Fanta Halloween: 7 film con cui sopravvivere…

… a una notte da incubo fra dolcetti e scherzetti

di Fabrizio «Astrofilosofo» Melodia

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Puntuale come le tasse e l’inverno ballerino, ecco – tra mille catto/polemiche – la festa di Halloween, con bambine e bambini andare in giro a divertirsi raccogliendo tonnellate di dolcetti, vestendosi come i propri beniamini.

La festività ha radici lontanissime, negli antichi riti pagani. Lo storico Nicholas Rogers, ricercando le origini di Halloween, fa notare che mentre alcuni studiosi hanno rintracciato le sue origini nella festa romana dedicata a Pomona – dea dei frutti e dei semi – o nella festa dei morti chiamata Parentalia, Halloween viene più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain (pronunciato [ˈsɑːwɪn] o [ˈsaʊɪn]), originariamente scritto Samuin (pronunciato [ˈsaṽɨnʲ] in gaelico). Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell’arcipelago britannico, deriva dall’antico irlandese e significa approssimativamente “fine dell’estate”.

Solo con la vicinanza della festività cristiana che fu detta Ognissanti e dunque in tempi recenti, Halloween assunse la sua forma di richiamo alla morte e ai defunti, con l’introduzione delle maschere più macabre.

Come passare indenni tra fine dell’estate, episodi soprannaturali, dolcetti e/o scherzetti? Per chi fra voi ha un background fantascientifico, venato di horror, penso che qualche consiglio filmico possa aiutare. La fantascienza si mescola sempre volentieri con i suoi fratelli della famiglia “fantastico” … basti pensare al capostipite «Frankenstein» di Mary Shelley, che combina sapientemente atmosfere gotiche alla fantascientifica nascita di un essere umano artificiale: «la creatura» è animata dalla potenza dei fulmini e dalla scienza ancora alchemica, dando vita a una delle più commoventi parabole del diverso.

Ecco dunque 7 consigli hi-tech per una serata da brividi.

Il primo film potrebbe essere un classico del regista Roger Corman, «Il mostro del pianeta perduto» (“Day the world ended”, 1955) in cui assistiamo alla dura vita di un gruppo di sopravvissuti alla guerra atomica che ha decimato l’intera umanità. I pochi superstiti hanno trovato rifugio tra le montagne, che riparano dalla fortissime radiazioni che imperversano sulla Terra. La vita prosegue, nonostante gli scontri e le tensioni nel gruppetto non manchino, ma tutto cambia quando un essere mostruoso, probabilmente generato da una mutazione, entra in contatto telepatico con una sopravvissuta del gruppo. Il film è stato prodotto dalla Golden State Productions e girato (per la maggior parte delle riprese esterne) in una zona desolata e brulla denominata Bronson Caves o Bronson Canyon, e nelle proprietà dello Sportsmen’s Lodge, un hotel ristorante nei pressi di Los Angeles.

Secondo film della serata è «Il mostro dell’astronave» (“It! The terror from beyond space”, 1958) una produzione “indipendente” del regista Edward L. Cahn, citato nientemeno che da Ridley Scott come fonte d’ispirazione (o plagio, dicono certi maligni) per il suo arcinoto «Alien», che qui non consiglieremo. Un gruppo di coraggiosi astronauti parte alla volta di Marte in missione di soccorso, trovando sul suolo del pianeta un solo sopravvissuto, il colonnello Edward Carruthers, il quale viene accusato dello sterminio dei propri compagni di spedizione ma i soccorritori devono amaramente ricredersi quando le morti riprendono e i responsabili sembrano essere strane e misteriose creature. Produzione a bassissimo budget, tanto da dover riutilizzare materiale da altre pellicole come l’astronave usata nel film «Volo su Marte», finanziato quasi esclusivamente dal produttore Edward Small, il film contiene parecchie scene memorabili e il non disprezzabile pregio di una regia sapientemente dosata che gioca particolarmente sulle atmosfere da pericolo incombente.

Il terzo round spetta al mostro sacro dei film trash, «Plan 9 from outer space» (1956) del regista Ed Wood, la cui storia è stata portata brillantemente sullo schermo da un Tim Burton in stato di grazia e da un bravissimo Johnny Depp. Da molti viene considerata una pellicola capolavoro, per altri è solo spazzatura non riciclabile. Ecco la Terra alle prese con la solita invasione aliena, al limite del risibile. Fra improbabili e repentini avvistamenti Ufo e morti risorti particolarmente assassini, l’esercito Usa si scontra con truppe aliene, le quali vogliono invadere la Terra, scatenando i loro morti resuscitati grazie a un raggio alieno. Poveri becchini, con tutti questi morti tornati a lamentarsi… Girato con un budget infimo in meno di una settimana nel novembre 1956, questo film volutamente trash si fa notare per il cameo del regista e per essere stato girato con effetti speciali che avrebbero fatto impallidire il nostro Mario Bava; inoltre è l’ultimo film interpretato da Bela Lugosi, noto per i suoi ruoli di vampiro e – si dice – per vivere come “il principe della notte”.

Veniamo a una chicca semi dimenticata e recentemente restaurata per i moderni supporti, «Occhi senza volto» (“Les yeux sans visage”, 1960) per la regia di Georges Franju e interpretato da Pierre Brasseur, Alida Valli, e Juliette Mayniel. Tratta dal romanzo di Jean Redon, narra una storia di un chirurgo a metà strada fra il dottor Frankenstein e il dottor House, il quale, dopo aver provocato con la sua guida spericolata un incidente stradale in cui sua figlia è rimasta sfigurata, cerca di ridarle un volto in ripetuti tentativi di trapianto. La pellicola fu accolta con grande scalpore, per la violenza all’epoca considerata eccessiva, venne definito il film più malato della storia del cinema.

Passiamo a «Il mulino delle donne di pietra» (1960) del regista Giorgio Ferroni, considerato uno dei più bei film horror-frankensteiniano del cinema italiano. Una ricerca sull’arte popolare olandese porta lo studente Hans von Harnmen a conoscere Gregorius Wahl, uno scultore che vive con la giovanissima figlia Helfi. Gregorius possiede un imponente carillon all’interno di un mulino in cui allo scoccare delle ore compaiono statue a grandezza naturale di celebri eroine del passato. Hans si innamora della giovane Helfi ma la fanciulla, a causa di una malattia, muore. Poco tempo dopo, il ragazzo torna al mulino e resta stupefatto: Hilfe è viva! Così Fantafilm sintetizza: «Il film è considerato tra i migliori esempi di horror fantastico italiano, al punto che alcuni recensori hanno creduto di trovarvi riferimenti letterari ad Edgar Allan Poe, Apollinaire e Alberto Martini e agganci stilistici non solo ad André De Toth (“La maschera di cera”) o Mario Bava (“La maschera del demonio”) ma addirittura – nell’uso delle inquadrature – a Buñuel. Tematicamente, il racconto è un’inedita rilettura dell’archetipo dello scienziato impazzito che sacrifica vite innocenti per salvare quella di una persona cara, una situazione che in quegli anni ispira anche “Occhi senza volto”, ”Seddok, l’erede di Satana” e “Gritos en la noche”».

Tematiche lovecraftiane per «La morte dall’occhio di cristallo» (“Die!, monster, Die!”, 1965) diretto da Daniel Haller e interpretato da un Boris Karloff molto in forma dopo la magistrale interpretazione della creatura di Frankenstein. E’ ispirato al racconto «Il colore venuto dallo spazio», considerato uno dei migliori usciti dalla penna di Howard Phillips Lovecraft, conosciuto come il Solitario di Providence.

Non poteva mancare «1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra» (“The Omega Man”, 1971) tratto dal romanzo «Io sono leggenda» (1954) di Richard Matheson, poi da questo rinnegato per le troppe libertà prese dal regista Boris Sagal. In una Los Angeles abbandonata e spettrale si aggira Robert Neville, ex medico militare e ultimo uomo sopravvissuto all’olocausto batteriologico avvenuto due anni prima. La ricerca di generi di prima necessità da una parte e quella di mantenere la propria mente lucida in una realtà alienante dall’altra caratterizzano le sue giornate, mentre la resistenza armata per sopravvivere impegnano le sue notti. Infatti la solitaria esistenza di Neville è messa a repentaglio di notte – dal tramonto sino all’alba – dagli assalti della “Famiglia”, una setta di creature che i veleni della guerra batteriologica hanno trasformato in fotofobici e psicotici albini.

Alla fine dei consigli, vi lascio con una frase tratta da quest’ultimo film: «E quando avremo finito, quando avremo curato i superstiti, taglieremo la corda. Prendiamo quello che ci serve e ci rifugiamo in montagna, “fuori dal sentiero dei topi dove i morti persero le loro ossa”. Thomas Eliot si è rivelato un buon profeta oltre che un gran poeta»: parola di Robert Neville alias Richard Matheson.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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