio Piccin (****)

Per il Ministero della difesa sembrano esserci morti e feriti di serie A e serie B. Sono considerati eroi quei soldati che muoiono o rimangono feriti sul campo delle disastrose guerre Nato in cui l’Italia sgomita per essere sempre in prima fila, mentre sono considerati fantasmi quei soldati che si ammalano gravemente o muoiono per l’esposizione all’uranio impoverito una volta tornati a casa dalle stesse missioni.

Per la verità ci sono anche le vittime di serie “Z”, i civili, i «danni collaterali», gli abitanti di quei Paesi su cui la Nato ha di volta in volta posato il suo «mirino umanitario».

In Italia, grazie alle oltre 260 sentenze vinte dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, non solo il Ministero della difesa ha dovuto fare i conti coi propri «fantasmi», ma la correlazione tra gravi forme tumorali ed esposizione all’uranio impoverito è diventata giurisprudenza.

Mentre la Nato, lunga mano della politica estera statunitense, preme l’acceleratore sulla crisi in Ucraina, la «pandemia» da uranio impoverito scatenata dai bombardamenti dell’Alleanza in Serbia, Kosovo, Bosnia, Iraq e Afghanistan continua a mietere vittime. Proprio in Serbia la giurisprudenza italiana sulla questione uranio impoverito è stata messa a disposizione di un pool di avvocati guidati da Srdjan Aleksic che da un anno a questa parte hanno avviato una serie di cause per portare la Nato sul banco degli imputati.

Avvocato Tartaglia, a che punto sono arrivate le cause contro la Nato in Serbia?

La prima causa è stata avviata a gennaio dello scorso anno. L’Alta Corte di Belgrado ha assegnato un termine di sei mesi alla Nato per costituirsi in giudizio. Nel diritto serbo la notifica della citazione può essere fatta solo dal tribunale e il ministero della giustizia serbo non ha ottemperato ancora all’ordine della Corte di notificare la citazione alla Nato. Noi ci siamo resi parte diligente e abbiamo comunicato alla Nato la citazione è abbiamo chiesto alla Corte di comunicare l’invito a costituirsi in giudizio alla Nato tramite mail certificata. Stiamo ora attendendo la risposta della Corte. Questo mese di gennaio abbiamo depositato altre due cause. I costi delle tasse sono molto alti in Serbia quando si agisce con azioni risarcitorie e i danneggiati non hanno i soldi per farlo.

Si profila quindi una nuova strategia legale?

Abbiamo deciso di avviare altre cause chiedendo al momento solo l’accertamento di responsabilità. Perché in tale modo le tasse sono esigue e chiunque può agire in giudizio. Una volta accertata la responsabilità e il nesso di causalità potremo poi fare domande risarcitorie collettive e così ridurre notevolmente il costo delle cause dovuto alle tasse. Stiamo lavorando intensamente e credo che riusciremo a dare tutela ai danneggiati. Non vi sono solo questioni legate all’uranio impoverito ma anche questioni relative a bombardamenti indiscriminati con vari tipi di ordigni micidiali fra cui le bombe a grappolo.

Come pensate che i cittadini serbi possano avere giustizia di fronte ad un colosso come la Nato ed alle sue responsabilità di guerra?

L’Alleanza atlantica ha personalità giuridica e vi sono tutti i presupposti per ottenere il risarcimento dei danni ì favore dei danneggiati. Le azioni intraprese in Serbia riguardano sia la responsabilità della Nato per crimini di guerra sia del governo serbo per non aver informato la popolazione dei rischi di trovarsi in ambienti altamente contaminati, sia per non avere adottato alcuna misura di sicurezza. Inoltre va considerato che in Serbia è prevista una responsabilità oggettiva per aver costretto la popolazione e i militari a dover subire la guerra. Io e il mio collega Aleksic intenteremo tutte le azioni per ottenere l’accertamento prima della responsabilità poi il ristoro di tutti i danni nonché finalmente le bonifiche ambientali, spingendo la questione fino ad interessare le autorità giuridiche e politiche europee.

A proposito di Europa, vi sono casi simili a quelli italiani per i soldati di altri Paesi Nato rientrati dalle missioni all’estero?

Sì. In tutti i paesi europei che hanno partecipato alle missioni ma la questione è tenuta molto sotto tono dai mezzi di informazione e i governi negano qualsiasi nesso di causalità. Nel 2019 è apparsa la notizia ad esempio in Germania dove 220 militari tedeschi che si sono ammalati di tumore al rientro dalle missioni hanno chiesto i danni ma il governo ha negato ogni nesso di causalità con l’uranio impoverito. Stiamo cercando contatti e canali per mettere a disposizione la giurisprudenza che abbiamo costruito in Italia anche in altri Paesi europei. Esiste una vera e propria internazionale delle vittime Nato civili-militari che esige verità e giustizia.

(****) da ilmanifesto.it

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Scandalo corruzione in Kuwait per jet comprati a caro prezzo dall’italiana Leonardo

di Antonio Mazzeo (*****)

Un’inchiesta giudiziaria in Kuwait sta creando non poche preoccupazioni al management del gruppo industriale Leonardo S.p.A. e al Ministero della difesa della Repubblica italiana. Nei giorni scorsi il governo del ricco petro-emirato ha confermato la notizia trapelata nella stampa kuwaitiana: due alti ufficiali delle forze armate sono indagati per corruzione relativamente all’acquisto di 28 cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon” prodotti dal consorzio europeo Eurofighter GmbH (formato dalle holding Leonardo, BAE Systems e Airbus Defence & Space).

L’Autorità anti-corruzione kuwaitiana ha riferito che un generale e un colonnello dell’esercito dovranno rispondere in sede processuale dell’accusa di aver causato gravi danni al bilancio statale con la presunta emissione di fatture che “eccedono il valore totale concordato nel contratto stipulato con la società produttrice”, secondo quanto riportato dalla Kuwait News Agency (KUNA). Le indagini sarebbero state avviate dopo le rivelazioni di un anonimo informatore sulla cattiva gestione dei fondi destinati a pagare i cacciabombardieri.

Il Kuwait aveva ordinato i 28 “Eurofighter Typhoon” nel 2016 firmando un contratto con il consorzio europeo del valore di 8,7 miliardi di dollari, cifra molto al di sopra di quanto pagato per gli stessi velivoli da altri paesi mediorientali. Il Qatar, ad esempio, ha pagato 6,9 miliardi di dollari per 24 Eurofighter che saranno consegnati a partire del prossimo anno. Per 72 cacciabombardieri l’Arabia Saudita ha pagato invece non più di 6 miliardi di dollari anche se si tratta di una versione meno aggiornata di quella ordinata dal Kuwait. Secondo il sito specializzato Defensenews.com i militari sauditi avrebbero pure concluso un accordo con il governo britannico per la consegna nei prossimi dieci anni di altri 48 cacciabombardieri con una spesa complessiva non superiore ai 5 miliardi.

Quello dei “caccia gonfiati” non è il primo scandalo che investe le forze armate dell’emirato arabo. Due anni fa, la sparizione di 800 milioni di dollari provenienti dal fondo per gli “aiuti militari” ha costretto alle dimissioni il governo e l’(ex) premier e l’(ex) ministro della difesa sono stati rinviati a giudizio.

In Italia, Leonardo S.p.A. ha emesso una nota dove si afferma che il “gruppo non è oggetto di una indagine giudiziaria in relazione al programma Kuwait”. “Il programma Eurofighter con il paese arabo sta procedendo in linea con le aspettative e con successo sul fronte delle consegne e degli incassi”, aggiunge la società industriale-militare. “A dicembre 2021 sono stati consegnati i primi due velivoli, a cui seguirà la consegna degli altri come previsto dal piano. La nostra relazione contrattuale con il Kuwait – il cui rapporto è regolato da un contratto siglato nell’ambito di un più ampio rapporto fra le istituzioni e le aeronautiche dei due Paesi –  è sempre stata improntata a canoni di massima trasparenza oltre che piena correttezza. Leonardo non ha alcuna evidenza di criticità e ogni singola transazione è puntualmente soggetta a procedure e verifiche di congruità”.

Nessun commento invece dal ministero della Difesa che pure ha seguito passo dopo passo l’iter contrattuale, la produzione dei velivoli e – direttamente – la formazione in Italia dei piloti kuwaitiani. Un imbarazzato silenzio che collide con l’enfasi mostrata appena un mese e mezzo fa in occasione della consegna all’emirato dei primi due Eurofighter Typhoon.  “Si tratta di un’ottima operazione per l’Italia a dimostrazione del successo dei prodotti dell’industria nazionale all’estero e rappresenta un importante passo per il consolidamento della posizione dell’industria italiana nel mondo”, aveva commentato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il 14 dicembre 2021.

La consegna di questi primi due aeroplani avviene in un anno particolarmente significativo per entrambi i Paesi, infatti il 2021 è l’anno del 60° anniversario delle relazioni italo-kuwaitiane”, dichiarava lo Stato Maggiore della difesa. “L’Eurofighter Typhoon è un velivolo caratterizzato da una gamma ampia di capacità operative, realizzati da Leonardo in base alle specifiche esigenze dell’Aeronautica Militare kuwaitiana. Leonardo con le sue attività realizza circa il 36% del valore dell’intero programma con un ruolo chiave nella componente aeronautica e in quella dell’elettronica di bordo. Inoltre è protagonista del nuovo radar a scansione elettronica AESA che caratterizza gli Eurofighter ordinati dal Kuwait, incrementandone performance e competitività”.

Lo Stato Maggiore riportava anche una dichiarazione rilasciata da Alessandro Profumo, amministratore delegato dell’holding industriale. “Gli Eurofighter che abbiamo realizzato per la Forza Aerea del Kuwait sono i più avanzati mai prodotti nella storia del programma europeo”, spiegava Profumo. “Equipaggeremo il paese con una importante capacità di difesa aerea e, in sinergia con l’Aeronautica Militare, abbiamo addestrato i loro piloti nei nostri centri di formazione in Italia realizzando infrastrutture all’avanguardia in Kuwait per ospitare e manutenere una flotta di 28 velivoli. La milestone che celebriamo oggi è il risultato di una proficua collaborazione tra i due paesi che ha visto lavorare in maniera sinergica Istituzioni, Forze Armate e Industria”.

La cerimonia di consegna dei primi due cacciabombardieri si è svolta a Torino-Caselle il 9 dicembre 2021, alla presenza dell’ambasciatore kuwaitiano Sheikh Azzam Al-Sabah, del vicecomandante delle forze aeree Bandar Al-Mezyen, del direttore della divisione aerei di Leonardo Marco Zoff, e del presidente del Cda del consorzio Eurofighter, Herman Claesen.

Il trasferimento in Kuwait è stato reso possibile grazie al supporto dell’Aeronautica che ha garantito il rifornimento in volo dei velivoli con due tanker KC-767 del 14° Stormo di Pratica di Mare e la scorta aerea con due Eurofighter del 4° Stormo di Grosseto.

Sono diversi i programmi di cooperazione internazionale già avviati con il Kuwait rivolti in particolare al settore della formazione del personale presso le strutture dell’Aeronautica”, aggiungeva lo Stato Maggiore della difesa. “In particolare l’addestramento di allievi piloti kuwaitiani ed il successivo addestramento avanzato propedeutico alla conversione operativa sul caccia Eurofighter avviene presso il 4° Stormo di Grosseto. Inoltre, alcuni istruttori dell’Aeronautica Militare insieme ai piloti collaudatori di Leonardo, supporteranno l’addestramento iniziale dei piloti della Kuwait Air Force presso la base di Al Salem”.

Questa la benevola narrazione della Difesa ma, in verità, la vicenda della commessa dei cacciabombardieri ha presentato zone d’ombre sin dalle origini. La notizia della vendita al Kuwait dei 28 velivoli fu data l’11 settembre 2015 dal consorzio Eurofighter GmbH, ma il contratto fu firmato solo il 5 aprile 2016 dal vice premier e ministro della Difesa, Sheikh Khaled Al-Jarrah al-Sabah e dall’allora amministratore delegato di Leonardo, Mauro Moretti, alla presenza della ministra della Difesa, Roberta Pinotti (Pd).

Il contratto prevedeva la fornitura di 22 velivoli monoposto e 6 biposto, più relative attività logistiche, di manutenzione e addestramento degli equipaggi e del personale a terra, per un valore complessivo di 9,062 miliardi di dollari. La consegna dei caccia era prevista a partire dalla fine del 2019 per completarsi entro il 2022, dopo la conclusione dei lavori di realizzazione di officine, hangar e di una nuova pista di volo presso lo scalo militare di Ali Al Salem.

Il lungo periodo trascorso tra l’annuncio dell’accordo e la firma del contratto fu tormentato dal timore che le autorità kuwaitiane volessero recedere dall’acquisto dei caccia. Indiscrezioni stampa riferirono che a Kuwait City alcuni parlamentari avessero ritenuto troppo cari i caccia di Eurofighter. Che qualcosa non andasse per il verso giusto lo si capì quando fu fatta saltare all’ultimo momento la firma del contratto in occasione della visita ufficiale nell’emirato della ministra Pinotti, il 31 gennaio 2021. Una settimana dopo Leonardo S.p.A. ammise pubblicamente il ritardo nella stipula degli accordi e solo il 1° marzo l’Assemblea nazionale kuwaitiana si pronunciò a favore della commessa.

Secondo Defencenews.com, il congelamento del contratto fu imposto dallo State Audit Bureau, ente simile alla Corte dei Conti, nell’attesa che Leonardo e  il consorzio europeo Eurofighter fornissero una descrizione dettagliata dei costi relativi al supporto tecnico, all’addestramento, ai pezzi di ricambio e alla realizzazione delle infrastrutture destinate alla nuova flotta dei velivoli.

Le motivazioni del lungo stop furono confermate il 4 febbraio 2016 a Defencenews.com dal Preside della facoltà di Scienze politiche della Kuwait University, Mubarak Al-Abdullah. “L’accordo è stato sospeso dallo State Audit Bureau e ci sono perplessità tra i parlamentari per l’alto costo dei velivoli e perché non sembrano rispondere alle esigenze manifestate dall’Aeronautica militare”, dichiarava il docente. “L’Eurofighter è stato preferito ai caccia statunitensi F/A-18 Super Hornet, ma ci sono ancora ufficiali della forza aerea che preferiscono questi ultimi”.

Adesso l’autorità giudiziaria kuwaitiana vuol fare luce sulle reali ragioni per cui prevalse alla fine la scelta dei caccia di produzione europea nonostante il loro altissimo costo.

(*****) ripreso da antoniomazzeoblog.blogspot.com; pubblicato in «Africa ExPress» il 28 gennaio

 

Redazione
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3 commenti

  • Uniamoci nel No alla NATO nell’est Europa

    In questi giorni stanno circolando varie prese di posizione sulla crisi ucraina ed altre usciranno presto, Qualcuno per fortuna sostiene anche che dovremmo tornare a chiedere la pace in strada e non solo dai PC.

    Per il momento i vari appelli contro il rischio di guerra rappresentano singole aree politico culturali, più o meno grandi e più o meno omogenee, ma non un movimento nazionale per la pace come lo abbiamo visto nei momenti di maggiore mobilitazione, come contro gli euromissili a Comiso negli anni ’80 o contro le due guerre all’ Irak..

    Nello stesso tempo alcune posizioni sono importanti e comuni a tutti coloro che si pronunciano sull’ attuale crisi nell’est Europa. Tutti si dicono contrari all’ entrata dell’ Ucraina nella NATO, e l’ Italia da sola potrebbe bloccarla. Tutti sono contrari alla presenza di militari italiani in basi o esercitazioni troppo vicine ai confini russi.

    Queste posizioni potrebbero essere condivise anche dalla maggioranza dell’ opinione pubblica italiana, ma rischiano di essere poco diffuse, di non bucare l’ informazione generalista e di non uscire da nicchie molto limitate e già convinte.

    Allora dovremmo unirci tutti nel sostenerle, anche se su altre questioni abbiamo opinioni diverse.

    Insomma, io, che amo la nonviolenza e sono contrario alla NATO, vorrei manifestare, almeno in questa occasione, insieme a chi non la pensa come me su tutto.

    Marco Palombo

    Roma

  • Le cattive notizie non finiscono mai? Eccone due su cui riflette Antonio Mazzeo.
    – Riposta in soffitta la “lotta al terrorismo internazionale”, i dottor Stranamore di Washington mostrano i muscoli e le cannoniere nei mari di mezzo mondo contro i nemici di sempre (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord). Lunedì 31 gennaio ha preso il via in Bahrein quella che è stata enfaticamente definita dal Pentagono come la “più grande esercitazione navale multinazionale” nella storia del Medio oriente.
    VEDI https://pagineesteri.it/2022/02/04/africa/guerre-future-in-corso-la-piu-grande-esercitazione-navale-nella-storia-del-medio-oriente/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=le-ultime-notizie-dal-mondo_50
    – Abbiamo proprio deciso di farci del male. E tanto. Non poteva essere scelto un momento peggiore per rendere operativa al 100% la nuova missione militare italiana in Mali.
    VEDI http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2022/01/forze-armate-italiane-pronte-alla.html

  • Valeria Taraborelli

    Esercitazioni militari Nato in combutta cogli stati membri vassallo non finiranno! Come l ‘insieme delle sanzioni “punitive” contro la Federazione Russa al solo ed unico scopo di prendere risorse minerarie fonti primarie di energia per un sistema al collasso e tracollo finanziario… Espugneranno territori a spese di gente inerme e sbandiereranno i loro vessilli di libertà condizionata sporchi si sangue! Diremo di nuovo dove eravamo noi per impedirlo, dove era l’ONU, dove era la colta e vecchia Europa!

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