FABIO FRANZIN .. Poesia Fabrica e oltre …

a cura di Sandro Sardella

Fabio Franzin è nato nel 1963 a Milano … vive a Motta di Livenza (TV) ..

ha lavorato in una fabbrica di mobili nel mitico Nord Est .. scrive in

dialetto Veneto-Trevigiano ..

la sua poesia è oltre il letame della fabbrica del lavoro salariato ..

la sua poesia si sporca le mani .. infangata dagli ultimi echi di civiltà

contadina .. irritata dai miasmi di quella industriale ..

una scrittura in continua lotta .. disturbante .. fastidiosa al bon ton

del politicamente corretto .. una scrittura dentro il mondo del lavoro

dell’operoso Nord Est inebriato devastato dallo “sviluppo” .. dal

consumismo dai capannoni abbandonati dalla disoccupazione dalla

solitudine dalla dignità umana offesa dalla paura dello straniero dalla

perdita di umanità .. dal dramma delle morti sul lavoro ..

la poesia di Fabio Franzin .. delicata e affilata .. porta a galla voci e

situazioni taciute .. la sua poesia civile accusa interroga rompe

l’indifferenza .. dei vinti e dei vincitori ..

combatte poeticamente il rancore e l’ingiustizia .. contro la catastrofe

la sua parola grida l’umano e .. tutto intorno non è più silenzio .. ..

non per niente nel 2022 da Alberto Prunetti è stato invitato al

1° Festival di Letteratura Working Class alla GKN occupata di Campi

Bisenzio (FI) ..

 

 

(da: “Fabrica e altre poesie” – Giuliano Ladolfi Ed. –Borgomanero – NO)

 

Un mondo intièro fracà

drento i dièse metri

quadri de un reparto,

de razhe tute quante

de tute ‘e reijòn: slavi

 

e indiani, romeni e neri,

atei e cristiani, musulmani

o de jèova, del demonio

dea fame o del dio dei schèi,

tuti mis.ciàdhi, cussì, tuti

 

deventàdhi un fià pì fradhèi

fra de lori, là, tuti tacàdhi

a nasarse l’udhòr de scorèdhe,

del sudhòr, a capirse a segni,

a ociàdhe, a sfantàr zhèrte

 

idèe baènghe su chi che sie

mèjio, là, tuti compagni ‘dèss,

che tanto sot i guanti de gòma

no’ se ‘o intiva pì’l coeòr

dea pèl, a pissàr, un bianco

 

e un nero vizhìni, al cesso,

a passàrse un co’ cheàaltro

un soriso strac, ‘na ciave

inglese, a farse passàr chel

tempo robà, contar ‘spese.

 

Un mondo intero stipato / nei dieci metri /quadrati di

un reparto, /di tutte le sue razze, / tutte le sue religioni:

slavi // e indiani, rumeni e neri, / atei a cristiani, musulmani //

o testimoni di Geova, del demonio // della fame o del dio

denaro, / tutti mescolati, così, tutti // già un po’ più fratelli /

fra di loro, lì, tutti stretti / ad annusarsi l’odore delle scoregge,/

il tanfo del sudore, a capirsi a moti, / con gli sguardi, a

confutare certe // assurde idee sull’imprimatur / di un popolo,

lì, tutti uguali (e compagni d’avventura) ora, / che tanto sotto

i guanti di lattice / non lo si scorge più il colore / della pelle,

a pisciare, un bianco // e un nero accanto, all’orinatoio, /

a passarsi l’un l’altro/ un sorriso esausto, una chiave / inglese,

a farsi passare quel / tempo sottratto, contare le spese.

 

*

Blè e griso i ‘è i coeòri

dei operai. El blè dei so

gins vèci, dee so tute,

quel dea so mainconìa;

el griso dei capanòni

 

e dee oficìne, del fun

che vièn fora alt dae

ciminière o quel bass,

dae so ciche, quel ont

de ojàzh dee machine

 

o’l griso che se inpèta

tea so ànema, tel sorìso,

zorno dopo zorno, àno

dopo àno. Blè e griso,

come un biancoenero

 

mossià co’l cel, ‘a piòva,

come un film de tanti àni

fa, o quel che i cata co’

i staca, aa sera. Griso

e blè: tinte de un destìn

 

che sèra fòra dai cancèi

tuti cheàltri coeòri, che

àssa fòra i fiori. El ross

de un cuòr, el verde bèl

de l’erba, dea speranza.

 

Blu e grigio sono i colori / degli operai. Il blu dei loro/

jeans consunti, delle loro tute, / quello della loro

malinconia; / il grigio dei capannoni // e delle officine,

del fumo / che fuoriesce alto dalle ciminiere o quello,

basso, / delle loro sigarette, quello lercio / di oliaccio

dei macchinari // o il grigio che si addensa / fra i loro

pensieri, nel sorriso, / giorno dopo giorno, anno / dopo

anno. Blu e grigio, / come un biancoenero // shakerato

col cielo, la pioggia, / come un vecchio film, / o quello

che trovano quando / staccano, alla sera. Grigio /

e blu: tinte di un destino // che chiude fuori dai cancelli /

tutti gli altri colori, che / lascia fuori i fiori, il rosso /

di un cuore, il verde bello / dell’erba, della speranza.

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

Un commento

  • la tua poesia mi piace e interessa molto. Vorrei tanto sentirla nella sua lingua vera perchè la traduzione può limitare l’amorosa dolcezza di certe vocali e la forza senza arroganza di certe consonanti. Grazie a Sandro per avermele fatte leggere . Gisa

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